Ancora una volta una delle più significative serie tv degli ultimi anni arriva dall’Europa. Dopo gli inquietanti enigmi della comunità montana francese al centro de Les Revenants (serie poi divenuta oggetto di un remake americano poco incisivo), ecco un’altra esperienza creativa (fruibile sulla piattaforma Netflix) che si distingue per professionalità, intelligenza narrativa ed elaborazione visuale. Stiamo parlando di Dark (in Italia presentato con il titolo de I segreti di Winden), un prodotto tedesco datato 2017 e ideato da Baran bo Odar e Jantje Friese.
A prima vista siamo dalle parti di Twin Peaks (come ambientazione e atmosfere) e proprio de Les Revenants. Ma Dark ha, invece, una sua fisionomia molto precisa, una sua identità contenutistica e narrativa e un suo linguaggio riconoscibile. Ci troviamo nuovamente alle prese con le ossessioni di un gruppo apparentemente isolato dal mondo. Tutto è racchiuso in una gigantesca e perturbante foresta: non solo il villaggio, la scuola e la locale stazione di Polizia, ma anche una centrale nucleare costruita negli anni Cinquanta.
Il racconto è ambientato nel 2019 e non è un caso che stiamo ora indicando alcuni riferimenti temporali perché è proprio intorno al problematico concetto di tempo che è sapientemente costruita la vicenda. In questo contesto avvengono alcune misteriose sparizioni di bambini, fenomeno spaventoso che si era già verificato a Winden nel 1986 e nel 1953, cioè ogni trentatré anni.
Ebbene, la struttura da giallo-thriller, con tanto d’indagine portata avanti da una cocciuta poliziotta e da un suo collega il cui figlioletto è scomparso, rappresenta solo lo strato più superficiale del racconto. Sotto questa “crosta” narrativa sono riscontrabili altri livelli contenutistici.
In primo luogo, quello relativo al morboso e disastroso intreccio che riguarda praticamente tutte le famiglie più in vista della piccolissima cittadina di Winden, intreccio che si ripropone nei decenni in maniera sempre più contorta, malata e disturbante. Questo labirinto esistenziale si collega alla questione della presenza ingombrante della centrale nucleare che a sua volta è un luogo di mistero, di conflitto e, per certi versi, di follia. Tali fattori si innestano in una delle idee alla base di Dark: la rappresentazione di una natura che non è concetto idealizzato di bellezza quanto piuttosto metafora della piccolezza/debolezza del genere umano posto di fronte all’inspiegabile anarchia di un mondo naturalistico che risulta inafferrabile, minaccioso e oscuro.
Infine, l’elemento centrale del plot che fa virare il racconto prima verso la scienza, poi verso la fantascienza e quindi verso il mistery. Ci riferiamo alla nozione contraddittoria di tempo che è la colonna vertebrale di una trama che procede in modo matematico ma che allo stesso tempo riserva sempre delle sorprese. Tale nozione è analizzata e delineata drammaturgicamente attraverso diversi argomenti filosofici e scientifici: dal tempo chronos (susseguirsi consequenziale di eventi secondo le convenzioni sociali su cui poggia l’idea di Storia) al tempo aion (in cui il presente è atopico, cioè manca sempre a se stesso, e passato e futuro sono mutabili e praticamente non misurabili), dall’eterno ritorno dell’uguale di nietzschiana memoria alla teoria dei buchi neri, dalla curvatura dello spazio-tempo al ponte di Einstein-Rosen, quest’ultimo una sorta di passaggio nello spazio-tempo che potrebbe permettere lo spostamento superveloce da un punto a un altro dell’universo.
All’interno di questa raffinata architettura narrativa, bisogna però rintracciare il nucleo poetico dell’operazione produttiva presa ora in esame che possiamo individuare in due diverse componenti. La prima: il senso indecifrabile del destino umano e in generale dell’esistenza. La seconda: la disperazione da parte della società (quindi anche dell’individuo) che cerca di controllare accanitamente e razionalmente la realtà non riuscendovi mai (tema, tra l’altro, fortemente kubrickiano).
A quanto detto, bisogna necessariamente aggiungere una riflessione sull’impianto registico affidato in tutti gli episodi al regista e sceneggiatore svizzero Baran bo Odar, il quale ha edificato una struttura formale estremamente moderna che si colloca al di là della pura estetica cinematografica. Come altri suoi colleghi (e ciò l’abbiamo già affermato per serie come Fargo e il già citato Les Revenants), Baran bo Odar attinge chiaramente a un’impostazione che proviene da un versante della fotografia contemporanea che deriva dall’esperienza creativa di autori come Jeff Wall e Gregory Crewdson.
Molte inquadrature del regista svizzero appaiono marmorizzate in una fissità terribile e gli esseri umani risultano, così, quasi elementi inanimati di una composizione dell’immagine che potremmo definire raggelante, senza speranza. La luce è sempre scura, e malinconica, la parte cromatica cupa e oppressiva. I paesaggi imperscrutabili e agghiaccianti. I cieli plumbei e pesanti.
I frame di Dark sono in sostanza apparizioni rabbrividenti della fragilità umana, dell’impotenza dell’intelletto e del corpo, dell’assurdità delle azioni dei singoli, dell’angoscia di una collettività minuscola, gli abitanti di Winden, aspetti che evocano tragicamente il senso di smarrimento di tutti gli esseri viventi davanti alla comprovata e frustrante incapacità di comprendere il mondo.
© CultFrame 01/2018
CREDITI
Titolo: Dark / Titolo italiano: I segreti di Winden / Regia: Baran bo Odar / Ideatori: Baran bo Odar, Jantje Friese / Sceneggiatura: Baran bo Odar, Jantje Friese, Martin Behnke, Ronny Schalk, Marc O. Seng / Fotografia: Nikolaus Summerer / Scenografia: Udo Kramer / Interpreti: Louis Hofmann, Oliver Masucci, Andreas Pietschmann, Angela Winkler, Michael Mendl, Jördis Triebel, Sebastian Rudolph, Mark Waschke / Produzione: Wiedemann & Berg Television / Distributore: Netflix / Anno: 2017 / Episodi: 10
SUL WEB
Filmografia di Baran bo Odar
Netflix