La terra dell’abbastanza ⋅ Un film dei fratelli D’Innocenzo

SCRITTO DA
Valentina Mallamaci

Nella terra dell’abbastanza Mirko e Manolo ci sono cresciuti. Sono amici fraterni, da sempre. Hanno ciò che gli occorre per vivere la loro età e sogni semplici che non possono volare in alto, perché destinati a infrangersi contro un orizzonte che è a pochi passi da loro, dietro case colorate che trasudano grigiore e desolazione. Quello è il microcosmo a cui appartengono e che li ha modellati per essere esattamente come sono. Quando la vita, nella sua insensata casualità, li costringe a sperimentare la morte come “incidente di percorso” scelgono di fuggire dalle proprie responsabilità. O forse solo di scappare il più velocemente possibile da un terribile sbaglio che, lo sanno bene, li cambierà per sempre.

Cercano rifugio dal padre di Manolo, un uomo insignificante che appare da dietro una serranda per poi risucchiarli nel mondo della criminalità di borgata dalla quale è sempre stato escluso. I due protagonisti diventano così pedine inconsapevoli dei suoi desideri mai realizzati, ma in lui non possono trovare un punto di riferimento. Maneggiano pistole, svolgono con successo i compiti che gli vengono affidati, uccidono, ma sembrano non comprendere quanto tutto ciò li stia logorando nel profondo. Si perdono nell’idea che il loro ingresso nella criminalità possa liberarli dal senso di colpa, quasi fosse “un gioco da ragazzi”, ma loro lo sono davvero e non avranno nemmeno il tempo di accorgersene.

Damiano e Fabio D’Innocenzo, registi e sceneggiatori gemelli al loro primo lungometraggio, di questa “incoscienza” giovanile mostrano tutti i lati migliori. Si immergono nella periferia romana, che conoscono bene, e ne mostrano il suo reale degrado, senza aggiungere nulla che possa distogliere l’attenzione dalla tragedia interiore vissuta da Mirko e Manolo.

fratelli D'Innocenzo

La difficoltà del vivere quotidiano che raccontano e mostrano non è quella che si nutre degli sfarzi esibiti da una criminalità becera e priva di morale, come molto del cinema italiano ha spesso messo in scena negli ultimi anni, ma è la manifestazione della reiterazione di un’esistenza che non può essere altro che ciò che (già) è. L’universo criminale è sullo sfondo, nient’altro che un ronzio che potrebbe anche non disturbare, fino a quando non si trasforma nel rumore assordante che impedisce ai protagonisti di riconoscere i propri pensieri. È, infatti, nell’indagine della loro interiorità che si riconosce un’impronta stilistica fortemente voluta e determinante: i registi stanno addosso ai loro personaggi, con primi piani stretti che ne mostrano tutto il potenziale espressivo, e si allontanano solo quando è davvero necessario.

Lontano dal ricorso agli stilemi del genere crime, la violenza non è mai ostentata (è sufficiente il bagliore scatenato da un colpo di pistola per renderla comprensibile), né tantomeno la sciatteria, che si fa evidente solo quando è espressione di un disagio ineluttabile. Queste scelte formali, sostenute da una fotografia (Paolo Carnera) e un montaggio (Marco Spoletini) che lavorano per sottrazione per ricavare solo l’essenziale, lasciano che la storia racconti un lirismo fatto di pietas senza pregiudizi: le colpe ci sono, e sono tante, ma le scelte sono spesso dettate dalla necessità più che dalla volontà.

fratelli D'Innocenzo

I due protagonisti non possono essere salvati: non da Danilo, padre (suo malgrado) di Manolo, ma soprattutto emblema di un velleitarismo atavico, ma nemmeno da Alessia, madre di Mirko, sofferente perché consapevole del dramma vissuto dal figlio ma incapace, per esigenza, di impedirlo. Non possono salvarsi nemmeno tra loro: nel momento stesso in cui decidono di usare il loro senso di colpa come grimaldello per il loro ingresso nella criminalità firmano la loro inevitabile condanna.

In questa coazione a ripetere, “l’abbastanza” non è maligno, né salvifico. È un dato di fatto al quale ci si può piegare o ci si può opporre. Mirko e Manolo, però, in questa terra desolata hanno le loro radici. Non conoscono altro, non aspirano ad altro, e forse è proprio questa la loro colpa più grande. Un simile male di vivere, che i Fratelli D’Innocenzo mostrano con rara abilità, trascende la loro storia e si fa monito chiaro ed inequivocabile: scegliere di non scegliere non dovrebbe mai essere “l’abbastanza” di nessuno.

© CultFrame 06/2018

TRAMA
Mirko e Manolo sono due giovani amici della periferia romana. Bravi ragazzi fino al momento in cui, guidando a tarda notte, investono un uomo e decidono di scappare. La tragedia si trasforma in un apparente colpo di fortuna: l’uomo che hanno ucciso è un pentito di un clan criminale, e la sua morte potrebbe trasformarsi nella loro occasione di entrare a farne parte. Un biglietto d’ingresso per l’inferno che scambiano per un lasciapassare verso il paradiso.


CREDITI
Titolo: La terra dell’abbastanza / Regia: Fratelli D’Innocenzo / Sceneggiatura: Fratelli D’Innocenzo / Montaggio: Marco Spoletini / Fotografia: Paolo Carnera / Musica: Toni Bruna / Suono: Maricetta Lombardo / Scenografia: Paolo Bonfini / Interpreti: Andrea Carpenzano, Matteo Olivetti, Milena Mancini, Max Tortora, Luca Zingaretti, Giordano De Plano, Michela De Rossi, Walter Toschi / Produzione: Pepito Produzioni, Rai Cinema / Paese: Italia, 2018 / Distribuzione: Adler Entertainment / Durata: 96 minuti.

SUL WEB
Filmografia di Damiano D’Innocenzo
Filmografia di Fabio D’Innocenzo
Adler Entertainment

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Valentina Mallamaci

Classe 1984, giornalista e da sempre appassionata di cinema e scrittura. Dopo un’esperienza di due anni come caporedattore presso una webzine piemontese, nel 2013 si trasferisce a Roma per frequentare il Master in Critica Giornalistica presso l’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. Scrive di teatro e cinema, ma si interessa anche di sceneggiatura. Attualmente collabora con Il Mucchio Selvaggio e CultFrame - Arti Visive.

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