I linguaggi, nel loro specifico esercizio antropologico di descrizione e decodifica del mondo, hanno (singolarmente) l’obiettivo di indagare e comunicare la multi-dimensione, la diversità di ciò che ci circonda. Lo testimonia il fatto che ne esistono diversi (di linguaggi), ognuno con la propria peculiarità, altrimenti ne basterebbe uno solo e, a quel punto, forse, nemmeno individuabile e pertanto definibile. E quest’ultima possibilità per vari motivi potrebbe essere addirittura un traguardo raggiungibile, ma qui ci addentreremmo in un discorso talmente complesso che non è possibile affrontare in questa occasione. Non solo: al loro interno, i linguaggi, si interrogano in continuazione sulla loro singolarità, in relazione alla complessa e necessaria interazione tra loro stessi, in un proficuo e necessario intreccio linguistico.
Un esempio di indagine sulle potenzialità della multi-dimensione la rintracciamo nelle opere di Sara D’Uva in mostra nella Galleria Bruno Lisi – AOC F58 di Roma. L’esposizione intitolata The Unseen, a cura di Paola Lagonigro, è un’esplorazione, un tentativo da parte dell’autrice di far emergere le facoltà recondite e latenti di cui l’invisibile è portatore. Anche nella parola stessa ci sembra di recepire una pluralità di significati: quello più comune ci indica una mancanza, un altro ci avverte che vi è qualcosa (in – dentro al) all’interno dell’invisibile, comunque.
Nella sala espositiva troviamo otto fotografie e un video. Le immagini fotografiche, nel loro tentativo di dare percezione a una realtà altra, ci invitano a entrare nella poetica di Sara D’Uva. Per l’autrice l’immersione in una porzione della foresta amazzonica diventa totalizzante, una necessità tutta interiore nella quale avvertiamo che è l’attraversamento il contenuto più importante di questa esperienza.
Nelle fotografie in mostra, come nel video, ritroviamo un significativo esempio di come un’immagine speculare non duplichi essa stessa, non si raddoppi, ma metta in campo in maniera chiara ed efficace il potenziale della multi-dimensione, creando così la possibilità di vedere altro. Occorre semplicemente spostare “il nostro punto di vista”, anche di pochissimo: cambierà la nostra posizione nel mondo e di conseguenza anche la percezione di ciò che stiamo osservando.
Ma c’è dell’altro. L’operazione visuale che Sara D’Uva mette in campo rientra in maniera cristallina all’interno delle peculiarità intrinseche di un concetto cardine del dispositivo e di conseguenza del linguaggio fotografico: non confondere mai la fotografia con l’oggetto fotografato. Come ci avverte Mario Costa nel suo saggio Della fotografia senza soggetto. Quindi, non un duplicato ma uno sguardo altro, non una verità assoluta e confortante ma una presa di coscienza sulla diversità e la multidimensionalità di ciò che circonda.
Nel video, The Unseen: In The Heart Of It, All, veniamo chiamati (nel vero senso della parola), insieme all’autrice, a entrare nella foresta. Osserviamo una persona che cammina davanti a noi, uno sciamano che ci guida nel percorrere un intricato paesaggio non solo visivo ma anche sonoro. Ed è proprio quest’ultimo aspetto, in una relazione linguistica potente ed efficace, a proiettarci in maniera coinvolgente nell’attraversare a distanza questo luogo: voci, fruscii, canti, suoni della foresta, con le loro risonanze profonde, arcaiche, preparano e accompagnano un nostro intimo e profondo desiderio di essere foresta, albero, foglia, fruscio, canto.
© CultFrame – Punto di Svista 06/2017
INFORMAZIONI
Sara D’Uva – The Unseen / A cura di Paola Lagonigro
Dal 5 al 23 giugno 2017
Galleria Bruno Lisi – AOC F58 / Via Flaminia 58, Roma / acof58@virgilio.it; patrizianicolosi@tin.it
Orario: lunedì – venerdì 17.00 – 19.30 / chiuso sabato e festivi
SUL WEB
Il sito di Sara D’Uva
Galleria AOC F58, Roma