La frontiera americana, il profondo west, gli spazi sconfinati, la natura selvaggia. Formule, cliché, definizioni che abbiamo sentito migliaia di volte, che abbiamo visto in centinaia di film, che hanno caratterizzato in modo specifico il genere cinematografico americano per eccellenza: il western.
Che senso ha dunque, ancora oggi, impelagarsi in uno schema narrativo/visuale così usato ed abusato, che si è spinto addirittura già da molto tempo oltre quella che potremmo definire fase post-crepuscolare? Ebbene, in tal senso, Joel e Ethan Coen sono recidivi, poiché dopo Il Grinta del 2010, sono tornati sul “luogo del delitto” con The Ballad of Buster Scrugss.
Si tratta di un film a episodi (sei per la precisione) che prende ispirazione a livello di struttura narrativa, secondo le dichiarazioni dei due cineasti, dalle pellicole realizzate in Italia negli anni sessanta, basate su un tema comune affrontato in piccoli affreschi visuali creati da registi diversi.
In questo caso, i registi sono sempre i fratelli americani, i quali non perdono occasione per edificare un’opera che non vuole essere, nella maniera più assoluta, l’ennesima stantia elaborazione dell’epopea che ha portato alla nascita degli Stati Uniti d’America. Tutt’altro. Quella del film di genere (western) è solo una patina esterna, è solo la corteccia di un tronco espressivo che contiene la linfa vitale della poetica di Joel ed Ethan Coen.
Tutti gli episodi che compongono questo mosaico di storie sono caratterizzati dal tono tipico delle opere degli autori di Fargo. In primo luogo, l’ironia acida e sferzante che contraddistingue i racconti, poi quella vena sottilmente assurda che attraversa le loro storie, quindi la capacità di narrare vicende che sembrano apparentemente banali ma che nascondono sempre e comunque un senso profondo.
In special modo, nel primo episodio, quello del “cowboy-killer” che spara in modo sublime e canta canzoncine stranianti con voce baritonale, i fratelli Coen esprimono con chiarezza il loro universo cinematografico, un mix di cinismo, grottesco, paradossale, surreale condito con una buona dose di abilità registica che si manifesta in inquadrature decisamente impressionanti. La presa in giro degli stereotipi del western è fin troppo chiara, così come le citazioni che rimandano il nostro pensiero ai capolavori del genere (vedi Sentieri selvaggi di John Ford).
Il tono si fa molto più tragico, e senza speranza, nell’episodio del giovane “attore” senza braccia e senza gambe, mentre il conflitto tra idiozia umana e indifferenza totale della natura nei riguardi delle contingenze (sempre umane) è il nucleo narrativo della breve e assurda storia del cercatore d’oro.
Non vogliamo qui descrivere tutti i mini-film che compongono quest’opera, ma vi assicuriamo che i Coen spingono l’acceleratore sul versante dell’insensato ripulendo il western da quell’atmosfera insopportabile di stampo epico ed eroico a cui siamo abituati.
Tutti i personaggi sono folli, dementi, crudeli, miserabili e compiono azioni paradossali mentre la natura assiste silente e distante. Questo attrito semantico/visuale, che è niente altro che una riflessione filosofica, è delineato da Joel e Ethan Coen attraverso inquadrature che definire “belle” sarebbe fin troppo riduttivo e ovvio. Si tratta, invece, di un iconografia delirante e perfetta che mette in luce, forse una volta per tutte, le vere contorte radici del cosiddetto “sogno americano”.
© CultFrame 08/2018
TRAMA
Sei storie diverse, e tutte paradossali sulla cosiddetta frontiera americana. Ogni episodio è incentrato sull’iconografia del genere western e sui suoi stereotipi.
CREDITI
Titolo: The Ballad of Buster Scruggs / Regia: Joel e Ethan Coen / Sceneggiatura: Joel e Ethan Coen / Montaggio: Roderick Jaynes / fotografia: Bruno Delbonnel / Scenografia: Jess Gonchor / Musica: Carter Burwell / Interpreti: Tim Blake Nelson, James Franco, Liam Neeson, Tom Waits, Bill Heck, Zoe Kazan, Tyne Daly, Brendan Gleeson / Produzione: Netflix / Paese: Usa / Durata: 132 minuti
SUL WEB
Filmografia di Joel Coen
Filmografia di Ethan Coen
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