La memoria individuale e collettiva è un mosaico di frammenti, di inciampi, di ellissi, di ricostruzioni suscettibili di variare nel corso del tempo e in funzione delle pratiche che mettiamo in atto per conservarla, scriverla e riscriverla, suscitarla e resuscitarla. Gli archivi stessi sono frutto di costruzione, vi vengono depositati solo i materiali sottratti alla distruzione del tempo, e possono essere percorsi diversamente a seconda dei processi e delle domande di ricerca. Quindi, anche le storie che emergono dagli archivi possono essere incomplete, non lineari né concluse una volta per tutte.
Questa stratificazione, che rinvia alla complessità della storia, non può però in alcun modo essere confusa con l’impossibilità a priori di operare distinzioni giustificando così negazioni, revisionismi, manipolazioni e menzogne. Come si costruiscono dunque la memoria personale e la memoria pubblica? Quali rapporti si stabiliscono in un Paese tra memoria storica e presente politico? È davvero possibile elaborare una memoria storica condivisa che impedisca di ripetere il passato? Quali le possibilità e quali i limiti di un tale impegno?
L’ultimo lungometraggio di Ruth Beckermann si confronta con questo immenso ambito di riflessione attraverso un film di montaggio che narra il “caso Waldheim”. Kurt Waldheim è stato presidente della Repubblica in Austria dal 1986 al 1992. Durante la campagna elettorale che portò alla sua elezione, il giornale austriaco “Profil” e il World Jewish Congress (WJC) rivelarono che, nella sua autobiografia, aveva ‘dimenticato’ di menzionare il suo ruolo di ufficiale delle SA naziste. Dunque, tutta la carriera politica di Waldheim, compresi gli anni da Segretario Generale delle Nazioni Unite tra il 1972 e il 1981, si era costruita su una grave omissione. O, eventualità più inquietante, sul silenzio complice di istituzioni a vari livelli. Le rivelazioni portarono all’istituzione di un comitato internazionale per esaminare la vita di Waldheim tra il 1938 e il 1945 che non riuscì mai a dimostrarne il coinvolgimento personale in crimini di guerra.
Inizialmente, la voce fuori campo della regista commenta immagini da lei stessa girate in videotape nel 1986 per documentare un movimento di protesta contro il candidato presidente in cui era direttamente coinvolta e in cui con in mano la macchina da presa assumeva il doppio ruolo di militante e di film-maker proprio come faceva, per esempio, Carole Roussopoulos durante le manifestazioni del movimento di liberazione delle donne in Francia negli anni Settanta.
Ma, racconta Beckermann, ci sono momenti in cui bisogna scegliere: o film-maker o attivista perciò, il seguito del documentario monta tra loro altri materiali d’archivio provenienti soprattutto dalla televisione di stato austriaca ORF e da televisioni britanniche, statunitensi, israeliane e francesi che forniscono un contesto più ampio alla vicenda.
Il film ricostruisce il walzer di accuse e difese, di prove e contestazioni che coinvolse nel giro di pochi mesi Waldheim con poste in gioco diverse a livello internazionale e a livello nazionale. Sul piano internazionale, per lo statunitense WJC accusare Waldheim significava anche delegittimare le Nazioni Unite come istituzione a vocazione umanitaria. Sul piano nazionale, gli spettri del passato del candidato presidente mettevano in dubbio l’immagine di vittima innocente dell’aggressione nazista che la nazione austriaca si era costruita dopo la Seconda guerra mondiale.
Gli accusatori del WJC, che per inciso oggi appaiono come tre improbabili yuppies in doppiopetto, riuscirono a fare abbastanza pressione da creare un caso internazionale e favorire inchieste pubbliche che radunarono inquietanti documenti: tra tutti, il film cita la tessera di iscrizione alle SA (“fui iscritto da qualcuno” si difende Waldheim), il nome di Waldheim su alcuni verbali che ne dimostrano la collaborazione con la Wermacht (“ho fatto il servizio militare allora, cosa avrei dovuto fare: disertare e rischiare la vita?”), la prossimità con il generale nazista e criminale di guerra Alexander Löhr nonché una fotografia che lo ritrae con rappresentanti di alti ranghi nazisti a Salonicco nei giorni della grande deportazione degli ebrei verso i campi di sterminio. Pur dimostrando che Waldheim aveva mentito sui suoi trascorsi militari, le udienze non furono sufficienti a incriminarlo per crimini di guerra. Il film è quindi destabilizzante perché racconta l’impossibilità di sancire una verità storica univoca e dell’amministrare giustizia.
Waldheims Walzer racconta, inoltre, un confronto epocale tra diverse generazioni e concezioni politiche, tra gli oppositori progressisti (giovani e non) e una vecchia guardia che nonostante il passato oscuro mieteva consensi incarnando un’immagine di Austria paesana, tradizionalista, protettrice della famiglia “naturale” e capace di calamitare sentimenti antisemiti mai sopiti. Il rovescio di tale conflitto è la sequenza dell’udienza in cui il figlio di Waldheim difende il padre oltre ogni ragionevolezza al cospetto di una controparte più anziana che lo pone di fronte a responsabilità storiche a cui nessun amore filiale può sfuggire.
Prosegue così il lavoro di riflessione sulla memoria personale e sulla memoria storica che Ruth Beckermann conduce da anni e che era anche presente nel più recente Die Geträumten (2016) in cui due giovani attori austriaci di oggi si confrontavano con le lettere tra Ingeborg Bachmann e Paul Celan. Presentato prima alla Berlinale 2018 nella sezione Forum e poi al Festival du cinéma du Réel di Parigi, Waldheims Walzer è anche una denuncia di un passato che riemerge in forme sempre più allarmanti come dimostra il ritorno al potere in Austria di un governo di coalizione con il partito dell’estrema destra xenofoba FPÖ.
© CultFrame 03/2018
TRAMA
Nel 1986, Kurt Waldheim è candidato alle elezioni presidenziali per il Partito Popolare Austriaco. Il politico gode di molti consensi e di un’autorevolezza che gli deriva dall’aver rivestito il ruolo di Segretario Generale delle Nazioni Unite dal 1972 al 1981. Ma nelle ricostruzioni del suo passato il politico “dimentica” sistematicamente di menzionare il proprio coinvolgimento nell’esercito nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Nonostante le inchieste condotte in concomitanza con la campagna elettorale portino a rivelare verità scomode, il ruolo avuto dal politico in crimini di guerra non sarà mai dimostrato e Waldheim finirà per essere eletto. La vicenda è narrata attraverso diversi materiali d’archivio televisivi e girati all’epoca dalla stessa regista.
CREDITI
Titolo: Waldheims Walzer / Regia: Ruth Beckermann / Interpreti: Kurt Waldheim (repertorio), Ruth Beckermann (voce narrante) / Sceneggiatura: Ruth Beckermann / Fotografia: Dieter Pichler / Montaggio: Kurt Hennrich / Produzione: Ruth Beckermann Filmproduktion / Austria, 2018 / Distribuzione: WIDE House / Durata: 93 minuti
SUL WEB
Sito ufficiale del film Waldheims Walzer di Ruth Beckermann
Filmografia di Ruth Beckermann
Cinéma du réel – Il sito