L’uomo che uccise Don Chisciotte ⋅ Un film di Terry Gilliam

SCRITTO DA
Valentina Mallamaci

Un uomo in abiti cavallereschi si scaglia con la sua arma contro un mulino a vento. La sua spada trafigge una delle pale ma vi rimane incastrata, così il cavaliere viene sollevato e rimane sospeso a mezz’aria. Poi una voce grida «Stop» rompendo l’incantesimo. Si sta girando uno spot pubblicitario, quel cavaliere non è il Don Chisciotte di Cervantes. Non siamo nel passato, e a confermarlo interviene l’inquadratura successiva: un giovane e arrogante regista di nome Toby, disattento e svogliato, viene interpellato dai componenti della troupe per capire come procedere, ora che le riprese sono state interrotte. Alle sue spalle si stagliano imponenti e modernissime pale eoliche.

La contraddizioni cominciano qui, in questo scontro tra passato e presente, tra immaginazione e realtà, tra ricchezza di possibilità e povertà di intenti. Le antinomie Terry Gilliam le conosce bene, sono la materia che ha dato forma alla sua filmografia. E mai come in questo caso l’aspettativa (la sua in primis) è alta: più di vent’anni di gestazione, tra incidenti di percorso, interruzioni e battibecchi con la produzione (l’ultimo con Paul Branco poco prima della proiezione al Festival di Cannes) per un’opera che, fin dal primo istante, ironizza su se stessa, strizzando l’occhio allo spettatore. Tuttavia è forte, già dai primi minuti, la sensazione di ritrovarsi un un patchwork troppo ampio per garantire una visione d’insieme.

Toby è il protagonista di una commedia dell’insoddisfazione: è un regista pubblicitario che ha a disposizione budget importanti per realizzare prodotti che lui stesso ritiene (e plasma come) mediocri. È cinico, disilluso, più interessato ad affabulare la moglie del suo capo che a svolgere un buon lavoro. Qualcosa cambia quando si imbatte, casualmente, in una copia di un suo film giovanile, una rivisitazione lirica della storia del Don Chisciotte, girato a poca distanza dal set dello spot pubblicitario. È il suo legame con l’idealismo di un tempo, ma anche il modo attraverso il quale Gilliam responsabilizza il lavoro del cineasta. Fare cinema non è un’attività artistica fine a se stessa: ha uno stretto e considerevole rapporto con la realtà, può cambiarla, rendere gli spettatori persone migliori o peggiori, influenzarne le scelte di vita. Lascia un segno che può rimanere indelebile, ed è responsabilità di chi fa cinema non voltare la testa dall’altra parte.

Terry Gilliam

Quando Toby decide di ripercorrere quelle stesse strade sulle quali, tanti anni prima, aveva scoperto il suo amore per la regia, trova un percorso tortuoso, fatto di una polvere ruvida che rimane incollata sul suo volto e sui suoi abiti costosi. È una strada in salita, a rischio di continue cadute, che si risolve nell’incontro con il “suo” vecchio Don Chisciotte. Quell’uomo, che un decennio prima aveva tanto faticato a interpretare l’eroe di Cervantes, adesso non riesce più a svestirne i panni. Imprigionato in una sorta di teatro della decadenza, si mostra al pubblico (rigorosamente) pagante in tutta la sua follia. Toby ne è quasi sconvolto, sente la colpa e il peso di un sogno che, evidentemente, per qualcuno si è trasformato in un incubo, e decide di accompagnarlo in un viaggio picaresco che lo costringerà a trasformarsi in un improbabile Sancho Panza, al contempo fido scudiero e frastornato regista, incapace di distinguere tra realtà e alienazione. Da qui la sovrapposizione di fantasia, sogno e verità rende la visione difficoltosa, e perde di efficacia nei suoi tratti di comicità.

I riferimenti a fatti reali, a partire dalle difficoltà di realizzazione del film per arrivare all’attualità e alle citazioni (a tratti interessanti) della filmografia del regista, sono chiari, spesso evidenti, ma poco amalgamati al percorso di “penitenza” che il protagonista, a tratti alter ego dello stesso Gilliam, fatica a percorrere. Il suo contrappasso, che si fa scontro con una realtà fantastica o con una favola dai tratti verosimili (è difficile definirlo) è crudo e distorto, come l’uso ricorrente del grandangolo e di lenti volutamente deformanti suggeriscono, ma si ripiega continuamente su se stesso, creando un labirinto del quale è difficile trovare l’uscita, tanto per il protagonista quanto per il pubblico.

Ci sono tante, troppe intenzioni di Gilliam dentro un lungometraggio che finisce per perdersi nella sua stessa complessità dicendo tutto ma lasciando poco dietro di sé. Mentre Toby si trasforma definitivamente in Don Chisciotte, la commedia smette di divertire e si fa frastornante, confusa, disattendendo le aspettative di chi, per tanti anni, ha atteso l’opera più controversa di un regista brillante e innovativo che però, in questo caso, non ha saputo trovare la giusta misura tra desiderio individuale e resa creativa e che, suo malgrado, si è dovuto scontrare con il suo personalissimo mulino a vento.

© CultFrame 09/2018

TRAMA
Toby, cinico regista pubblicitario, si ritrova intrappolato nelle bizzarre illusioni di un vecchio calzolaio spagnolo che crede di essere Don Chisciotte. Nel corso delle loro avventure sempre più surreali, sarà costretto ad affrontare le tragiche ripercussioni del film realizzato quando era un giovane idealista, che ha inciso in modo indelebile sulle aspettative e sui sogni di un piccolo villaggio spagnolo.


CREDITI
Titolo: L’uomo che uccise Don Chisciotte / Titolo originale: The Man who killed Don Quixote / Regia: Terry Gilliam / Sceneggiatura: Terry Gilliam, Tony Grisoni / Interpreti: Adam Driver, Jonathan Pryce, Stellan Skarsgård, Olga Kurylenko, Joana Ribeiro, Óscar Jaenada, Jason Watkins, Sergi López, Rossy De Palma, Hovik Keuchkerian, Jordi Molla / Fotografia: Nicola Pecorini / Montaggio: Lesley Walker, Teresa Font / Musica: Roque Baños / Scenografia: Benjamín Fernández / Produzione: Alacran Pictures, Amazon Studios, Entre Chien et Loup, Eurimages, Movistar, Proximus TV, RPC, TVE, Tornasol Films, Akbar Filmes, Wallimage / Paese: Spagna, Belgio, Portogallo, Regno Unito 2018 / Distribuzione: M2 Pictures / Durata: 132 minuti

SUL WEB
Filmografia di Terry Gilliam
M2 Pictures

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Valentina Mallamaci

Classe 1984, giornalista e da sempre appassionata di cinema e scrittura. Dopo un’esperienza di due anni come caporedattore presso una webzine piemontese, nel 2013 si trasferisce a Roma per frequentare il Master in Critica Giornalistica presso l’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. Scrive di teatro e cinema, ma si interessa anche di sceneggiatura. Attualmente collabora con Il Mucchio Selvaggio e CultFrame - Arti Visive.

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