Presentato alla Berlinale 2016 nella sezione Forum e poi al 34° Torino Film Festival, Ta’ang è stato realizzato da Wang Bing prima di Bitter money, premiato per la miglior sceneggiatura della sezione Orizzonti alla 73a Mostra del Cinema di Venezia, nel cui concorso principale era stato già selezionato nel 2010 il suo primo film di finzione, The Ditch.
A differenza di queste ultime opere, Ta’ang è l’esempio più puro del cinema in presa diretta che ha reso il cinese Wang Bing uno tra i filmmaker indipendenti più importanti degli anni Duemila. Fin dalle prime immagini, lo spettatore è precipitato in medias res tra i bambini che giocano nella polvere di un campo profughi sovraffollato mentre i loro genitori cercando di tirare su delle tende di fortuna. Poi, di lunga sequenza in lunga sequenza, transitando dal giorno alla notte al nuovo giorno, la camera sosta insieme a donne e bambini intorno al fuoco, ascolta le conversazioni degli insonni, segue famiglie e anziani costretti a lasciare una casa in cui potrebbero non riuscire a fare ritorno. Tutt’intorno, rimbombano come tuoni, fuori campo ma sempre più vicini, i suoni della guerriglia.
Ogni volto, ogni parola, ogni silenzio ripreso da Wang Bing respira l’intensità del momento, dell’attesa o del cammino. Il regista filma così l’esperienza dell’esodo, calandosi e portandoci accanto alle persone che compongono un popolo in fuga verso la Cina, nella zona montuosa di confine con lo Yunnan occidentale, scappando da quelle regioni settentrionali del Myanmar (l’ex Birmania) che le cronache ci raccontano essere al centro di conflitti politico-religiosi causati anche dal narcotraffico (ancora oggi, dopo secoli di guerre, l’oppio).
I Ta’ang, una tra le cinquantasei etnie riconosciute ufficialmente dalla Cina, sono infatti un popolo di contadini emarginati per ragioni razziali, economiche e politiche. Mostrandoci le loro traversie, lo sguardo ad altezza d’uomo dell’autore riesce a farsi testimone della condizione esistenziale più ampia di chi cerca di sopravvivere in una regione in guerra, delle vittime predestinate della Storia. Una didascalia al termine del film ci informa che tra le persone coinvolte in questo esodo a partire dal 2015 molti sono scappati definitivamente, altri hanno potuto far ritorno nelle loro terre, tutt’altro che pacificate, pronti a nuove fughe oltre confine. Wang Bing si conferma dunque un cineasta pronto a cogliere il non senso della violenza che caratterizza la vita di un’ampia parte di umanità.
© CultFrame 11/2016
TRAMA
Nel 2015, l’esodo del popolo Ta’ang, minoranza etnica in fuga dal Myanmar (l’ex Birmania) sconvolto dalla guerriglia, porta migliaia di persone ad affollarsi nei campi profughi di Maidihe e Chachang, oltre il confine cinese.
CREDITI
Titolo: Ta’ang / Regia: Wang Bing / Fotografia: Shan Xiaohui, Wang Bing / Montaggio: Adam Kerby, Wang Bing / Produzione: Chinese Shadows, Wil Productions / Cina, 2016 / Durata: 147 minuti
SUL WEB
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