“Non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli”; nelle parole dell’antico proverbio indiano, vi si può leggere, oggi, tutta la portata di uno dei più grandi fallimenti della storia statunitense: la ghettizzazione dei nativi, isolati nelle riserve. Ed è proprio dalla desolazione dell’esilio forzato che muove l’intera narrazione di Taylor Sheridan che, con I segreti di Wind River (premiato come miglior regia, nella sezione Un Certain Regard, al Festival di Cannes 2017), conclude la trilogia della moderna frontiera americana iniziata con le sceneggiature di Sicario (Dennis Villeneuve, 2015) e di Hell or High Water (David Mackenzie, 2016). Opere di grande potenza – anche visiva – che, insieme, raccontano la parabola drammatica di un paese che continua a misurarsi con quella linea di confine che ne è altresì limite e profonda cicatrice.
Per questo capitolo conclusivo Sheridan ha scelto di passare anche dietro la macchina da presa (per quello che, in realtà, non è proprio un debutto, essendosi già cimentato, nel 2011, con il low-budget movie Vile) poiché, come lui stesso ha dichiarato, ha voluto assumersi la completa responsabilità di ciò che il film comunica, nel rispetto dei nativi con i quali ha vissuto a lungo, raccogliendo le loro testimonianze e osservando, senza filtri, quella peculiare condizione esistenziale.
Anche qui, come nelle pellicole citate in precedenza, è la Natura a farla da padrone poiché il paesaggio non è semplicemente lo sfondo degli eventi ma si fa esso stesso personaggio, entrando prepotentemente nella storia. Quella di Sheridan, infatti, è una sorta di “geografia dell’anima” che si esprime attraverso sconfinate distese desertiche, orizzonti lontanissimi, cieli avvolgenti o, come in questo caso, sperdute lande innevate popolate da lupi. Quegli stessi animali, pericolosi e selvaggi, dai quali il granitico Alejandro/ Benicio Del Toro metteva in guardia – non proprio fuor di metafora- la sgomenta Kate/Emily Blunt sul finale di Sicario.
Nel territorio, selvatico e impervio, di ogni confine, in effetti, non vige alcuna regola se non quella, assoluta e imprescindibile, della sopravvivenza. Lungo questo limes che taglia – e non solo simbolicamente – una frontiera, il passaggio da una parte all’altra marca un segno che non è meramente fisico ma anche, e soprattutto, etico.
Questo è il filo rosso che attraversa la parola, possente e vigorosa, di Sheridan che sa attingere sapientemente sia dagli stilemi della narrativa classica americana, sia dai generi cinematografici, ispirandosi (come già nella pellicola di Mackenzie) al western, scevro tuttavia da ogni sfumatura eroica per restituirlo, invece, alla brutalità di un rozzo universo maschile. Sono infatti gli uomini che si scontrano – sia tra loro, sia con l’ambiente circostante – lasciando, nel migliore dei casi, sullo sfondo le donne (Hell or High Water) oppure trascinandole nel loro inferno, come nel film di Villeneuve e in questo, per gettarle nel vuoto senza rete.
Anche qui un’agente dell’FBI, Jane Banner/Elizabeth Olsen, si trova ad indagare, senza mezzi, né aiuti, su un crimine efferato, lo stupro e l’omicidio di una ragazza trovata nella neve, la cui importanza, per i suoi capi, è pari a zero. La riserva indiana è ridotta a un microcosmo popolato da “invisibili” che si lasciano andare, tra droga e alcool, ad un inesorabile processo di autodistruzione e la violenza perpetrata sul corpo femminile è pressoché considerata un rito di passaggio.
Sotto quel manto bianco che, invece di nascondere, pare amplificare tutto lo squallore di un popolo dimenticato, lasciano le orme non soltanto i reietti o i disperati ma anche quegli uomini che, armi alla mano, nutrono la loro voglia di riscatto. Lungo quel confine, labile quanto quello che separa ciò che è giusto da ciò che non lo è, l’afflizione dei padri, incapaci di proteggere la propria prole, sembra avvelenare anche l’aria. Martin/Gil Birmingham, il genitore della vittima, e Cory Lambert/Jeremy Renner, il cacciatore, hanno entrambi perso una figlia in circostanze atroci e, mentre le madri si rannicchiano dolenti in un silenzio financo autolesionista, a loro spetta il compito della vendetta o, almeno, della sua ricerca spasmodica.
Il punto di vista di Sheridan è lucido e implacabile, rifugge da qualsiasi tentazione epica, per focalizzarsi su un realismo di spietata efficacia. L’esistenza non è che una lotta e, come tale, si dispiega in quella pratica che endemicamente le appartiene: la violenza e la sua portata animalesca. La Natura non si limita ad assistere all’azione dell’uomo ma, a queste latitudini dove non si obbedisce alla Legge, lo sfida a un duello impari e, proprio per questo, senza esclusione di colpi.
Sheridan si serve del crimine come pretesto per mostrarci il volto di un paese che vive ancora il dramma lacerante della segregazione continuando a subirne le sanguinose conseguenze e con I segreti di Wind River ci porta così nel cuore del tragico, privandolo di ogni sfumatura romanzesca, per farsi straordinaria metafora del contemporaneo. Il confronto – e non soltanto quello tra il predatore e la preda – diventa ferino, selvaggio e qui si esprime in un paio di poderosi momenti come nel mexican standoff, magnificamente orchestrato, e nello scarto narrativo in cui scopriamo ciò che è accaduto alla vittima prima di tentare la fatale fuga tra la neve.
Un perfetto e doloroso epilogo, al quale si concede una sfumatura di amaro umorismo, di una formidabile trilogia che respira dentro la Storia e rivitalizza quel cinema d’oltreoceano in grado talvolta di affrancarsi dalla rassicurante produzione mainstream.
© CultFrame 04/2018
TRAMA
Cory Lambert, un cacciatore solitario, durante un’escursione tra la neve, trova il cadavere della figlia del suo amico Martin che vive nella riserva indiana. Ad indagare sull’accaduto arriva Jane Banner, una giovane agente dell’FBI che, fin da subito, deve fare i conti sia con l’ostilità metereologica del posto che con quella dei suoi abitanti. Cory, colpito anni prima da una simile tragedia, si offre di aiutare Jane nella caccia all’assassino. La ricerca porterà alla luce una terribile verità.
CREDITI
Titolo: I segreti di Wind River / Titolo originale: Wind River / Regia: Taylor Sheridan / Sceneggiatura: Taylor Sheridan / Fotografia: Ben Richardson / Montaggio: Gary D. Roach / Scenografia: Neil Spisak / Costumi: Kari Perkins / Musica: Nick Cave, Warren Ellis / Interpreti: Jeremy Renner, Elizabeth Olsen, Jon Benthal, Gil Birmingham, Kelsey Chow / Produzione: Entertainment Film 44, Savvy Media Holdings, Thunder Road Pictures, Voltage Pictures / Paese: Usa, 2018 / Distribuzione: Eagle Pictures con Leone Film Group / Durata: 111 minuti
SUL WEB
Filmografia di Taylor Sheridan
Eagle Pictures