Un uomo con i piedi per terra, ma con lo sguardo sempre rivolto al cielo. Così viene ritratto Neil Armstrong in First man di Damien Chazelle, film d’apertura di Venezia 75 interamente dedicato al pilota e astronauta scomparso a 82 anni nel 2012 e passato alla storia come il primo uomo a calpestare il suolo lunare.
Ci si potrebbe chiedere quali siano le ragioni per dedicare oggi, in un’epoca in cui le passeggiate spaziali non accendono più di tanto la nostra immaginazione, un biopic a un personaggio così poco controverso della storia americana. La risposta più sensata a tale interrogativo è probabilmente quella che nel 2019 cade il cinquantesimo anniversario dell’allunaggio e che la Universal e Chazelle puntano a rifare il pieno di Oscar dopo i successi mietuti da La La Land (2017), presentato anch’esso due anni fa proprio a Venezia e all’altra importante vetrina internazionale di Toronto.
In effetti, la produzione di First man sembra essere stata allestita in modo da avere tutte le carte in regola per ottenere questo scopo: basandosi sull’omonima biografia autorizzata di James R. Hansen, del 2005, il film è scritto da Josh Singer, già sceneggiatore premio Oscar de Il caso Spotlight (2015) e di The Post (2016) di Spielberg, con quest’ultimo qui in veste di produttore esecutivo; lo script e l’interpretazione di Ryan Gosling mescolano abilmente pathos e azione soffermandosi con particolare dolenza sul lutto che colpì Armstrong per la morte della secondogenita Karen, scomparsa in tenera età a causa di un tumore che allora la scienza non seppe curare.
A partire da questo evento tragico, il film ripercorre gli anni più intensi (dal 1961 al 1969) della vita e dell’attività di Armstrong, la sua testarda applicazione al lavoro e alla missione quasi impossibile di sbarcare sulla luna che la Nasa e gli Stati Uniti si erano prefissi per battere i rivali sovietici in una corsa allo spazio che costò non poche vite umane e moltissimo denaro a entrambe le superpotenze. E infatti in First man si rievocano sia gli incidenti di cui rimasero vittima i colleghi di Armstrong, e in seguito ai quali fu poi lui e non un altro ad arrivare sulla luna, sia anche le contestazioni di parte dell’opinione pubblica americana (un estratto di intervista televisiva allo scrittore Kurt Vonnegut; il canto di protesta dell’afroamericano Gil Scott-Heron contro i costi del programma spaziale destinato a portare “whitey on the moon”).
Nel complesso, l’affresco storico realizzato da Chazelle risulta affascinante soprattutto per le riprese quasi documentarie dei vari voli di prova effettuati dal protagonista oltre l’atmosfera terrestre, sempre molto aderenti al suo punto di vista e nelle quali l’immagine mostra una grana molto anni Sessanta, e per la scelta di esibire le (si presume) autentiche tecnologie composte di viti e bulloni tutt’altro che rassicuranti e di quadri elettronici davvero primitivi che consentirono ad Armstrong di realizzare nel 1966 il primo aggancio di due navicelle nello spazio, preludio decisivo all’ultima meta conquistata tre anni dopo.
Tanto il rapporto con i figli e la moglie interpretata da Claire Foy (la regina Elisabetta nella serie Netlix The Crown), confinata al ruolo secondario di madre e custode del focolare domestico, quanto le due ore e mezza trascorse da Armstrong e Aldrin sulla luna (condensati in pochi minuti, mentre il rientro non viene neanche mostrato) risultano più convenzionali e meno interessanti delle sequenze in cui Chazelle ha mano libera da ogni vincolo di sceneggiatura: al punto che il film – la cui fine è universalmente nota – sarebbe stato compiuto anche se si fosse chiuso alla partenza dell’Apollo 11, senza rimettere in scena l’atterraggio sul nostro satellite e senza la scena finale di emozioni trattenute tra Neil rientrato sano e salvo e la moglie che gli spettatori possono interpretare come vogliono, altro requisito non secondario di un film che punta a essere consensuale.
Come sempre, dai tempi di Whiplash (2014), Chazelle si affida anche in questo caso al direttore della fotografia Linus Sandgren, al montatore Tom Cross e al compositore Justin Hurwitz. Chi si attendeva dal regista un altro film musicale, troverà sparsi in First man vari riferimenti alla passione per la musica di Armstrong e, dopo l’efficace silenzio dello spazio nelle prime sequenze, un tema ‘lunare’ che ricorda molto uno dei pezzi forti di La La Land…
© CultFrame 08/2018
Film presentato alla 75. Biennale Cinema di Venezia
TRAMA
Neil Armstrong è il pilota che per primo nella storia eseguì l’aggancio nello spazio tra due veicoli, nel 1966, e che poi nel 1969 portò per la prima volta due esseri umani sulla luna, pronunciando le famose parole: “Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un balzo gigantesco per l’Umanità”. Ma dietro questi successi, c’è un uomo che ha molto sofferto.
CREDITI
Titolo: Il primo uomo / Titolo originale: First Man / Regia: Damien Chazelle / Sceneggiatura: Josh Singer (dal romanzo “First Man: The Life of Neil A. Armstrong” di James R. Hansen) / Fotografia: Linus Sandgren / Montaggio: Tom Cross / Scenografia: Nathan Crowley / Musica: Justin Hurwitz / Interpreti: Ryan Gosling, Jason Clarke, Claire Foy, Kyle Chandler, Corey Stoll, Ciaran Hinds, Christopher Abbott, Patrick Fugit, Lukas Haas / Produzione: Temple Hill Entertainment, Universal Pictures, Dream Works Pictures, Perfect World Pictures, Steven Spielberg / Distribuzione: Universal Pictures / Paese: Usa / Durata: 135 minuti
SUL WEB
Sito ufficiale del film First Man di Damien Chazelle
Sito italiano del film First Man – Il primo uomo di Damien Chazelle
Mostra Internazionale del Cinema di Venezia – Il sito
Universal Pictures