Alla Photographers’ Gallery di Londra sono in mostra le opere di quattro fotografi finalisti del Deutsche Börse Photography Foundation Prize, con lavori che spaziano dalla ritrattistica al documentario, dal viaggio alla fotografia concettuale. Tutti, offrono una visione lucida ed introspettiva sulla transitorietà dei rapporti umani, specialmente tra il soggetto e chi lo osserva, e sul dualismo tra ideale e reale nel paesaggio, sia esso naturale o urbano.
La scrittrice, fotografa ed artista concettuale Sophie Calle, è stata selezionata per My All (Actes Sud, 2016), un carnet di cartoline che fungono da portfolio di tutta la sua opera. Un’opera che, per la maggior parte, è l’archivio delle sue avventure, ai margini del quotidiano. Ogni cartolina documenta un evento, racconta di un’assenza, mentre la didascalia riassume le regole del gioco imposto a sé e agli altri.
Oltre a questa pubblicazione, lo spazio espositivo ospita alcuni lavori tratti dal progetto Les Autobiographies, riassunto qui in My mother, my cat, my father, in that order (2012). Calle riflette con sensibilità ed ironia sul tema della morte, che la colpisce da vicino. Una dipartita che è quasi un lungo addio, un evento inevitabile e previsto, di cui l’artista storicizza gli ultimi istanti, le parole emblematiche pronunciate prima di morire, le azioni di chi resta, testimone muto di un fatto ineluttabile. Non importa se a spirare sia un essere umano o l’animale domestico, tutti fanno parte di un universo affettivo, di rituali che esorcizzano il dolore. La madre defunta si reincarna in una giraffa impagliata, che ne assume il nome e assurge a nume tutelare dello studio dell’artista. Il gatto viene deposto in una piccola bara bianca, coperto da un telo ricamato, ed immortalato prima della sepoltura in giardino, in uno scatto post mortem di reminiscenza vittoriana. Il padre, invece, racchiuso in un’edicola lignea, è un’icona fantasma, che riemerge improvvisa dallo schermo di un cellulare, a porre domande inquietanti. Diari femminili registrano momenti depressivi, frustrazioni, dipartite matriarcali, il lato buffo di ogni tragedia, gli interrogativi che resteranno senza risposta.
La fotografa olandese Awoiska van der Molen è stata nominata per la sua mostra Blanco, al Foam Fotografie Museum di Amsterdam (2016). Le immagini di paesaggi astratti in bianco e nero sono frutto di lunghi periodi di tempo passati in paesaggi stranieri, dal Giappone alla Norvegia a Creta. L’artista non è però tanto interessata al paesaggio, quanto all’esperienza di esservi immersa, alla solitudine ed al silenzio, fisico ed emotivo. I forti chiaroscuri della stampa in gelatina d’argento sono quelli in cui si perde lo sguardo, durante i viaggi in solitaria, attraverso panorami reali, che restano anonimi al visitatore. Paesaggi mentali, sublimi ed immobili, scevri dallo scorrere del tempo e dall’alternarsi dei fenomeni atmosferici, dove i rigagnoli hanno valenze lattiginose, le montagne sono nere presenze, ed i campi, lunghe distese di ruvidi fili d’erba. Una riflessione monocromatica, profonda e intima.
Tutta umana, invece, l’avventura documentaristica di un’altra artista olandese, Dana Lixemberg, nominata per l’ambizioso progetto dal titolo Imperial Courts (Roma, 2015). Il ritratto collettivo della comunità del caseggiato popolare nel quartiere di Watts, a Los Angeles, si realizza nello spazio di ventidue anni, situandosi tra un primo reportage, commissionato alla Lixemberg nel 1992, a seguito del verdetto del processo Rodney King, e agli scontri che ne seguirono, fino alle più recenti persecuzioni violente, ai danni dei neri. Se le basse case, chiuse da inferriate, sono le stesse, non altrettanto si può dire delle storie di chi in questo quartiere ci è nato, cresciuto, vissuto o morto, spesso troppo giovane. Gli scatti evocano un quadro onesto, a tratti eroico, celebrando l’epopea di questo quartiere, attraverso ritratti di grande formato, restituendo dignità ed identità ad una comunità che si vorrebbe tenere ai margini.
Infine, gli artisti svizzeri Taiyo Onorato e Nico Krebs sono stati nominati per la loro mostra EURASIA al Fotomuseum di Winterthur (2016). Al foto racconto del viaggio su strada, dalla Svizzera alla Mongolia, si aggiunge quello metafisico, fatto di oggetti tradizionali, simbolo di antiche culture, che, dislocati nei depositi del museo, ritrovano nuova vita, sovrapposti ai paesaggi da cui provengono. Attraverso l’uso di media analogici diversi, tra cui pellicole 16mm e fotocamere a lastre di grande formato, si narrano storie, a tratti surreali, di popolazioni in transizione, dal post-comunismo alla modernità, in un progetto iconografico nuovo, a metà tra memoria e fantasia.
Giunto al suo ventesimo anniversario, il Deutsche Börse Photography Foundation Prize, riflette sempre più le varie dimensioni della fotografia contemporanea, attraverso formati e generi diversi. Il vincitore del premio sarà annunciato, in una speciale cerimonia, il 18 maggio 2017.
© CultFrame 04/2017
INFORMAZIONI
Dal 3 marzo all’11 giugno 2017
Photographers’ Gallery / 16-18 Ramillies Street, Londra
Orario: Tutti i giorni 10.00 – 18.00 / giovedì 10.00 – 22.00
Biglietto: 4 sterline / Ingresso gratuito prima delle 12.00
SUL WEB
Deutsche Börse Photography Foundation Prize 2017
Photographers’ Gallery, Londra