Strade deserte, serrande abbassate, persiane chiuse, vaghe tracce tristi di una vita che è stata, di storici esercizi commerciali arresisi alla crisi o di squallidi franchising nati morti. Sui muri scrostati o alle fermate di autobus che non passano e che nessuno aspetta, campeggiano manifesti inneggianti alla sovranità, all’identità nazionale, richiami quasi tribali a ritrovare il “proprio” clan. È un paesaggio da fine del mondo quello che il regista Régis Sauder filma tornando alla nativa Forbach, un piccolo comune della Lorena più volte slittato da una parte all’altra del confine con la Germania nel corso della storia e vissuto per decenni d’industria mineraria. Ormai sprofondato nella depressione economica, Forbach è l’epitome di quello smarrimento socio-politico che in Francia e altrove nutre l’impressionante bacino di consensi del populismo nazionalista e xenofobo di estrema destra.
Il documentario articola piano personale e piano sociale intrecciando il racconto della relazione tra Sauder e il proprio ambito di origine con una riflessione più collettiva su ciò che Forbach è ed è stata. La violazione della casa degli anziani genitori si trasforma così in un’occasione per ironizzare a denti stretti su un’eredità talmente priva di valore materiale da non essere appetibile neppure per i ladri che, dopo aver frugato ovunque e rovesciato ogni cassetto, non sono riusciti a trovare nulla da rubare. Ma è proprio vero che chi è povero non lascia altro in eredità ai figli se non la vergogna e una zavorra di vecchi oggetti buoni solo per il bidone della spazzatura? Che cosa farsene di quella “honte” che accomuna i compaesani di Sauder e che in dialetto diventa “hante”, curiosa assonanza con il verbo “hanter”, perseguitare?
Ritornare a Forbach significa per il regista fare i conti con un’eredità che non si sceglie e interrogare la vergogna mettendo in luce un doppio tradimento. Il primo è quello che generazioni di dirigenti politici e industriali hanno compiuto ai danni delle classi lavoratrici della zona, prima sfruttate, consumate e avvelenate dal lavoro in miniera e poi abbandonate a pagare in solitaria il prezzo della deindustrializzazione. Il secondo è quello di chi, come lui, ha lasciato l’alveo famigliare appena ha potuto per costruirsi una vita altrove, reagendo alla miseria con la fuga e il diniego.
Il regista compie dunque un tragitto di riflessione su se stesso e sulle determinanti storiche, sociali e politiche della propria posizione di transfuga riuscendo a far comunicare molto bene dimensione pubblica e privata secondo la lezione della scrittrice Annie Ernaux e del sociologo Didier Eribon al cui bellissimo libro Retour à Reims questo documentario si ispira esplicitamente. Anche nei libri di Ernaux ed Eribon, infatti, si tratta di tornare a un sé politicamente e socialmente determinato attraverso il filtro dell’auto-inchiesta. Un’inchiesta che trova nella doppia vergogna (la vergogna di essersi vergognati delle proprie origini) le ragioni di un ritorno a casa e nell’esigenza di cercare un’alternativa tra alienazione e tradimento il criterio con cui scegliere a chi dare la parola. Infatti, oltre ad esplorare la geografia urbana di Forbach e a mostrare alcuni scorci e dettagli della casa natale del regista, Retour à Forbach lascia la parola a diverse generazioni di abitanti scegliendo però di non interpellare quell’elettorato popolare passato dal voto comunista al voto lepenista che spesso suscita la curiosità dei media.
Sauder dà piuttosto spazio a chi non ce l’ha: ascoltiamo quindi le lamentazioni di Doris, la tenutaria storica di un caffè del centro in decadimento, e le speranze di alcuni giovanissimi abitanti del paese che sognano senza timore un futuro da astronauta o una carriera in Tunisia, altri che invece temono di non poter accedere agli studi in medicina per mancanza di mezzi o di fiducia in sé, e alcune vecchie compagne di scuola del regista divenute insegnanti che hanno trovato nel lavoro con studenti di ogni età e provenienza una forma importante di emancipazione e una ragione per vivere e lottare in direzione di un futuro migliore. Attraverso lo sguardo di alcune di queste persone, il film apre varchi di luce in un panorama di ombre e di collera sociale, spazi di energia e di speranza inattesi.
Retour à Forbach non è sentenzioso e non è impervio, è una visione che offre la possibilità a molte persone di riconoscersi e di riflettere sui fili che legano stati d’animo personali e scelte politiche, paura e violenza, il timore di perdere se stessi e ciò che si possiede e forme diverse di discriminazione. Si tratta di un film che troverebbe in Italia un pubblico pronto a cogliere molte analogie tra il contesto narrato e il nostro paese e che ci offrirebbe l’occasione per riflettere pubblicamente sul fatto che la perdita può anche rappresentare un’opportunità di cambiamento in positivo.
© CultFrame 03/2017
TRAMA
Dopo trent’anni, un regista francese torna a Forbach, sua cittadina natale alla frontiera con la Germania, per capire le ragioni del successo elettorale che incontra da quelle parti il Front National. Mostrando l’abbandono generale in cui versa la cittadina e ancora di più i quartieri-ghetto in cui nel corso del tempo sono stati relegati gli immigrati, Sauder riflette sulla storia e sulla politica attuale. Interpellando i coetanei che, al contrario di lui, hanno deciso o si sono ritrovati a restare a Forbach, si interroga sulla propria fuga e su come ciascuno riesca a trovare un posto in cui resistere e creare.
CREDITI
Titolo: Retour à Forbach / Regia: Régis Sauder / Sceneggiatura: Régis Sauder / Fotografia: Régis Sauder / Montaggio: Florent Mangeot / Musica: Deficiency / Produzione: DOCKS 66, Ana Films, Vosges TV / Francia, 2017 / Distribuzione: DOCKS 66 / Durata: 78 minuti
SUL WEB
Filmografia di Régis Sauder
Cinéme du réel – Il sito