L’altrove (nel tempo, nello spazio) per interpretare il qui e ora, l’altro per indagare il ‘noi’ sono e saranno sempre le dimensioni peculiari del cinema di ricerca di Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian. Un cinema che si storicizza e al contempo intraprende nuove strade di esplorazione del mondo e di se stesso, anche dopo la scomparsa di Ricci Lucchi avvenuta il 28 febbraio 2018.
Presentato come evento speciale nel Fuori Concorso della 75° Mostra di Venezia, il film che Gianikian (con l’aiuto del montatore Luca Previtali) ha dedicato alla compagna di vita, di viaggi e di avventure artistiche è giustamente firmato da entrambi, al pari di tutte le loro opere precedenti. Si tratta infatti di un lungometraggio che si sviluppa lungo due assi paralleli e intrecciati ben espressi nel suo titolo doppio – I diari di Angela / Noi due cineasti – e che è costruito nel segno dell’alternanza di immagini realizzate insieme nel corso dei decenni e di frammenti tratti dai quaderni in cui Angela scriveva e disegnava quotidianamente.
All’inizio del film, l’origine del lungo connubio della coppia ci viene data a vedere nelle immagini del corto intitolato Erat-Sora (un anagramma in omaggio a un poema di Pound): nel 1975 Gianikian sovraimpressiona una pellicola 8mm già impressionata da Ricci Lucchi segnando la congiunzione indissolubile dei loro sguardi e gesti artistici. Sempre in apertura, Gianikian ci porta all’hangar Bicocca, nel 2012, con i due inquadrati da Dominique Païni davanti ai rotoli dipinti da Angela e agli schermi allestiti per la mostra NON NON NON, la loro consacrazione italiana.
Nell’arco di queste cinque decadi e delle due ore del film, tutto il loro cinema scorre in controluce, persino la ricerca sul rapporto tra visione, odorato e conoscenza compiuta con i “film profumati” riaffiora alla mente quando le mani di lei grattugiano un intero tartufo su un piatto di riso sniffandone l’aroma. Attraverso il montaggio di materiali editi e inediti, I diari di Angela / Noi due cineasti compie un’operazione sofisticata in cui i diari di lei sfogliati e letti oggi dalla voce di lui trovano una coincidenza straordinaria con i video di vari formati dei loro viaggi in Russia (1989 e 1993), Turchia (1979), Armenia (1987) in compagnia di Walter Chiari, ex-Yugoslavia (1996) fino in Iran… a cui si aggiunge molto cinema privato girato per lo più in cucina o nella casa di campagna.
“Nous voyageons en cataloguant, nous cataloguons en voyageant à travers le cinéma que nous allons re-filmer” scrivevano i due in un testo apparso nel 1995 sulla rivista Trafic dedicato al loro metodo di lavoro. Un metodo che qui si applica al racconto di un altro lungo, intensissimo viaggio, un viaggio di viaggi, la vita insieme “mentre scorre la nostra incessante ricerca di arte”. Ogni spostamento che il film testimonia è legato in vari modi a un lavoro, a un fronte o a una frontiera di cui raccogliere testimonianza con estratti che fanno parte anche di Viaggio in Russia, installazione su sei schermi realizzata per l’ultima edizione di Documenta a Kassel (2017). Di quella spedizione in Russia negli anni del tramonto dell’URSS, qui si raccontano gli incontri, le cene estenuanti, il rapporto con l’archivista diffidente che si apre a una generosità inaudita solo dopo che il suo gatto ha mostrato simpatia per i due ospiti. Sono retroscena ironici o emozionanti senza i quali film come Uomini, anni, vita (1990) o le più recenti Note non sarebbero potuti esistere. I Diari di Angela è un’autoetnografia che nelle sequenze del viaggio in Armenia compiuto sulle tracce delle origini di Yervant somma un livello al lavoro di analisi stratigrafica compiuto con Ritorno a Khodorciur (1986) e Io ricordo (1997) dove il padre di lui, Raphael Gianikian, leggeva brani del proprio diario di sopravvissuto al genocidio.
I due si recano laddove la storia personale e collettiva brucia e ferisce per interrogarsi sull’uomo come “animale di guerra”. Nel 1996 sono a Sarajevo per un festival: “portiamo il film Prigionieri della guerra come uno specchio” e da quel viaggio tra “rovine lugubri” dove ancora capita di veder crescere un melo cotogno, nascerà Inventario balcanico (2000), un film capace di raccontare la storia attraverso i dettagli del privato.
Ricci Lucchi aveva studiato pittura a Vienna con Oskar Kokoschka perfezionando un’arte dell’acquerello che insieme al video e alla parola le ha permesso di fissare e archiviare il racconto di istanti vissuti, di oggetti visti, di persone incontrate, di sensazioni provate. I suoi acquerelli emergono fluidi sui diari ma anche su grandi bobine di carta. Sono cronache per fermare la vita di sempre, per “fissare le piccole cose divertenti, sorprendenti” ma anche per illustrare un universo di passioni letterarie e cinematografiche e per esprimersi politicamente.
I Diari di Angela racconta il farsi di un cinema che è corpo e tempo, che è solido ma vulnerabile come la materia, che si fabbrica attraverso il gesto artigianale e la perizia a volte faticosa del lavoro manuale. Lavoro che può agire sulla terra da coltivare o sulle pellicole di Luca Comerio salvate dall’oblio e sottoposte a un lungo lavoro di ricerca e re-significazione di cui Dal Polo all’Equatore (1986) è una fondamentale testimonianza. La materia, il corpo del cinema si trovano a collidere con la sua smaterializzazione in digitale nel momento in cui un effetto di interferenza magnetica fa tremare l’immagine mentre si assiste al montaggio di una pellicola.
Nessun cellulare, quasi nessuno schermo di pc in questo racconto sul valore del tempo e sulla sconvolgente precarietà della vita che si fa dramma illustrato, quasi un ex-voto dedicato ai numi dell’arte, quando è la voce di lei a narrare l’incidente di cui lui rimase vittima nel 2014, ustionato a causa dell’esplosione di una bobina di nitrato, riuscendo a stento ad andare a ritirare il Leone tributato loro dalla Biennale di Venezia. I Diari di Angela è un film che avrebbe potuto (e forse potrà) estendersi ulteriormente recuperando altre parole e immagini registrate dagli Settanta i giorni nostri. Questa è la speranza.
© CultFrame 09/2018
Film presentato alla 75. Biennale Cinema di Venezia
TRAMA
Dopo la scomparsa di Angela Ricci Lucchi, Yervant Gianikian ne rilegge i diari e associa i suoi ricordi ai filmati realizzati nel corso di una vita di esplorazioni e viaggi nel mondo e nel cinema.
CREDITI
Titolo: I diari di Angela – Noi due cineasti / Regia: Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi / Montaggio: Yervant Gianikian, Luca Previtali, in collaborazione con Carlotta Cristiani / Produzione: In Between Art Film / Paese: Italia, 2018 / Durata: 125 minuti
SUL WEB
Filmografia di Yervant Gianikian
Filmografia di Angela Ricci Lucchi
Mostra Internazionale del Cinema di Venezia – Il sito