Molte opere di arte contemporanea nascono da idee radicali: basti pensare, soltanto per fare qualche esempio, alla Fontana di Duchamp e alle performance di Gina Pane, Vito Acconci e Marina Abramovič. Pochi artisti, però, sono riusciti a essere tanto estremi quanto stimolanti come ORLAN, alla quale dal 25 ottobre al 3 dicembre 2017 il MACRO di Roma dedica una retrospettiva curata da Alessandra Mammì, VideORLAN ‒ Technobody.
La performer francese ha utilizzato, spesso in maniera a dir poco anticonvenzionale, il proprio corpo come principale mezzo di espressione, una caratteristica questa che la mostra mette bene in evidenza. Si fanno infatti notare alcuni suoi celebri video dei primi anni Novanta che documentano una serie di interventi chirurgici ai quali la stessa ORLAN si sottopone, opere in cui lʼartista diviene materia grezza, quasi primigenia, allo scopo di raggiungere ‒ e contemporaneamente contestare ‒ lʼideale di bellezza. Tramite tali operazioni lʼaspetto di ORLAN finisce difatti per riecheggiare quello di modelli classici quali la Monna Lisa e la Venere del Botticelli; viene così a stabilirsi una sorta di dialogo suggestivamente stridente fra la grottesca fisicità della performer e lʼaura apollinea di alcuni leggendari capolavori.
Le (scioccanti) sorprese, però, non terminano qui: queste operazioni si svolgono come delle bizzarre cerimonie in cui, ad esempio, ORLAN declama versi, impugna crocifissi colorati o bacia il chirurgo. Agli angoli dellʼinquadratura, inoltre, vi sono talvolta dei frame nel frame, allʼinterno dei quali vediamo cellule in movimento della stessa artista: immagini della “vita interiore” del suo corpo che, inserite in un contesto così peculiare, finiscono per assomigliare a dei piccoli, frenetici quadri astratti.
La controversa performer lavora dunque sui limiti del corpo, sulle deformazioni a cui questo può prestarsi, mettendone però paradossalmente in evidenza le numerose, stimolanti potenzialità. Soprattutto con la serie di interventi chirurgici ORLAN vede la figura umana e il suo organismo come delle continue scoperte capaci di suscitarle riflessioni grottesche e struggenti allo stesso tempo: «Posso vedere me stessa fino in fondo alle mie viscere, sotto un nuovo punto di vista. Posso vedere il cuore del mio amante. Tesoro, mi piace la tua milza, mi piace il tuo fegato, adoro il pancreas e la linea del tuo femore mi eccita», scrive lʼartista nel suo Manifesto della Carnal Art (1989).
Nonostante questi eccessi, a differenza degli esponenti della Body Art quali i già citati Gina Pane e Vito Acconci, ORLAN rifiuta il dolore. Gli interventi, infatti, per quanto impressionanti, non prevedono alcun tipo di sofferenza: «Sì allʼanestesia peridurale, a quella locale e agli analgesici! Evviva la morfina! Abbasso il dolore!» esclama la performer con fare quasi scherzoso sempre nel suo manifesto.
Il senso del gioco è riscontrabile anche in una delle opere più interessanti in esposizione, Têtes à claques, jeu de massacre (1977), che consiste in una serie di foto a grandezza naturale di ORLAN nuda incollate su un supporto ligneo che il visitatore deve colpire con delle piccole palle poste in un secchio. Si tratta però di un “divertissement” piuttosto feroce, attraverso il quale lʼartista sembra voler sottolineare quanto, nella società patriarcale, la donna possa facilmente costituire un bersaglio dellʼocchio del maschio medio. Il nudo qui non è dunque sinonimo di libertà e di orgogliosa gioia di esprimersi, bensì di (possibile) mancanza di difese. Del resto, durante la conferenza stampa svoltasi al MACRO lo scorso 24 ottobre, ORLAN ha ribadito di aver sempre messo al centro del proprio lavoro «lʼindividuazione dello stato del corpo nellʼattualità».
La drammatica condizione femminile è alla base anche di un altro lavoro in mostra, Self- hybridations (2014), una serie di immagini di realtà aumentata: scaricando unʼapposita app, possiamo vedere ORLAN trasformarsi in un avatar in 3D che salta fuori da fotografie rielaborate delle maschere dellʼOpera di Pechino per poi occupare il nostro smartphone o Ipad. In questo modo, la performer contesta le regole del teatro lirico nazionale cinese, in cui, ancora oggi, i ruoli femminili sono interpretati esclusivamente da uomini. Le Self-hybridations, inoltre, costituiscono unʼaltra prova di come ORLAN abbia spesso utilizzato la tecnologia (anche) per conferire ulteriore forza alla propria poetica: non a caso, il body presente nel titolo della retrospettiva è significativamente preceduto da un techno.
Una mostra, insomma, indubbiamente interessante, sebbene, forse, poco esaustiva: qualche opera in più avrebbe sicuramente aiutato quella parte di pubblico che ha poca dimestichezza con ORLAN a conoscere (ancora) meglio il suo universo.
© CultFrame 11/2017
INFORMAZIONI
Mostra: VideORLAN – Technobody / a cura di Alessandra Mammì
Dal 25 ottobre al 3 dicembre 2017
MACRO – Museo dʼArte Contemporanea Roma / Via Nizza 138, Roma. / Tel. 060608 / macro@comune.roma.it
Orari: martedì – domenica ore 10.30 – 19:30 (la biglietteria chiude unʼora prima) / Chiuso il lunedì
Ingresso: Intero 9 euro / Ridotto 7 euro
SUL WEB
Il sito di ORLAN
MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma