La vertigine del significato, ovvero Twin Peaks 3 di David Lynch

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

L’attesa è finita. Per chi agli inizi degli anni Novanta aveva visto nelle due stagioni di Twin Peaks una geniale rivoluzione della serialità televisiva e la divulgazione popolare di una poetica visuale e narrativa per nulla commerciale e fuori da ogni schema, aspettare quasi tre decenni non è stato semplice. Lynch, però, ha atteso il momento giusto, ha fatto sedimentare nell’immaginario collettivo la sua creatura (ideata e prodotta insieme a Mark Frost) e ha temporeggiato fino a trovare le condizioni economiche e artistiche in grado di far progredire il suo progetto. Il terrore degli addetti ai lavori e degli appassionati riguardava il fatto che la terza stagione di Twin Peaks, portata a termine dopo così tanto tempo (sempre con Mark Frost), rappresentasse una sorta di minestra riscaldata priva di senso.

Ora, però, abbiamo visto i primi due episodi della nuova serie e il sollievo è stato enorme. Lynch, infatti, non ha riscaldato alcuna minestra, ha fatto molto di più, ha fatto altro. Sembra aver sfornato (ma vedremo il proseguimento della serie) un autentico capolavoro, un’opera che si situa pienamente nel solco della sua evoluzione poetica ed estetica e che rappresenta una summa della sua produzione visuale degli ultimi decenni. Twin Peaks 3 è per certi versi, analizzando l’operazione nell’ambito del territorio della serialità televisiva, un prodotto addirittura estremo e decisamente complesso, che ovviamente non insegue tendenze e mode. È in tutto è per tutto un’opera di David Lynch, con le sue dilatazioni parossistiche, le derive oniriche, le aperture surreali, gli squarci sarcastici, le terribili ossessioni, le mostruose angosce e l’insensata follia, fattori tipici del marchio di fabbrica del suo universo creativo.

Ma possiamo dire di più. Se valutiamo con attenzione le immagini di Twin Peaks 3, riconosciamo senza ombra di dubbio gran parte del lavoro che negli anni passati l’autore di Blue Velvet ha effettuato sulla pubblicità, i videoclip musicali e il suo cinema in generale. Echi dei suoi spot per Dior e Sony Playstation, atmosfere legate fortissimamente a Inland Empire (2006), addirittura elementi estetici connessi ad alcuni suoi primissimi esperimenti come The Alphabet (1968) e The Granmother (1970). Infine, potenti iniezioni del suo capolavoro di esordio, ovvero Eraserhead (1977).

David Lynch

In occasione di Twin Peaks 3, è come se David Lynch avesse riorganizzato la propria vicenda artistica, come se avesse capitalizzato il lavoro di cinquant’anni per regalare al pubblico una specie di “retrospettiva” personale con numerose punte di sperimentazione innovativa. Ritroviamo, così, l’agente Dale Cooper (Kyle MacLachlan) sospeso in un mondo bloccato e spaventoso in cui appaiono ancora una volta Laura Palmer (Sheryll Lee), suo padre, l’uomo senza un braccio e la donna con il ceppo (l’ultima nella presunta realtà). Ma vediamo agire anche il suo doppio: un soggetto agghiacciante e privo di espressione, un omicida dallo sguardo algido che si muove nel silenzio e nella notte.

David Lynch

Ma se ci concentrassimo esclusivamente nel ricostruire la trama e le relazioni tra i personaggi faremmo un enorme torto a Lynch. Twin Peaks 3 è essenzialmente un luogo della mente, un abisso visuale e percettivo, un vertiginoso buco nero del significato, uno spazio inquietante in cui si intrecciano raccapriccianti sensazioni psicologiche e abominevoli vicende umane. La realtà parallela della dimensione delirante e visionaria dove sono collocati Laura Palmer e l’agente Cooper è niente altro che la risonanza metafisica dell’orrore del mondo che, se possibile, è molto più feroce e tragica di quella del “mondo sospeso”.

Twin Peaks 3 va fruita proprio nella logica del “doppio”, dell’ossessione e dell’eccesso senza limiti; bisogna abbandonarsi al suo sconvolgente flusso visuale evitando nella maniera più assoluta di razionalizzare il racconto. Solo in questo modo si potrà cogliere il vero segno estetico che caratterizza la terza stagione di Twin Peaks, opera d’arte visiva che si configura come una macchina in grado di spingere lo spettatore a vivere un’esperienza sensoriale e mentale che lo porterà a provare un sentimento perturbante, sconvolgente.  Così, la realtà si trasformerà in un incubo e gli incubi diventeranno la sostanza della realtà.

© CultFrame 05/2017


SU CULTFRAME

Crazy Clown Time. Videoclip diretto da David Lynch
Good Day Today. Videoclip di David Lynch diretto da Arnold de Parscau
I Know. Videoclip di David Lynch diretto da Tamar Drachli
Inland Empire. Un film di David Lynch
Playstation 2. Spot diretto da David Lynch

SUL WEB
Filmografia di David Lynch
David Lynch – Il sito

Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

Articoli correlati

Previous
Next

1

About

New CULTFRAME – Arti Visive rappresenta la naturale evoluzione della precedente rivista fondata nel 2000. Vuole proporre ai lettori un quadro approfondito della realtà creativa italiana e internazionale. L’intenzione è quella di cogliere ogni nuovo fattore che possa fornire sia agli appassionati che agli addetti ai lavori un affresco puntuale e moderno riguardo gli sviluppi odierni delle Arti Visive.

3

COPYRIGHT © 2024 CULTFRAME – ARTI VISIVE.
TUTTI I DIRITTI RISERVATI. AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI ROMA N. 152 DEL 4 MAGGIO 2009