My Little Loves. Mostra di Sharon Lockhart al Museu Coleção Berardo di Lisbona

SCRITTO DA
Claudio Panella
© Sharon Lockhart. When You’re Free, You Run in the Dark, Buła 2016. Chromogenic print. Courtesy the artist, neugerriemschneider, Berlin and Gladstone Gallery, New York and Brussels
©  Sharon Lockhart. installation view: Sharon Lockhart. Milena, Kunstmuseum Luzern /  Milena, Jarosław, 2013 2014, three framed chromogenic prints. Courtesy the artist, neugerriemschneider, Berlin, and Gladstone Gallery, New York and Brussels

© Sharon Lockhart. Installation view: Milena, Kunstmuseum Luzern / Milena, Jarosław, 2013-2014, chromogenic prints. Courtesy the artist, neugerriemschneider, Berlin, and Gladstone Gallery, New York and Brussels

La mostra di Sharon Lockhart allestita presso il Museu Coleção Berardo di Belem a Lisbona, curata da Pedro Lapa e realizzata in collaborazione con il festival Doclisboa, raccoglie una serie di opere recenti, soprattutto fotografie e videoinstallazioni elaborate dall’artista nell’ambito del suo progetto sull’infanzia a Łódź in Polonia. Da vent’anni, l’opera fotografica e filmica di Lockhart ritrae individui e comunità umili, ignorate o sottovalutate, con particolare attenzione alla loro dimensione quotidiana: ha ritratto la vita di una raccoglitrice di molluschi sulle coste del Maine documentando il rapporto tra ritmi naturali e un lavoro umano di grande fatica; operai americani in pausa pranzo; scolare giapponesi che si allenano in palestra; bambini in zone rurali statunitensi e in spazi urbani o periurbani polacchi. Il suo metodo si basa sull’osservazione e l’esplorazione etnografica degli ambiti scelti in cui può capitare di intrecciare relazioni che imprimono una particolare direzione all’indagine artistica.

Proprio come è capitato nel 2009 mentre a Łódź girava Podwórka. Il film, che è in mostra, dura 29 minuti e – lo lascia intuire il titolo che significa “cortile” – è costruito sulla successione di sei diverse sequenze-quadro che ritraggono ciascuna un cortile, una porzione di spazio nella quale giocano singoli o piccoli gruppi di bambini. C’è chi gira in bicicletta nel patio di un caseggiato sovietico scrostato, chi si arrampica sui tetti di un fabbricato in abbandono, chi scava la sabbia sotto il selciato, chi tira calci a un pallone con la ripetitività caratteristica di certi svaghi infantili. Lockhart sviluppa un linguaggio a metà strada tra il cinema e la fotografia in cui l’inquadratura è per lo più fissa e la dimensione temporale permette l’emergere di eventi solo in apparenza minimi: escogitare dopo vari tentativi una strategia per superare un ostacolo, decidere tra il rischio e la rinuncia, giocare a pallone con un gruppo di più piccoli tirando colpi che parlano di noia ma anche di autoaffermazione. Una poetica minimalista che induce a riflettere sul fatto che crescere significa accumulare tanti momenti apparentemente trascurabili come questi. Sono sequenze mai prive d’interesse, di tensione, anche di inquietudine, se pensiamo a come l’universo ludico di queste presenze innocenti si iscriva sempre in un panorama architettonico di decadimento post-sovietico e in cui un graffito su un muro suggerisce un antisemitismo diffuso.

© Sharon Lockhart. Podwórka 2009. Single-channel film installation (16mm film transferred to HD video, color/sound) duration: 28:36 minutes, continuous loop. Courtesy the artist, neugerriemschneider, Berlin, and Gladstone Gallery, New York and Brussels

© Sharon Lockhart. Podwórka 2009. Single-channel film installation (16mm film transferred to HD video, color/sound), duration: 28:36 minutes, continuous loop. Courtesy the artist, neugerriemschneider, Berlin, and Gladstone Gallery, New York and Brussels

È in uno di questi cortili che l’artista ha incontrato Milena, una bambina di allora nove anni, con cui ha stretto amicizia giocando. L’amicizia si è sviluppata negli anni successivi e si è intensificata nel momento in cui la ragazzina le ha confessato che un giorno avrebbe voluto scrivere la propria autobiografia. Questo desiderio è divenuto il pretesto per una serie di fotografie come per esempio le tre bellissime stampe Milena, Jarosław, 2013 (2014) in cui, seduta ad un tavolo, l’adolescente si copre il viso prima con una mano, poi con le braccia, fino a creare con le mani uno spiraglio attraverso il quale riusciamo a percepire gli occhi e i tratti di un volto forse finalmente un po’ più pronto a rivelarsi al mondo.

© Sharon Lockhart. When You’re Free, You Run in the Dark, Buła 2016. Chromogenic print. Courtesy the artist, neugerriemschneider, Berlin and Gladstone Gallery, New York and Brussels

© Sharon Lockhart. When You’re Free, You Run in the Dark, Buła 2016. Chromogenic print. Courtesy the artist, neugerriemschneider, Berlin and Gladstone Gallery, New York and Brussels

È grazie alla ragazzina che Lockhart è entrata in contatto con il centro di Socioterapia per Giovani di Rudzienko dove si era trasferita. Lì, l’artista ha potuto sviluppare nel corso di tre anni attività laboratoriali insieme al personale del centro (pedagoghi, filosofi, terapeuti, musicisti, teatranti) e ad alcune compagne di Milena dando luogo a un corpus di opere dedicate alla fine dell’infanzia e al limbo dell’adolescenza tra cui la bellissima immagine-guida della mostra intitolata When you are free, you run in the dark (2016) cioè “quando sei libera corri nell’oscurità”, un titolo che riprende le parole di una giovane ospite del centro da cui scaturisce tutto un universo esistenziale di paure, desideri, sogni, incubi, forza e vulnerabilità.

Il progetto attinge da un universo di riferimenti molto ampi ma è sicuramente centrale la figura del pediatra e pedagogo Janusz Korczak (1878–1942), di cui è in mostra una copia del libro Come amare un bambino stampata in Braille, proprio per sottolineare l’attenzione verso i più deboli e invisibili. Rappresentante della pedagogia sociale, Korczak era molto attento allo sviluppo delle qualità innate dei bambini, della loro capacità di autonomia e di giudizio tanto da fondare nel 1926 il giornale Mały Przegląd, una sorta di “Corriere dei piccoli” con testi interamente redatti da bambini, che uscì fino al 1939 come supplemento del quotidiano ebraico di Varsavia Nasz Przegląd. Lockhart, che ha già dedicato alla rivista un’installazione intitolata Little Review ospitata nel padiglione polacco dell’ultima Biennale di Venezia, propone in mostra a Lisbona una ristampa di un numero del 1931 scelto proprio da un gruppo di compagni di Milena a Rudzienko, tradotto in inglese e portoghese per l’esposizione e distribuito ai visitatori.

© Sharon Lockhart. Milena, Dębki, 2014. chromogenic print. Courtesy the artist, neugerriemschneider, Berlin, and Gladstone Gallery, New York and Brussels

© Sharon Lockhart. Milena, Dębki, 2014. chromogenic print. Courtesy the artist, neugerriemschneider, Berlin, and Gladstone Gallery, New York and Brussels

L’universo estetico di Lockhart ha segnato ed è segnato a propria volta dal cinema, come testimonia il video Antoine/Milena (2015): tre minuti e mezzo in loop in cui la ragazza corre nella foresta fino a trovare la spiaggia, lì si avvicina al mare e infine si gira verso la macchina da presa facendo eco al leggendario sguardo in macchina da cui prese avvio l’epopea di Antoine Doinel. Legato allo stesso progetto è, poi, il suo ultimo film Rudzienko, presentato al Doclisboa’17 nei giorni dell’inaugurazione di My Little Loves e, più di recente, proiettato in Italia al Filmaker’s di Milano.

Al Festival di Lisbona dello scorso ottobre, Lockhart è stata invitata nella sezione Passages che le ha dato la possibilità di associare la prima del suo nuovo film alla proiezione di un film del passato: l’artista ha scelto il recentemente restaurato Mir kumen on (Children must laugh) di Aleksander Ford, originario di Kiev e a lungo direttore della Scuola nazionale polacca, che nel 1936 realizzò un documento davvero unico sulla vita nel Medem Sanatorium che aveva sede vicino a Varsavia. Il film faceva schiettamente propaganda per la clinica, promossa dal Bund dei lavoratori ebrei polacchi, che dava cure e alloggio non solo a bambini ebrei malati ma anche ai più poveri, infondendo in migliaia di loro una ideologia comunitaria per molti aspetti vicina al comunismo: quanti dei ragazzi che ancora oggi vediamo recitare se stessi sullo schermo nella parte degli ospiti del sanatorio, dove realmente vivevano, sono poi morti nel ghetto di Varsavia?

Il film di Ford, seppur stilisticamente assai differente dai lavori di Lockhart, dialoga in maniera lampante con essi avendo al centro la relazione tra giovani e aspettative di una vita adulta che si annuncia complessa, mediata da un’istituzione che cerca di farsene carico. Con il teatro (poi filmato) praticato al Medem Sanatorium o nelle confessioni catturate da Lockhart a Rudzienko, il gioco, l’arte e il cinema si fanno consapevolmente strumenti di un ascolto e di una presa di coscienza reciproci anche se, com’è il caso della regista e dei suoi protagonisti, non c’è una lingua comune con cui dialogare. L’artista americana immerge inoltre le ragazze divenute suoi personaggi in un paesaggio naturale che dà alle loro voci off una maggiore connotazione di portata esistenziale e, in Rudzienko, è assai significativa la scelta di far seguire a ogni sequenza col sonoro originale cartelli con la traduzione inglese dell’intera scena, senza far ricorso ai sottotitoli. Tale soluzione concorre a ridefinire il rapporto tra testo e pubblico, orientandone l’attenzione agli aspetti visivi e sonori del film, in sala come in ogni altro spazio artistico.

© CultFrame 01/2018

INFORMAZIONI
Mostra: Sharon Lockhart. My Little Loves (Meus Pequenos Amores) / A cura di Pedro Lapa
Dal 18 ottobre 2017 al 28 gennaio 2018
Museu Coleção Berardo, Praça do Império 1449-003 Lisboa, Portugal
Orario:  tutti i giorni 10.00 – 19.00
Biglietti a 5 euro con possibilità di riduzioni

SUL WEB
Il sito di Sharon Lockhart
Museu Coleção Berardo, Lisbona

 

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Claudio Panella

Claudio Panella, Dottore di ricerca in Letterature e Culture Comparate, si interessa in modo particolare alle interazioni tra la letteratura e le arti, alle trasfigurazioni letterarie del paesaggio e della città, alle rappresentazioni del lavoro industriale e post-industriale nella letteratura italiana ed europea. Attualmente è redattore di Punto di Svista - Arti Visive in Italia e CultFrame - Arti Visive.

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