Nel 1985, Margareth Atwood scrisse Il racconto dell’ancella, romanzo distopico sull’avvento di un regime teo-totalitario in cui le donne delle classi subalterne vengono schiavizzate per figliare a beneficio delle classi dominanti. Il romanzo, che era già stato portato sullo schermo nel 1990 da Volker Schlöndorff, è tornato recentemente in auge perché Hulu ne ha tratto una serie tv che ha riscosso enorme successo. La risonanza e la rilevanza della serie nell’attuale congiuntura politico-economica sono testimoniate dal fatto che durante le proteste tenutesi nella primavera 2017 contro l’introduzione di misure antiabortiste in Texas, gruppi di manifestanti hanno indossato la divisa delle “ancelle” televisive per riaffermare il diritto delle donne all’autodeterminazione sul proprio corpo. Atwood utilizzava la fantascienza per condurre una profonda e lungimirante riflessione materialista sull’economia della riproduzione e sull’appropriazione del corpo femminile da parte dei poteri (religioso, politico, economico) portando alle estreme conseguenze l’ipotesi per cui in un mondo in cui tutto è merce, anche la vita potrebbe essere oggetto di produzione e vendita su larga scala.
Il film di Sebastiano Riso non è lontano da questo ambito problematico ma lo accosta in modo maldestro. Inizialmente c’è una coppia molto innamorata, lei è la cantilenante Micaela Ramazzotti, lui è lo stallone francese Patrick Bruel: si cercano, si amano, si avvinghiano ma nascondono un mistero. Sembra che i due non riescano ad avere figli ma lei non mangia e si trascura, lui la porta al ristorante, le prepara tisane peruviane per la fertilità che lei beve controvoglia. Poi un’improvvisa virata drammaturgica rivela che la coppia non ha problemi di infertilità, anzi, lui è coinvolto in un traffico di neonati e lei è il suo utero in affitto. Un po’ vittima e un po’ complice, la donna accetta l’aberrante condizione e le violenze di lui per miseria ma anche perché crede nella promessa, puntualmente disattesa, che un giorno possano avere insieme un figlio vero, non in vendita. Tra atti di sadismo ginecologico, coiti luttuosi, neonati morti e scene madri, il film manca completamente il bersaglio che il giovane regista siciliano ha dichiarato essere all’origine del suo lavoro ovvero una denuncia delle difficili procedure di adozione, soprattutto per le coppie omosessuali, e del mercato nero di neonati che ne consegue.
Se il regista del poetico Più buio di mezzanotte voleva davvero levare una voce a favore dei diritti delle coppie dello stesso sesso, perché ha inserito nel suo film l’inverecondo stereotipo dei froci ricchi (uno di loro è Ennio Fantastichini, omaggio al Saturno contro di Ozpetek?) e tanto raffinati quanto oculati quando si tratta di compiere il “controllo qualità” della merce da acquistare? Nel contesto della crisi sociale ed etica che attraversiamo, sarebbe auspicabile che un cinema che si voglia veramente civile evitasse di contrapporre tra loro categorie sociali discriminate e vulnerabili.
Una nota di merito va comunque alla cura della fotografia e del ritratto degli ambienti della periferia romana.
© CultFrame – Punto di Svista 09/2017
Film presentato alla 74. Biennale Cinema di Venezia
TRAMA
Maria e Vincent sono una coppia che nasconde un segreto inconfessabile. Apparentemente coppia innamorata e desiderosa di avere un figlio, in realtà legata da un patto economico atroce che Maria vorrebbe sciogliere, pur senza riuscirci.
CREDITI
Titolo: Una famiglia / Regia: Sebastiano Riso / Sceneggiatura: Sebastiano Riso, Stefano Grasso e Andrea Cedrola / Fotografia: Piero Basso / Montaggio: Ilaria Fraioli / Scenografia: Paola Bizzarri / Interpreti: Micaela Ramazzotti, Patrick Bruel, Pippo Delbono, Fortunato Cerlino, Marco Leonardi, Matilda De Angelis, Ennio Fantastichini / Produzione: Indiana Production, RAI cinema / Distribuzione: BIM / Italia, 2017 / Durata: 119 minuti
SUL WEB
Filmografia di Sebastiano Riso
Mostra Internazionale del Cinema di Venezia – Il sito
BIM Distribuzione