Il concetto di paesaggio può essere ricondotto a un significato univoco e assoluto, in special modo quando tale concetto è collocato nell’ambito delle arti visive tecnologiche? Il paesaggio si manifesta come un ente privo di contraddizioni oppure come la proiezione di un punto di vista soggettivo, dunque mutevole e fragile? E ancora: il paesaggio si dispiega totalmente davanti allo sguardo del fruitore o nasconde “pieghe”, “interstizi”, spazi non visibili?
Di certo, si tratta di un termine estremamente complesso che attraversa i territori (e la storia) delle discipline visuali (pittura, fotografia, cinema, videoarte), e non solo, grazie a un processo ritornante, e allo stesso tempo sempre diverso, la cui natura più che creativa è prettamente filosofica.
Inoltre, sussiste la questione fondamentale della realtà inquadrata, ovvero di ciò che è in campo, e della realtà esclusa, ovvero ciò che è fuori campo. Ed è proprio quest’ultimo fattore che finisce per determinare il senso di uno scorcio naturalistico o urbano in modo decisivo.
Tutte le tematiche sopra delineate rappresentano le parti più solide della colonna vertebrale di un libro intitolato Landscape Materials. Si tratta di un lavoro portato a termine dal fotografo Edoardo Hahn per la casa editrice L’Artiere (e basato su un concept di Steve Bisson – Urbanautica Collections) che si configura come una sorta di studio fotografico sul paesaggio che non intende stabilire codici inequivocabili e dettare regole universali di rappresentazione.
Si tratta invece di un percorso di tipo personale che si concentra su alcuni punti basilari: la veduta come fenditura nel mondo, l’ambiente come struttura articolata di “pieghe”, la visione fotografica come principio di esclusione e non di banale inclusione, il rigore della composizione come effetto di sottrazione e non di accumulo, l’atomizzazione dello spazio come straordinaria possibilità dello sguardo.
Parcheggi semivuoti, angoli invisibili, strade deserte e inquietanti, ambienti sospesi, muri di stabili non identificabili, sono tutti significanti di un’architettura visiva che non intende decodificare il reale. Anzi, il reale (quello situato in un’area californiana compresa tra San Francisco e Oakland) sembra essere messo in un angolo, relegato (alla maniera di Jean Baudrillard) in uno sfondo lontano e indistinto.
Il tratto visivo utilizzato da Edoardo Hahn è estremamente elegante e contraddistinto da un minimalismo che conferisce una notevole e salutare pulizia espressiva alle immagini. Il corpo delle opere fotografiche è collocato nel libro grazie a un’impaginazione grafica anomala e asimmetrica che lascia ampi spazi bianchi nelle pagine e ricorda sostanzialmente una sorta di montaggio jump-cut (cioè fortemente irregolare) di natura quasi cinematografica. E tale impostazione sorprende positivamente il fruitore ogni qual volta quest’ultimo volta pagina aprendosi a una nuova sensazione estetica.
Numerosi sembrano essere i rimandi alla cultura fotografica degli ultimi decenni, da Stephen Shore a Joel Sternfeld, da Lewis Baltz a Wim Wenders, ma il percorso creativo di Hahn non può essere ricondotto solo un’abile costruzione di stampo citazionistico. Ci troviamo a che fare, invece, con una rielaborazione per certi versi onirica (seppur visivamente nitida) di una cultura dell’immagine che si manifesta come la struttura portante della fotografia contemporanea, del cinema a essa collegata e perfino della creatività registica che caratterizza alcune delle serie tv più significative degli ultimi tempi e parte della comunicazione pubblicitaria più raffinata che quotidianamente vediamo passare davanti ai nostri occhi.
Accompagnano le opere di Edoardo Hahn testi del curatore Steve Bisson e dell’architetto e docente universitario Nicola Braghieri.
© CultFrame – Punto di Svista 02/2017
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)
SUL WEB
Il sito di Edoardo Hahn