James Baldwin è morto da circa trent’anni ma la sua opera di romanziere e di critico sociale continua – e ultimamente con più forza – a rappresentare una fonte d’ispirazione teorico-politica per movimenti antirazzisti come Black Lives Matter e per scrittori attenti alla critica delle strutture di dominio razziale, sociale e sessuale come Isabel Wilkerson, Ta-Nehisi Coates o, in Europa, Didier Eribon. Oggi, nell’America razzista e sessista di Trump, la sua testimonianza viene rievocata anche al cinema, grazie a questo film-saggio del regista haitiano Raoul Peck candidato all’Oscar 2017 (contendente di Fuocommare di Francesco Rosi).
Il documentario parte dalle trenta pagine di un manoscritto iniziato nel 1979 e mai terminato che si sarebbe dovuto intitolare Remember This House in cui lo scrittore, rievocando le vite e le uccisioni di Medgar Evers, Malcolm X e Martin Luther King, intesse una riflessione sul razzismo negli Stati Uniti a cavallo tra passato e presente. Il film affida la lettura della parola scritta alla voce di Samuel L. Jackson mentre sullo schermo scorrono fotografie di Baldwin, di Evers, di King, di Malcom X ma anche di Lorraine Hansberry, scrittrice morta prematuramente a cui Nina Simone si ispirò per la canzone To Be Young, Gifted and Black. Il montaggio compone filmati d’archivio (dai linciaggi alle lotte per i diritti civili), interviste televisive, riprese di conferenze e interventi pubblici: ciò che emerge da questa caleidoscopica visione è il punto di vista di un artista e di un testimone partecipante su una stagione di lotte e di repressioni sanguinose. Un punto di vista di cui Peck vuole sottolineare l’attualità mettendo in dialogo materiali di archivio e immagini contemporanee come quelle delle proteste a Ferguson dopo l’uccisione del giovane Michael Brown per mano di un poliziotto.
I Am Not Your Negro è anche un ritratto di Baldwin del quale, grazie ai filmati di repertorio, possiamo apprezzare la straordinaria eloquenza, però è un ritratto parziale nella misura in cui la scelta di concentrarsi su Remember This House, pur permettendo di accedere ad alcuni elementi fondamentali del pensiero antirazzista dello scrittore di Harlem, lascia fuori tutto il nodo politico della sua identità sessuale e di genere privilegiando quindi un’immagine piuttosto classica dell’impegno intellettuale e della militanza. Un’immagine che Peck, regista anche del biopic trionfalistico Il giovane Marx presentato in anteprima alla Berlinale 2017, riesce comunque a non appiattire in virtù della personalità affascinante e complessa dell’autore.
Difatti, il documentario restituisce con forza la riflessione di Baldwin sull’immaginario, sull’iconografia romanzesca e cinematografica del “negro” fatta di stereotipi, omissioni e fraintendimenti a cui non pose certo rimedio, nel corso del tempo, il paternalismo di registi più o meno solidali alla causa integrazionista né il lavoro di attori come Harry Belafonte. Le analisi si intrecciano così alle sequenze evocate dallo scrittore e scelte dal regista con il suo gruppo di lavoro, tratte soprattutto da noti drammi razziali fine anni Trenta – fine anni Sessanta: Lo specchio della vita di John Stahl, Uomo bianco, tu vivrai! di Mankiewicz, La parete di fango e Indovina chi viene a cena? di Kramer, di cui Baldwin critica la falsa coscienza. Vediamo scene di noti western che “trasformarono i massacri in leggenda” e mentre sullo schermo campeggia il faccione di John Wayne o assistiamo a una scena di stupro tratta da Ombre rosse, Baldwin spiega come il razzismo comprometta il senso di realtà dei neri abituati dal cinema (razzista) a identificarsi con gli eroi bianchi che combattono gli indiani per poi scoprire che “gli indiani siamo noi”.
Baldwin stesso, d’altronde, diceva di sentirsi americano in quanto possedeva un orizzonte di riferimenti compreso tra George Washington e John Wayne, il che gli permise di essere molto sensibile alle contraddizioni che attraversano ciascun individuo e di scrivere molto sulle ambiguità, sull’odio di sé, sull’alienazione ma anche sui rapporti interraziali in un’ottica che oggi potremmo definire post-identitaria e post-razziale. Ciò implicò relazioni non sempre facili né con la NAACP, né con i Black Muslims di Malcom X né più tardi con le Black Panthers ma il film non insiste troppo su queste fratture preferendo mettere in luce le solidarietà e le alleanze tra coloro che combatterono per una causa che a tutt’oggi costituisce la fonte primaria di ogni lotta contro strutture di potere che feticizzano una differenza o una caratteristica somatica e la trasformano in criterio di oppressione.
© CultFrame 02/2017 – 03/2017
TRAMA
Nel 1979, James Baldwin intraprende la scrittura di un testo, a metà tra memoria e critica sociale, incentrato su alcune figure fondamentali per la storia dei diritti civili negli Stati Uniti nonché amici personali dello stesso scrittore: Medgar Evers, Malcolm X e Martin Luther King, tutte assassinate nell’arco di cinque anni tra il 1963 e il 1968. La voce di Samuel L. Jackson ci restituisce la potenza di questo testo incompiuto (Remember this house) e di altri scritti di Baldwin intrecciandosi con un ricco repertorio di interviste e documenti capaci di raccontare il razzismo negli Stati Uniti di ieri e di oggi.
CREDITI
Titolo: I Am Not Your Negro / Regia: Raoul Peck / Fotografia: Henry Adebonojo, Bill Ross, Turner Ross / Montaggio: Alexandra Strauss / Musica: Alexei Aigui / Ricerche d’archivio: Marie-Hélène Barbéris / Interpreti: James Baldwin, Samuel L. Jackson (voce narrante), Malcolm X, Martin Luther King Jr., Medgar Evers, Lorraine Hansberry / Produzione: Rémi Grellety, Raoul Peck, Hébert Peck / Francia, USA, Belgio, Svizzera, 2016 / Distribuzione: Feltrinelli Real Cinema, Wanted / Durata: 93 minuti
SUL WEB
CULTFRAME. Berlinale 2017. 67 Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Il programma
Filmografia di Raoul Peck
Berlinale – Il sito