Watermark. A Roma la mostra fotografica di Michael Ackerman

SCRITTO DA
Daniel Montigiani
© Michael Ackerman
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È ormai ben noto come, grazie a programmi di postproduzione quali Photoshop e Lightroom, sia possibile ottenere immagini di alta qualità, tanto che sono sempre di più i fotografi – professionisti e non – interessati a utilizzare tali strumenti per (tentare di) conferire maggiore forza alle loro creazioni. Talvolta, tuttavia, capita di rimanere così stupiti di fronte all’impeccabilità di fotografie accuratamente postprodotte da non rendersi subito conto di trovarsi davanti a lavori in realtà poco significativi. A  essere maliziosi si potrebbe dunque pensare che alcuni fotografi ricorrano agli indiscutibili “miracoliˮ di Photoshop e dintorni per cercare di far passare in secondo piano – o far dimenticare – la scarsa originalità delle loro idee. Fortunatamente però in questo campo ci sono degli artisti che riescono a trasformare l’infinita gamma di imperfezioni e “sbavatureˮ di una fotografia in un sorpredente punto di forza.

Per avere una prova di ciò è sufficiente visitare Watermark, mostra di Michael Ackerman curata da Lina Pallotta e ospitata presso la sede romana di Officine Fotografiche. Attraverso, ad esempio, le invasive sfocature presenti in queste immagini (quasi tutte in bianco e nero) di vita quotidiana il fotografo israeliano rinuncia a una rassicurante nitidezza, confondendo così la nostra percezione e trasmettendo un senso di disagio tanto profondo quanto avvolgente e misterioso, capace a tratti di evocare pellicole come Eraserhead di David Lynch o Le armonie di Werckmeister di Béla Tarr.

© Michael Ackerman

© Michael Ackerman

In certi casi la grana dell’immagine è talmente evidente da divenire una sorta di cappa che soffoca i corpi e le architetture, mentre il mosso che scuote alcune inquietanti sagome ben traduce visivamente l’idea dell’instancabile dimenarsi di un tormento, rimandando così alla convulsa fragilità della condizione umana. La morsa ferocemente malinconica dell’occhio di Ackerman non viene meno neanche nelle (poche) fotografie a colori, in cui, con lacerante semplicità, l’artista mette a nudo l’intimità – talvolta livida – dei corpi, ricordando in questo modo alcuni lavori di Nan Goldin.

© Michael Ackerman

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In tale scenario teso ed enigmatico non mancano però visioni maggiormente ariose, a volte addirittura poetiche. In una delle foto in bianco e nero più affascinanti della mostra vediamo una donna e una bambina (probabilmente madre e figlia) abbracciate su un letto, all’interno di una porzione di ambiente (forse una camera) immerso nella semioscurità. A colpire è soprattutto la testa della piccola appoggiata sul collo della donna, un particolare grazie al quale intuiamo la sicurezza provata dalla bambina nel trovarsi in questa situazione per lei così piacevolmente intima. Qui, dunque, Ackerman utilizza il buio non come elemento di disturbo, bensì di protezione. Si tratta, perciò, di un’oscurità accogliente, vibrante di calore, che quasi culla la piccola.

Spesso le immagini meno minacciose sono proprio quelle in cui compaiono figure di bambine, simboli di candore che Ackerman, forse memore del lavoro fotografico di Lewis Carroll, trasforma in presenze eteree fuori dal tempo, a tratti così evanescenti da assomigliare a degli spettri. Ecco allora che l’artista finisce per far emergere il lato insospettabilmente fantasmatico della loro purezza: alla luce di ciò, dunque, capiamo che anche le fotografie tutt’altro che disturbanti sono percorse da quel sottile, lancinante filo di inquietudine che caratterizza da sempre lo stimolante lavoro di questo fotografo. Ackerman, difatti, dà vita alle proprie creazioni sotto il segno dell’ambiguità, grazie alla quale può rendere sfuggente e profondamente enigmatica persino l’immagine (in apparenza) più semplice. Un’ammirevole peculiarità questa che la mostra mette perfettamente in evidenza.

© CultFrame 06/2017

INFORMAZIONI
Mostra: Michael Ackerman – Watermark / A cura di Lina Pallotta
Dal 22 giugno al 15 luglio
Officine Fotografiche / Via Giuseppe Libetta 1, Roma / Tel. 06.97274721 / of@officinefotografiche.org
Orario: lunedì – venerdì 10.00 – 13.00 e 14.30 – 19.00 / Sabato e domenica chiuso / Ingresso libero

SUL WEB
Agence Vu. Michael Ackerman
www.officinefotografiche.org

 

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Daniel Montigiani

Laureato in Scienze dello Spettacolo e diplomato al Master di Critica Giornalistica presso l'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico, è critico cinematografico e membro del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI). Ha collaborato con le riviste online Recensito e Paper Street. Fra le sue pubblicazioni: Non solo paura: ironia e black humour, saggio contenuto in Cuore di tenebra: il cinema di Dario Argento (Edizioni Ets) e il libro American Horror Story. Mitologia moderna dell'immaginario deforme (Viola Editrice) scritto con Eleonora Saracino.

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