Nel 2015, l’American Dialect Society che ogni anno elegge una “parola dell’anno”, attribuì il riconoscimento a they usato come pronome neutro di terza persona singolare. Benché non sconosciuto alla letteratura di lingua inglese sin dai tempi di Chaucer, quest’uso si è affermato di recente negli Stati Uniti come alternativa al femminile she e al maschile he per chi decide di sottrarsi al binarismo di genere.
J, protagonista di questo primo lungometraggio della regista Anahita Ghazvinizadeh, è molto giovane ma ha già capito che a volte dividere le persone in maschi e femmine è problematico, è una forzatura che esprime una concezione dell’umano in cui la riproduzione è misura di tutte le cose, è criterio di divisione che limita le forme dicibili, che organizza dicotomicamente ruoli e prescrizioni sociali. J non vuole stare né da una parte né dall’altra della frontiera che divide l’umanità in queste due sfere. In una famiglia molto aperta e accogliente, a J è permesso operare la sua resistenza pacifica contro la grammatica dicotomica e a he e she preferire they, che tradotto in italiano suona come “loro” il che genera qualche inciampo nei dialoghi sia in inglese sia nella versione italiana (“si dice loro sono o loro è?”)
Il problema di J è che si sta avvicinando alla pubertà, un periodo della vita in cui il suo corpo potrebbe assumere fattezze maschili o femminili al di là della sua volontà. Per ciò assume degli inibitori della crescita in attesa di decidere se passare da una parte all’altra della frontiera e in che modo farlo. Al film non interessa né il sesso, cioè l’apparato genitale che J ha o avrà, né il suo orientamento sessuale, cioè a che tipo di persone J accorda le sue attenzioni, bensì il genere, ovvero quel sistema di percezioni, di rappresentazioni, ingiunzioni, norme comportamentali, estetiche e corporee che presiedono alla costruzione del maschile e del femminile e con cui le singole persone si indentificano e vengono identificate.
Il film non ci rivela mai veramente il sesso di J rifiutandosi perciò molto intelligentemente e molto rispettosamente per il suo soggetto di fare dei genitali lo strumento predittivo e prescrittivo del genere, ovvero del ruolo sociale che J potrà assumere, dell’universo estetico a cui vorrà appartenere, della forma umana con cui desidererà identificarsi. C’è una sequenza di diversi minuti in cui J indossa un abito femminile, esce di casa, incontra dei coetanei, aiuta un amico ad aggiustare la catena di una biciletta poi torna a casa e decide di indossare qualcosa di più sportivo: viene in mente la scena in cui la protagonista di Tomboy di Céline Sciamma viene costretta a vestirsi “da femmina”. Però in They non emerge, per tutta la durata della sequenza, neanche un elemento che possa suggerire in modo univoco e definitivo se J indossi quel vestito a fiori come concessione al genere corrispondente al suo sesso o se non sia piuttosto una trasgressione.
J ci si presenta semplicemente come una persona non binaria e, infatti, tiene un diario in cui segna ogni giorno se si sente maschio, femmina, entrambi oppure nessuno dei due; e spesso è quest’ultima opzione a prevalere. J sta in una zona liminale in cui si dà il tempo di compiere una maturazione che data la sua spiccata intelligenza e sensibilità esige più strumenti ed esperienze. J si sente altro dal maschile o dal femminile ma deve venire a patti con il fatto che alla sessuazione corporea non si sfugge, deve trovare il suo modo di gestire il passaggio, l’attraversamento che diventare adulti comporta pur rimanendo chi si sente di essere.
Il film abita dunque la sosta, il limbo, la soglia non solo tra i generi ma anche tra presente e futuro, tra finzione e realtà, tra paesi e culture diverse, tra stadi differenti della vita. Anche gli altri personaggi attraversano stati intermedi, in attesa di decisioni o passi importanti: la sorella di J, Lauren, sta cercando di capire se partire o meno per una residenza artistica, nel frattempo sta per sposarsi con un ragazzo iraniano che però vive negli USA e forse dovrà tornare nel proprio paese per farsi curare i denti che gli fanno male. È lui che un giorno chiede a J: “ti presento ai miei parenti come il fratello o come la sorella di Lauren?” al che J risponde usando la parola inglese indifferenziata sibling che però nel sottotitolo italiano si perde come purtroppo molti degli aspetti linguistici dei dialoghi.
Alla sua opera prima, la giovane regista iraniana ma di formazione statunitense Anahita Ghazvinizadeh filma il sentimento della sospensione, il soffio leggero del vento tra i petali di un fiore, il movimento impercettibile all’occhio di un bulbo che germoglia, e con delicato senso estetico crea un universo a tinte tenui, bionde, sovraesposte come fossero acciecate dal baluginio del sole. They narra con tenerezza l’infanzia di una creatura che ama la poesia e forse un giorno diventerà poeta come la Janet Frame di Un angelo alla mia tavola di Jane Campion, quest’ultima tra i produttori esecutivi del film.
Dal punto di vista della sceneggiatura, questo lungometraggio è in consapevole contrasto con il cinema di connazionali come Abbas Kiarostami, Jafar Panahi o Mohammad-Ali Talebi in cui l’infanzia viene raccontata a partire da ostacoli e dissidi che creano suspence, climax drammatici e scioglimenti. They è disseminato di potenziali situazioni di tensione che puntualmente smorza, fa montare le attese di conflitto e poi devia come a dirci che quello che potrebbe apparire come un problema in realtà, se affrontato con calma, serenità e mente aperta, davvero non lo è.
© CultFrame 05/2018
TRAMA
J non è né un lui né una lei, è un they, una persona di genere neutro. Ma la pubertà si avvicina e con essa la necessità di decidere se diventare uomo o donna, di lasciar sviluppare i caratteri sessuali secondari del proprio sesso oppure di iniziare una terapia ormonale e un percorso di transizione.
CREDITI
Titolo: They / Regia: Anahita Ghazvinizadeh / Sceneggiatura: Anahita Ghazvinizadeh / Interpreti: Rhys Fehrenbacher, Koohyar Hosseini, Nicole Coffineau / Fotografia: Carolina Costa / Montaggio: Anahita Ghazvinizadeh, Dean Gonzalez / Musica: Vincent Gillioz / Scenografia: Yong Ok Lee / Produzione: Mass Ornament Films /Usa, Qatar, 2017 / Distribuzione: Lab80/ Durata: 80 minuti
SUL WEB
Filmografia di Anahita Ghazvinizadeh
Lab80