Metri di stoffa, tessuti pregiati, cuciture ricercatissime e abiti che diventano opere d’arte. Il mondo di Reynolds Woodcock si ammanta, letteralmente, di bellezza e di eleganza. Nella sua raffinata residenza di Knightsbrige, nella Londra degli anni Cinquanta, entra il bel mondo dell’epoca: dalle teste coronate alle ricche signore dell’alta società fino alle dive del cinema e alle capricciose ereditiere. Tutte pronte a farsi vestire da lui, a essere sfiorate dal quel tocco, magicamente geniale, che le renderà uniche e inimitabili come il vestito che indossano.
L’ottavo film di Paul Thomas Anderson pare forse ispirarsi alla vita del leggendario couturier americano (ma inglese di nascita) Charles James (1906-1978), anche lui genio eccentrico e dedito maniacalmente al lavoro; tuttavia il personaggio di Reynolds va ben oltre un mero “carattere” e, nelle mani sapienti del regista californiano e di Daniel Day Lewis (che, con questo ruolo, ha annunciato il suo ritiro dalle scene) diventa un concentrato di creatività e di ingegno ma anche di egoismo e di maniacale precisione. Il suo scopo non è quello di creare semplicemente degli abiti ma di realizzarli come architetture di stoffa dentro le quali la donna sia pronta ad abitare; indossare le sue creazioni diventa allora per ognuna un’esperienza esclusiva e incomparabile che deve, addirittura, meritare.
L’universo femminile ruota intorno all’estro di Woodcock, ne subisce la singolare malìa e non soltanto nell’incanto dei tessuti e delle forme. È lui stesso, infatti, con il suo incedere altero ed elegante e i suoi modi garbati ma distanti, ad affascinare le clienti di ogni età concedendosi di rado alla mondanità e ancor più raramente al sentimento. Scapolo ostinato e fedele soltanto al proprio lavoro, Reynolds ama rifugiarsi nella sua casa/atelier che condivide con l’unica presenza cardine della sua vita, la sorella Cyril (interpretata da una straordinaria Lesley Manville) che, insieme alla madre e al di lei incessante ricordo, sono le sole donne con le quali possiede un legame imperituro. Le amanti non possono far altro che sedersi al fianco di quest’uomo, al margine della sua esistenza e di fronte agli occhi vigili di Cyril che, con sussiegosa compostezza, sembra ogni volta cronometrare il tempo di permanenza della compagna di turno.
L’intera vita di Woodcock anela alla perfezione e non soltanto nella creazione artistica. Tutto ciò che lo circonda deve obbedire a quei criteri di proporzione e di equilibrio per lui imprescindibili e su questa struggente ossessione Anderson tesse la trama e l’ordito di un film che, proprio come un broccato prezioso, necessita di essere maneggiato con cura.
Il regista, infatti, proseguendo idealmente un percorso già iniziato con The Master (2012) e, successivamente con Vizio di forma, (2014) racconta quel processo, complesso e seducente, della manipolazione. Il suo cinema si avventura lungo i sentieri complessi dei rapporti umani per individuarne le imprevedibili traiettorie, quegli scarti di logica che ne rappresentano l’inquietante– e per questo coinvolgente – anomalia. L’eco del perturbante hitchcockiano si fonde con un’atmosfera tanto rarefatta quanto claustrofobica nella quale si compie il destino di Reynolds. Pressoché stordito dal proprio talento egli osserva con perizia i dettagli di un tessuto, lo accarezza e lo modella a suo piacimento persuaso che quella stoffa altro non è che un’emanazione di se stesso, la realizzazione perfetta di un’idea.
L’incontro con la giovane cameriera Alma (Vicky Krieps), pare, sulle prime, non essere così differente dagli altri ma introduce nella vita di Woodcock un elemento del tutto nuovo: il dualismo. Questa donna si colloca al suo opposto e a quello di tutte le donne che ha fino ad allora conosciuto. Differente per rango e per cultura, la ragazza tenta di adattarsi alle pratiche rituali dell’amato, cercando faticosamente il suo posto all’interno di una liturgia di abitudini che non deve mai essere alterata e nel farlo, inevitabilmente, “sbaglia”. Che sia per un tono, per un gesto o per la semplice postura Alma incrina l’equilibrio del genio ma, soprattutto, osa sfidarlo ponendosi a lui non come (forse) la vorrebbe – una piacevole amante di passaggio – ma come antagonista.
Alla personalità umbratile e sfuggente di Reynolds la giovane contrappone una schiettezza autentica – ma non priva di una certa folle strategia – e pur diventandone la musa si rivela, al tempo stesso, il demone che mina l’armonia di un’esistenza vissuta come un inalterabile cerimoniale. In quello scarto lacerante il tra rigore e l’immaginazione dell’artista Alma trova spazio e costringe Woodcock a mettere a nudo l’elemento fondante da cui lei prende il nome, l’anima, rivelando altresì la propria.
Anderson racconta la storia dei suoi protagonisti come fosse un duello che non si esprime quasi mai in una sensualità sfacciatamente manifesta ma pone uno di fronte all’altra creando tra loro un crescendo di tensione, di sensazione febbrile e palpabile che corre lungo le fibre del corpo e di ogni tessuto. Un erotismo sottile e tattile che si palesa in uno sguardo, in un tocco o nel silenzio carico di voluttà che spesso i due amanti condividono, quasi smembrandosi nel crudele mutismo.
Impresa sublime e ardita quella di Anderson che nel raccontare l’amore ne smaschera la nevrosi e il tormento, mostrando in filigrana il filo nascosto dell’ardente dicotomia tra Eros e Thanatos della quale i due protagonisti sono la perfetta espressione. Un film prezioso e di rara profondità che va goduto in ogni dettaglio per assaporarne tanto la grazia quanto l’endemica passione; la stessa che, per dirla con Bataille “consacra alla sofferenza giacché, in fondo, è la ricerca di un impossibile”.
© CultFrame 02/2018
TRAMA
Londra, anni Cinquanta. Lo stilista Reynolds Woodcock è osannato dalle nobildonne e dalle celebrità dell’epoca che ambiscono a indossare i suoi preziosi abiti. Scapolo impenitente e corteggiatissimo è solito intrattenere solo relazioni temporanee con compagne che gli restano accanto per quel breve lasso di tempo durante il quale suscitano il suo interesse. L’esistenza di Reynolds è scandita da ritmi ben precisi e obbedisce a ferree regole di comportamento che condivide con la sorella e socia Cyril. Quando conosce la giovane Alma, Woodcock ne fa la sua musa e amante ma la donna metterà a dura prova le granitiche certezze dell’artista e gli stravolgerà la vita.
CREDITI
Titolo: Il filo nascosto / Titolo originale: Phantom Thread / Regia: Paul Thomas Anderson / Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson / Fotografia: Paul Thomas Anderson / Montaggio: Dylan Tichenor / Scenografia: Mark Tildesley / Costumi: Mark Bridges/ Musica: Jonny Greenwood / Interpreti: Daniel Day-Lewis, Lesley Manville, Vicky Krieps, Richard Graham, Camilla Rutherford / Produzione: Annapurna Pictures, Focus Features, Ghoulardi Film Company / Paese: Usa, 2018 / Distribuzione: Universal Pictures / Durata: 130 minuti
SUL WEB
Sito ufficiale del film Phantom Thread (Il filo nascosto) di Paul Thomas Anderson
Filmografia di Paul Thomas Anderson
Universal Pictures