Esordio folgorante quello di William Oldroyd, regista teatrale al suo primo lungometraggio, che sceglie di rileggere il testo ottocentesco di Nikolaj Leskov, Lady Macbeth nel Distretto di Mcensk, spostando l’azione nell’Inghilterra vittoriana, per raccontare la lotta, strenua e tragica, di una donna che non vuole soccombere a un destino che qualcun altro ha tracciato per lei.
Katherine ha solo 17 anni ma la fiamma vivace della sua età sembra destinata a spegnersi nel matrimonio (combinato) con Alexander, un uomo molto più grande, che le riserva una sprezzante indifferenza anche in camera da letto. La giovane, in un forzato isolamento impostole dal marito, vive pressoché reclusa in una cupa magione dove regnano sovrane le volontà del coniuge e dell’inflessibile suocero.
Da questa plumbea solitudine, Katherine, bellezza pallida (co)stretta nella crinolina e sovente avvolta in un austero abito dal colore della notte, sulle prime pare trovare sollievo in qualche fugace passeggiata nella brughiera e in una impercettibile complicità con Anna, la giovane cameriera di colore che, pur in un reverenziale silenzio, sembra comprendere e patire con lei le prepotenze alle quali la sua padrona è sottoposta da Alexander e da suo padre che spesso la costringe ad aspettare sveglia l’arrivo del figlio nell’alcova, rimproverandola di continuo per ciò che considera un volontario e colpevole attardarsi di una gravidanza.
Katherine e Anna, quasi coetanee, rappresentano quel femminile oppresso e denigrato secondo i costumi della società del tempo anche se la prima, forte altresì della sua superiorità di rango, non tarderà a ribellarsi alle angherie e per farlo arriverà a servirsi biecamente della seconda, frantumando quella fragile illusione di una (im)possibile solidarietà di sesso.
Oldroyd, racconta con raggelante eleganza, il radicale quanto funesto mutamento della protagonista prigioniera di norme comportamentali e dottrinali volte ad annientare la sua natura di donna. Katherine, alla quale nel finale è riservata una fine diversa da quella del romanzo, incarna infatti, pur nella scelleratezza di certe scelte, una eroina tragica che lotta strenuamente per riappropriarsi della propria personalità e di quei desideri, naturali e spontanei, che le vengono negati. In preda alla passione dei sensi per il focoso stalliere, ordisce trame sciagurate per potersi ridisegnare quella vita, emotivamente paga, che sente di meritare e che vuole salvaguardare ad ogni costo, anche a quello più atroce e indicibile.
Il regista inglese ci mostra il progressivo mutamento della giovane che, giorno dopo giorno, acquista sempre più fiducia nella propria forza e nella propria ribellione, spezzando le catene di una reclusione fisica ed emotiva per compiere tuttavia un destino ancor più cruento di quello al quale un matrimonio infelice l’avrebbe costretta. Come una sinfonia in crescendo Oldroyd orchestra gli elementi del tragico (il tradimento, la menzogna, l’omicidio…) per comporre il quadro di un fosco presagio che si avvera e delle cui tracce si avverte il sentore fin dall’ingresso della ragazza nella casa di Alexander.
Katherine si muove silenziosa nelle stanze, si adagia sul divano o scruta muta l’esterno dal vetro della finestra come un animale in gabbia che cova propositi di fuga e di vendetta, nutrendosi di una rabbia sorda. L’ambiente intorno a lei la imprigiona e, nel contempo, la incastona, come un prezioso gioiello, in una livida cornice illuminata – merito della bella fotografia di Ari Wegner – da rifrazioni taglienti che fanno entrare la luce come da uno squarcio e ricordano non già le ferme pennellate della pittura inglese quanto certe raffigurazioni degli artisti del Nord, come il danese Vilhelm Hammershøi che collocava le figure negli interni grigi e austeri, amplificando la loro silente disperazione negli spazi di dimore che apparivano sempre troppo strette.
La protagonista, come la Lady Macbeth del titolo, non riuscirà mai a lavare via il sangue dalle proprie mani ma invece di soccombere a quel fato che segnò la fine della regina shakespeariana, si ribella fino in fondo ad esso riuscendo altresì ad affrancarsi dai propri peccati, a suscitare (anche grazie all’ottima interpretazione di Florence Pugh) un’inevitabile empatia nello spettatore che, nonostante le azioni ripugnanti alle quali assiste, non può non comprenderla e, financo, amarla.
Misurato, teso e rigoroso il film di Oldroyd traccia una parabola di libertà a tinte forti, senza concedere sconti alla crudeltà, mostrando il lato più ferino e disturbante di un femminile privo di clemenza per consegnarci un personaggio dalla volontà risonante, certamente oscuro ma anche straordinariamente iconico.
© CultFrame 06/2017
TRAMA
Inghilterra, 1865. La diciassettenne Katherine è costretta a sposare Alexander, un uomo molto più grande di lei che non ama e dal quale non è riamata. Obbligata a vivere in casa con lo scialbo coniuge e il severissimo suocero, la giovane trascorre le sue giornate in una forzata e insopportabile reclusione. Quando inizia una relazione appassionata con il giovane stalliere alle dipendenze del marito, Katherine si spinge ben oltre la semplice ribellione. L’ossessione per Sebastian, infatti, la porterà, a compiere gesti orribili che segneranno la vita di molti innocenti.
CREDITI
Titolo: Lady Macbeth / Titolo originale: Id. / Regia: William Oldroyd / Sceneggiatura: Alice Birch dal romanzo breve di Nikolaj Leskov: Lady Macbeth nel Distretto di Mcensk /Montaggio:Nick Emerson/ Fotografia: Ari Wegner / Scenografia: Jacqueline Abrahams / Costumi: Holly Waddington / Interpreti: Florence Pugh, Cosmo Jarvis, Naomi Ackie, Christopher Fairbank, Paul Hilton / Produzione: Sixty Six Pictures & iFeatures /Distribuzione: Teodora Film / GB, 2016 / Durata: 88 minuti
SUL WEB
Sito ufficiale del film Lady Macbeth di William Oldroyd
Filmografia di William Oldroyd
Teodora Film