Nel solco della riscoperta della grande fotografia internazionale a cui stiamo assistendo in Slovenia in questo periodo, l’omaggio che Maribor dedica a Inge Morath con un’importante retrospettiva della sua opera si innesta su profonde riflessioni sulla storia della regione, vera terra di confine e di influenze reciproche tra le culture germanica, slovena, italiana, ungherese.
Ingeborg Hermine Morath nacque nel 1923 a Graz, in Austria, da padre tedesco e madre slovena. La sua nascita segue di pochissimi anni il referendum del 1920 nel quale molte città della bassa Stiria, abitate dalle diverse comunità slovene ed austriache, scelsero i loro diversi destini geografici: Graz e Klagenfurth divennero così austriache, mentre Maribor ed altre restarono slovene. Ma, a dispetto dei risultati elettorali, quando Ingeborg vede la luce la regione è ancora permeata dallo scambio e dalla convivenza tra le sue diverse anime che si compenetrano ed influenzano vicendevolmente, come nella giovane famiglia Morath.
Nei territori di confine – intesi non solamente nelle loro accezioni geografiche o fisiche -, dai confini stessi, dall’incontro e dalla contaminazione tra quel che c’è al di qua e al di là di questi nascono spesso le cose migliori e più innovative nel campo della letteratura e delle arti. Così accade anche per Inge Morath e l’idea di confine, che segna ed attraversa l’intera sua vita diventa così, in parallelo con le sue radici multietniche, il segno distintivo di tutta la parabola del lungo cammino artistico.
La Morath non fu infatti solamente la fotografa della Magnum resa famosa dalle foto di viaggio e dagli intensi ritratti, frutto del rapporto stretto ed intimo che riusciva ad instaurare con i personaggi, famosi e non, che incontrava. La sua attività percorse sempre territori al confine tra ogni forma di espressione artistica: fu scrittrice, autrice di testi radiofonici, picture editor, curatrice, intellettuale ben conosciuta nei milieux artistici di Vienna, Parigi e New York per tutta la seconda metà del secolo scorso, dove frequentava scrittori, scultori, pittori.
La retrospettiva, allestita a cura di Brigitte Blüml-Kaindl and Kurt Kaindl nelle ampie sale della UGM–Maribor Art Gallery fino al 21 ottobre, mette ben in luce questo suo aspetto di intellettuale capace di esprimersi al meglio in molti campi. Le oltre 200 fotografie esposte sono suddivise per zone geografiche nelle quali la Morath operò fotograficamente ma anche dove, in molti casi, visse per molti anni.
Da Venezia, dove si recò con il primo marito e scoprì, dopo gli anni passati in Magnum nel ruolo di editor, la sua nuova passione ed il suo talento per la fotografia, passando per la Spagna, la Russia, l’Iran, la Cina, l’area del Danubio, la Romania, gli Stati Uniti. E’ il periodo del suo massimo impegno come fotografa, dopo il secondo matrimonio con il commediografo Arthur Miller e il trasferimento a Roxbury, nel Connecticut, dove la coppia restaurerà la vecchia fattoria che diverrà, per tutta la loro vita, ampio spazio di lavoro e sereno rifugio nella quotidianità.
Il viaggio fu, per questa artista, elemento sempre presente nella vita privata e fotografica; Inge Morath non veniva però spinta ad esso da motivi contingenti, particolari eventi o affari politici, ma piuttosto cercava di far durare a lungo e ripetere spesso i viaggi, ben oltre le scadenze strette degli incarichi, allo scopo di esplorare e comprendere a fondo la cultura dei luoghi visitati e, se possibile, raccogliere abbastanza materiale da realizzare un libro. I suoi viaggi, nati da assignment, da passione personale o da motivi familiari (la prima messa in scena a Pechino di “Morte di un commesso viaggiatore”, ad esempio, che impegnò Miller per lunghi mesi) saranno per l’autrice sempre motivo di approfondimento della cultura locale, di studio della lingua e di ripetuti ritorni.
Ma l’identica cura nella preparazione dei viaggi veniva profusa nei ritratti, l’altro importante tema che accompagnò Inge Morath durante tutta la sua carriera fotografica e a cui è dedicata una sezione della mostra. Interessata agli artisti che frequentava ma anche alla gente comune che incontrava durante i suoi reportage, basava ogni ritratto su un intenso incontro o sulla profonda conoscenza del soggetto.
L’importanza che Inge dava alla comunicazione con i suoi modelli è testimoniata anche dall’impegno che metteva nello studiare le lingue, allo scopo di intavolare conversazioni con le persone che voleva fotografare: sapeva esprimersi correntemente in tedesco, inglese, francese, spagnolo, romeno, russo e cinese. Il suo entusiasmo per l’arte e la letteratura fece sì che tra i personaggi ritratti figurassero molti scultori e scrittori, ma anche registi ed attori, poiché all’inizio della sua carriera per Magnum si trovò a fotografare ripetutamente vari set cinematografici.
Sul suo approccio al ritratto Inge Morath racconterà:
“Mi preparo a fare ritratti con la stessa cura che per un viaggio in un nuovo paese. Leggo o guardo al lavoro dell’artista che deve essere fotografato. La preparazione è importante perché l’incontro stesso sia spontaneo e breve, un’espressione facciale è breve ed effimera come un’ombra. Invitandoli ad essere sé stessi, spero di trovare la verità interna”.
Ma, dopo aver varcato con passione e curiosità i molti confini della sua vita e del suo percorso artistico, sarà solo verso la fine della sua esistenza che Inge Morath si deciderà a varcare quello che divideva il suo paese natale dalla vicinissima Slovenia, per ritrovare le radici della sua famiglia materna. L’occasione gliela offrirà un documentario che la regista austriaca Regina Strassegger girerà in occasione di Graz capitale europea della cultura 2003: una lunga intervista all’artista, ma anche un’indagine sulle sue zone di origine, a margine delle due regioni. In questo frangente, Morath ripercorrerà, seguendo la sua memoria, le strade dei suoi antenati fotografando le feste popolari, la casa natale dei suoi nonni, la cultura giovanile di Maribor. Un progetto caratterizzato da destini umani, eventi di unione e distacco, struggenti ricordi ed intense immagini di natura che non troverà, però, conclusione: durante la preparazione del libro e della successiva, prevista, mostra, Inge Morath morirà improvvisamente a New York.
Rimane dell’esperienza – oltre, naturalmente, alle foto esposte a Maribor – un libro dove Regina Strassegger racconta il suo ultimo viaggio con Inge, con alcune delle immagini realizzate da lei, altre di backstage, interviste e testimonianze: “Grenze Raum (terre di confine): Inge Morath’s last journey”.
Nel libro, un intervento di Arthur Miller esprime meglio di ogni altro l’“essere confine” che ha sempre permeato la vita e l’opera della sua compagna di vita:
“Nell’idea di confine essa sembrava aver trovato la complessità della propria esistenza. Il confine è la fine di qualcosa ma anche l’inizio, la fuga e l’ingresso, il desiderio di dimenticare e la necessità di ricordare… essa visse la sua vita interiore su un confine, che non aveva divisione netta tra luce ed oscurità, ma a cavalcioni di un sentiero incerto attraverso varie scale di grigio. Era un territorio spirituale più che fisico, e la sua delicatezza, il suo tocco di eterno può essere intravisto in molte delle sue fotografie, dove i soggetti sembrano essere in uno spazio sospeso, immobili, in attesa…”
© CultFrame 09/2018
INFORMAZIONI
Inge Morath: Retrospective
Dal 28 giugno al 21 ottobre 2018
UGM Umetnostna Galerjia Maribor – (Maribor Art Gallery) / Strossmayerjeva ulica 6, Maribor, Slovenija / Telefono: +386(0)2 229 58 60 / info@ugm.si; uprava@ugm.si