Ci sono diversi modi di realizzare opere cinematografiche che affrontano il tema della relazione tra gli esseri umani basata sui concetti di sopraffazione, di dominio, di uso della violenza. A noi sembra che il metodo adottato dal Shinya Tsukamoto, caratterizzato da un’impostazione mentale, psicologica, e non da un arido desiderio di raffigurazione privo di senso (finanche di tipo esibizionistico), sia quello più consono e profondo per trattare un argomento simile. Certo, in Zan (Uccidere) si vedono delle scene cruente, e anche il sangue, ma questi fattori non sono il vero centro della narrazione e neanche quello dell’istanza poetica che governa l’intero film.
La vicenda dei samurai senza padrone che si aggirano, folli, in una regione rurale del Giappone del XIX secolo è in tal senso emblematica. Questi uomini, votati alla guerra e al combattimento, si ritrovano in una condizione di totale straniamento e cercano disperatamente di dare un senso alla loro vita: allenandosi, sfidandosi in duelli, divenendo dei criminali oppure cercando di riorganizzarsi per tornare alla loro esistenza di guerrieri.
In maniera molto intelligente, Tsukamoto sembra all’inizio del film suddividere i vari personaggi in buoni e cattivi, ma alla fine capiamo che le varie psicologie con le quali ci dobbiamo rapportare da spettatori sono molto più complesse di quanto si possa credere. Ma ancor più interessante appare la collocazione ambientale delle storie dei protagonisti. Non a caso, a nostro avviso, tutto è stato rappresentato dentro un contesto naturalistico “lontano” dalla civiltà, dalle città, in cui la natura domina il paesaggio in modo totalmente incontrastato (a parte le aree coltivate).
Attraverso questo meccanismo il cineasta giapponese mette in forte ed evidente contrapposizione la follia umana e la violenza (sempre degli umani) alla silente e metafisica compostezza del mondo naturalistico che sembra ospitare la tragica idiozia dei samurai con distante disprezzo. In tal senso, le gesta scomposte e piene di retorica (sia in relazione agli sguardi che alle parole) dei “guerrieri senza più missione” sembrano ridicole e demenziali rispetto all’indifferenza suprema dell’esistente.
Proprio perché si tratta di un film filosofico-psicologico, Tsukamoto lavora anche evidenziando la complessità dell’interiorità di alcuni personaggi, i quali vivono con angoscia e nevrosi la loro tendenza ad adeguarsi all’uso della violenza. Ma in conclusione non rimane altro che una sorta di sguardo vuoto, di soggettiva vagante nelle foreste, di perdita totale dell’orientamento, di delirio visivo che non porterà il genere umano da nessuna parte, se non verso il baratro.
© CultFrame 09/2018
TRAMA
Verso la metà del XIX secolo, il Giappone vive una situazione di pace da almeno 250 anni. In questa condizione i samurai si ritrovano senza una vera occupazione e iniziano a vagare per il Paese, spesso divenendo dei criminali. Solo alcuni riescono a comprendere che l’uso della violenza sarà sempre più distruttivo e controproducente.
CREDITI
Titolo: Zan (Uccidere) / Regia: Shinya Tsukamoto / Sceneggiatura: Shinya Tsukamoto / Montaggio: Shinya Tsukamoto / Fotografia: Shinya Tsukamoto, Satoshi Hayashi / Scenografia: Tsuyoshi Endo / Musica: Chu Ishikawa / Interpreti: Sousuke Ikematsu, Yu Aoi, Tatsuya Nakamura, Shinya Tsukamoto, Ryusei Maeda / Produzione: Kaijyu Theater / Paese: Giappone / Durata: 80 minuti
SUL WEB
Filmografia di Shinya Tsukamoto
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito