Occorre sempre avere idee super brillanti e innovative per fare buon cinema? È proprio necessario costruire immagini potenti e impressionanti per colpire il pubblico? Bisogna per forza andare sopra le righe per realizzare un film toccante? La risposta a queste tre domande è: no.
In verità, sono altri gli elementi a nostro avviso significativi: avere un’idea precisa di ciò che si vuole fare, farsi guidare da un senso estetico soggettivo (legato al sentimento percettivo) e affidarsi a uno stile riconoscibile e personale.
Ebbene, i fattori sopra citati sembrano essere alla base di Una vita, Une vie, film del francese Stéphane Brizé. A partire da un romanzo di Guy de Maupassant, il cineasta di Rennes edifica un racconto estremamente semplice e delicato.
Perno centrale è la figura di Jeanne, giovane ragazza di una famiglia della nobiltà rurale della Normandia che attraversa l’esistenza nella solitudine e nell’ingenuità più totale. Jeanne ha una mente pura, non riesce a comprendere il male che si annida nelle menti altrui. Anche il figlio finisce per usarla e per farla ridurre in miseria a causa delle sue continue richieste di denaro (a cui lei non riesce a dire no). Il marito, inoltre, la tradisce ripetutamente con cinismo e spregiudicatezza.
Il sentimento dell’amore e l’impulso affettivo verso le persone che stanno attorno a Jeanne sono fattori che scaturiscono naturalmente dalla mente della protagonista, la quale ha un mondo interiore estremamente delicato e fragile, fatto di pensieri solitari e sensazioni intime. Non chiede altro alla vita, se non amare ed essere amata. Eppure, il suo destino sarà tragico, tutto racchiuso in un castello appartato (circondato da fattorie) che sarà allo stesso tempo il suo amato rifugio e la sua inquietante prigione, il simbolo spaziale del suo isolamento affettivo e umano.
Stéphane Brizé ha realizzato un’opera di grande rigore narrativo, visuale e formale. L’immagine, un 4:3 dal sapore antico, è il cuore dell’operazione espressiva messa in atto dall’autore. Questa sorta di limitazione claustrofobica dell’inquadratura semplifica la fruizione da parte dello spettatore, concentra la percezione sulla figura esile e delicata del personaggio centrale, evita ogni tipo di spettacolarizzazione.
L’architettura visiva, dunque, è diretta e facilmente godibile, basata su particolari della realtà e dettagli del corpo e del viso, ed è costruita spesso con un’impostazione molto libera della strutturazione visuale. A ciò si aggiunge la poetica, ancorché realistica, direzione della fotografia di Antoine Héberlé, tutta incentrata su una luce naturalistica, tenue e per nulla “pompata” e artificiale. E proprio quest’ultimo aspetto ha rappresentato la scelta estetica ideale per comunicare a pieno i tragici contenuti del racconto di Maupassant portato sul grande schermo da Stephane Brizé.
Da notare, infine, come quest’operazione filmica non si sarebbe potuta mettere in atto senza un’attrice in grado di ricoprire in modo adeguato il ruolo centrale, per altro difficilissimo. Ebbene, Brizé ha scelto per questo improbo impegno la giusta interprete: Judith Chemla.
Si tratta di una giovane attrice che ha già lavorato con Bernard Tavernier e André Techiné e che ha mostrato in questa occasione il suo talento. Reggere per quasi 120 minuti un personaggio perennemente inquadrato e dover comunicare, praticamente nel silenzio quasi assoluto, la raffinatezza dell’animo di Jeanne e la profondità dei suoi sentimenti feriti e traditi non era per nulla facile. Judith Chemla ci è riuscita perfettamente delineando, grazie a una recitazione sotto tono ed elegante, una figura femminile tra le più intense e commoventi del cinema europeo degli ultimi anni.
© CultFrame 09/2016 – 06/2017
TRAMA
Jeanne è una ragazza di una famiglia nobile della Normandia. Dopo aver fatto gli studi in un concento torna a casa dai genitori che la accolgo nella loro bella tenuta di campagna. Jeanne, successivamente, si sposerà con un visconte (un po’ in difficoltà) e inizierà una vita semplice e ritirata. Il destino sarà con lei crudele. Il marito la tradirà ripetutamente, mentre il figlio l’abbandonerà e la ridurrà in miseria a causa delle sue follie.
CREDITI
Titolo: Una vita, Une vie / Titolo originale: Une vie / Regia: Stéphane Brizé / Sceneggiatura: Stéphane Brizé, Florence Vignon, dal romanzo Une vie di Guy de Maupassant / Fotografia: Antoine Héberlé / Montaggio: Anne Klotz / Scenografia: Valérie Saradjian / Costumi: Madeline Fontaine / Musica: Olivier Baumont / Interpreti: Judith Chemla, Jean-Pierre Darrousin, Swann Arlaud, Yolande Moreau / Produzione: TS Production / Paese: Francia, 2016 / Distribuzione: Academy Two / Durata: 119 mins.
SUL WEB
Filmografia di Stéphane Brizé
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito
Academy Two