L’ora più buia. Un film di Joe Wright

SCRITTO DA
Claudio Panella

Joe WrightIl film diretto da Wright e scritto da Anthony McCarten, noto per la sceneggiatura di un altro biopic recente quale La teoria del tutto (su Stephen Hawking), riporta sul grande schermo una storia intrecciata a quella già esplorata da un altro punto di vista da Christopher Nolan in Dunkirk, che si conclude proprio con il discorso in cui il primo ministro britannico Churchill annunciava la volontà del suo paese di continuare a resistere all’asse nazi-fascista che stava conquistando ampia parte dell’Europa continentale.

L’ora più buia ripercorre in maniera cronologica, con una scansione segnata dal succedersi di giornate sempre più drammatiche, il dietro le quinte della nomina di Churchill a capo del governo, e del gabinetto di guerra, nel quale il suo predecessore Chamberlain e il conte Halifax volevano siglare un accordo di pace con la Germania – tramite la mediazione dell’Italia – e tentare così di porre un argine alle perdite umane e ai tentativi d’invasione delle armate naziste. Churchill stesso, convinto assertore della necessità di evitare ogni compromesso col nemico, aveva una brutta fama di stratega militare in seguito alle sue responsabilità nel massacro di Gallipoli durante la Prima guerra mondiale (cui sono dedicati almeno due film: Gli anni spezzati di Peter Weir del 1981 e The Water Diviner diretto da Russell Crowe nel 2014) e tentennò prima di risolversi a resistere a tutti i costi.

La Storia è filmata da Wright con non inedite inquadrature dall’altro – che tra droni e post-produzione toccano vette satellitari – e pochi guizzi (la frequente messa in cornice e l’infittirsi di ombre attorno all’angustiato protagonista, l’apparizione di tre bimbi con la maschera di Hitler nel mezzo di un carrello en ralenti in una strada affollata), sostenuti in maniera impeccabile anche se convenzionale dalle musiche di Dario Marianelli (vincitore del premio Oscar per Espiazione dello stesso Wright) e dal montaggio di un altro italiano Valerio Bonelli.

Più che sulla regia di Wright, sui dilemmi etici, sull’amor di patria britannico e sul populismo come chiave sempre attuale di analisi storico-politica al di qua e al di là della Manica, l’attenzione di molti spettatori si focalizzerà inevitabilmente sulla performance di Gary Oldman, qui truccato dallo specialista Kazuhiro Tsuji, nei panni dell’uomo recentemente interpretato (e via di confronti) da colleghi quali Brian Cox nel film Churchill (2017), John Lithgow nella serie The Crown (2016), scritta da Peter Morgan per Netflix, Michael Gambon in Churchill’s Secret (2016), Timothy Spall ne Il discorso del re (2010), Brendan Gleeson in Into the storm (2009).

Joe Wright

Il Churchill di Oldman indulge in tutti i vizi (tabacco e bacco) e annovera tutti i vezzi (in primis le sentenze fulminanti, elaborate a partire dallo studio dei classici e dalla pratica costante della scrittura autobiografica) attribuiti al personaggio ma, a ben guardare, il tentativo di mostrarne, nella prima parte, la fragilità per farne poi meglio spiccare la risolutezza finale come frutto di un’umanità profonda, lascia intatto un fondo di ambiguità nella figura del protagonista: vediamo infatti Oldman/Churchill tanto compreso nei battibecchi coniugali quanto rispondere docile al vezzeggiativo “pig” (porcellino) adoperato dalla moglie detta “kat” (micetta); tanto irascibile verso la servitù quanto affettuoso con la dattilografa che ha un fratello al fronte; tanto frivolo in vestaglia e pigiama rosa quanto, a seconda della luce, infagottarsi in questi come in una corazza bronzea dentro cui rimuginare cercando le mot juste per un discorso da cui dipenderanno le sorti della Nazione; tanto sovrappeso e schiacciato dalla gravità delle decisioni da prendere per reagire alla poderosa avanzata nazista in Olanda, Belgio e Francia e salvare i quasi 300.000 soldati britannici bloccati a Dunkerque quanto scattante e leggero nelle falcate con cui attraversa i corridoi del palazzo di Westminster e dei suoi bunker.

Tutti questi elementi chiamati in causa nella costruzione di un solo personaggio – la cui fisionomia stessa sembra anche a tratti mutare nel corso del film esibendo più e meno pinguedine e più e meno rughe nella varie sessioni di trucco – finiscono per non comporre, e ciò è bene, il ritratto di un leader tutto d’un pezzo. Ma la constatazione, enunciata nel film dal Re Giorgio VI, che per governare bisogna ascoltare la pancia del proprio popolo non è certo aproblematica, allora come oggi.

L’ora più buia è dedicato alla memoria di Sir John Hurt, morto nel gennaio 2017 dopo esser stato scelto per la parte di Neville Chamberlain, il primo ministro malato anch’egli di cancro che lasciò il suo posto a Churchill, poi interpretato da Ronald Pickup.

© CultFrame 12/2017 – 01/2018

TRAMA
Nel maggio 1940, l’invasione dell’Europa Occidentale da parte dell’esercito nazista spinge alle dimissioni il Primo Ministro conservatore Neville Chamberlain, favorevole a una soluzione diplomatica con Hitler, e alla nomina di Winston Churchill: saprà l’anziano deputato inglese far fronte alla difficilissima missione cui la Storia lo chiama?


CREDITI

Titolo: L’ora più buia / Titolo originale: Darkest Hour / Regia: Joe Wright / Sceneggiatura: Anthony McCarten / Interpreti: Gary Oldman, Kristin Scott Thomas, Lily James, Ben Mendelsohn, Richard Lumsden, Philip Martin Brown, Brian Pettifer, Jordan Waller, Stephen Dillane / Fotografia: Bruno Delbonnel / Montaggio: Valerio Bonelli / Musica: Dario Marianelli / Scenografia: Sarah Greenwood / Produzione: Working Title Films / UK, 2017 / Distribuzione: Universal Pictures / Durata: 125 minuti

SUL WEB
Filmografia di Joe Wright
CULTFRAME. 35° Torino Film Festival. Programma. di Claudio Panella e Silvia Nugara
Torino Film Festival – Il sito
Universal Pictures

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Claudio Panella

Claudio Panella, Dottore di ricerca in Letterature e Culture Comparate, si interessa in modo particolare alle interazioni tra la letteratura e le arti, alle trasfigurazioni letterarie del paesaggio e della città, alle rappresentazioni del lavoro industriale e post-industriale nella letteratura italiana ed europea. Attualmente è redattore di Punto di Svista - Arti Visive in Italia e CultFrame - Arti Visive.

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