Il concetto ispiratore dell’edizione 2018 di Fotografia Europea di Reggio Emilia, Rivoluzioni. Ribellioni, cambiamenti, utopie insegue anniversari fortemente segnati da ribellione, voglia di cambiamento e aspirazione verso utopie immaginate: 50 anni dal ’68, 40 anni dagli omicidi di Moro e di Peppino Impastato, 40 anni dalla Legge Basaglia.
Rivoluzione da intendersi nel suo senso comune di rovesciamento violento di un ordine sociale o politico, ma che reca anche paradossalmente in sé – come mette in luce la presentazione del curatore Walter Guadagnini – l’aspetto di interruzione brusca di “un processo di cambiamento in atto giudicato troppo lento dai rivoluzionari, guidati spesso da una visione utopistica” e che ha dunque per conseguenza “un arresto dell’evoluzione e non necessariamente una progressione”.
Utopie sempre presenti nelle rivoluzioni, quindi, ma non sempre portatrici di effetti positivi. Se Thomas More, coniando il termine, giocava con le parole greche “utopia” (non-luogo, luogo che non esiste) e “eutopia” (luogo buono, bello, perfetto) e con l’equivoco quindi di luogo ideale ma che non può essere raggiunto, qui la contraddizione si fa aspra, e il luogo immaginato si trasforma in corso d’opera divenendo, durante il viaggio ideale per raggiungerlo, il suo contrario: un incubo di alienazione e disperazione.
Ma gli interrogativi – indubbiamente pesanti – che il festival si pone: “Come rappresentare allora la rivoluzione oggi, insieme e al di là delle più immediate pratiche reportagistiche? … e che significato può avere oggi il termine rivoluzione…? (dallo scritto di Guadagnini), non sembrano aver trovato soluzioni del tutto originali, al di là della facile rievocazione di genere. È il caso della mostra Sex & revolution! Immaginario, utopia, liberazione (1960 – 1977), rassegna di reperti vari (libri, manifesti, foto, video) dei movimenti di liberazione della sessualità, dai primi scritti di Reich e Marcuse, alla lotta contro la censura, ai movimenti femministi, fino al degenerare dell’utopia nella moderna mercificazione e banalizzazione del sesso (youporn, i social, i siti d’incontri, le chat erotiche, ecc…). Nonostante l’interesse del materiale esposto resta però l’impressione che prevalga qui una sorta di interesse “collezionistico”, di mera rievocazione, di curiosità, più che una vera ricerca sul “come rappresentare fotograficamente le rivoluzioni oggi”. E il potenziale ripensamento sull’utopia della liberazione sessuale trova così la sua scontatissima conclusione nel constatare la moderna banalizzazione dell’argomento. Un po’ facile, forse.
Un altro fenomeno di “collezionismo” e di rievocazione, elementi dal fascino intrigante e vintage che anche qui rischiano di prendere il sopravvento sulla riflessione critica, è presente in Fotoromanzo e poi…: reperti fotografici e copertine di quel fenomeno editoriale diffuso in Italia tra gli anni ’50 e ’70, anche se non mancano qui motivi di interesse, come la presenza di Zavattini, autore di soggetti per fotoromanzi che successivamente, con parole rivoluzionarie per l’epoca, inviterà ad abbattere le barriere tra cultura “alta” e popolare, in nome di “una nuova interpretazione del mondo, quindi un nuovo tipo di cultura in antitesi con quella precedente che era monopolio di un gruppo”.
A tutt’altro mondo, a tutt’altro tipo di collezionismo attiene invece il lavoro di Lorenzo Tricoli, dove la raccolta quasi compulsiva di ritagli di giornale e vecchie fotografie si fa pretesto per rivoluzionarne contenuto e significato, riassemblando e ricostruendo, con le nuove letture delle stesse, nuove realtà e nuovi linguaggi.
La maggior parte delle altre mostre del circuito ufficiale, invece, non hanno lasciato in chi scrive la sensazione di particolare originalità o di uno sforzo di ricerca di più ampio respiro sul significato attuale dei temi enunciati, né di una sua dimensione europea; l’impressione che rimane è che dall’edizione di quest’anno (forse troppo “stretta” nel tema quasi obbligato, per motivi di ricorrenze cronologiche?) non siano emersi livelli innovativi e di profondità in linea con quelli delle passate edizioni.
Con le dovute eccezioni, naturalmente: mostre dove il rapporto evoluzione/rivoluzione, l’utopia e la sua fine sono ben presenti.
Joel Meyerowitz: transitions, 1962-1981, innanzitutto. Essa da sola vale il viaggio, essendo la prima retrospettiva così vasta dedicata in Italia a uno tra i più importanti personaggi della fotografia americana contemporanea e rispetta in pieno il tema di “rivoluzione e cambiamento”, passando attraverso la lunga storia di evoluzione stilistica dell’autore. Dalle prime foto, dove prevalgono il “momento decisivo”, le posizioni e le espressioni dei personaggi, le situazioni inusuali e sorprendenti, Meyerowitz passa nel corso degli anni a lavori più concettuali e dall’acceso cromatismo, dove “non succede nulla” ma solamente il colore conta, per approdare infine a lavori in banco ottico dove c’è solo la contemplazione degli spazi e della luce, sulla scia di artisti come Rothko o Hopper.
In Iconic China di Luca Campigotto, l’utopia cinese del rapido arricchimento ha per risultante la costruzione di paesaggi irreali, veri non-luoghi (non è forse questo il significato originario di Utopia?) dalle luci e dai colori irreali. La bellezza del sogno eutopico si trasforma così nell’allucinazione del paesaggio urbano estraneo ed estraniante delle immagini di Campigotto.
Nella video-installazione Seven seas and a river di Mishka Henner, il mare ripreso da telecamere fisse lascia presagire, dietro il suo aspetto immobile e placido, un’essenza inquietante. Il luogo che More attraversava per raggiungere Utopia è ora un ambiente minaccioso, dove la nostra stessa sopravvivenza è messa in pericolo dall’innalzamento delle acque.
L’evoluzione e il cambiamento nell’uso del linguaggio fotografico emergono anche in Stanislao Farri, dalle prime esperienze dove ancora prevale la “bella immagine” fino alla rivoluzione dei lavori più recenti, dove la fotografia, ormai libera da costrizioni estetizzanti, si fa strumento di indagine sul paesaggio reggiano con una sua nuova e più moderna oggettività.
Non molto altro, dicevamo, sembra approfondire il tema portante dell’edizione 2018. Se essa intendeva muoversi sotto l’egida della “rivoluzione dello sguardo e della visione”, forse tale rivoluzione “è stata solo un’evoluzione”, come si chiede il curatore? Di qualunque cosa si tratti, non riusciamo a immaginare dove essa ci porterà, né quali saranno gli effetti. Per poter immaginare dovremmo avere nuove utopie a cui guardare, ma all’orizzonte di questo mondo confuso e liquido non se ne vedono poi molte.
“Una mappa del mondo che non include Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo paese al quale l’umanità approda di continuo. E quando vi approda, l’umanità si guarda intorno, vede un paese migliore e issa nuovamente le vele.” (Oscar Wilde)
© CultFrame 05/2018
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