Pawel Pawlikowski è certamente uno dei pochi registi contemporanei che ha ancora consapevolezza riguardo la potenza comunicativa dell’immagine. Già con il suo film Ida aveva chiaramente mostrato questa sua indiscutibile capacità, ovvero la sua abilità nel costruire una storia affidandosi ai significanti visuali e al suono piuttosto che alla struttura narrativa e alla drammaturgia.
Con Cold War, Pawlikowski conferma questa particolarità, mostra nuovamente di che materia è fatto il cinema, costruendo una vicenda assolutamente non nuova, una sorta di prevedibile spunto, che intende essere solo una griglia, un percorso narrativo da sostenere grazie agli aspetti estetico-fotografici della lingua cinematografica. Il suo bianco e nero è ora nitido e riflettente, ora totalmente rarefatto, perso dentro un mondo di sfumature di grigi che rappresenta una specie di marchio di fabbrica dello stile visivo del cineasta polacco.
A tali elementi visuali si somma un impianto sonoro che trova nuovamente (come è stato per Ida) in talune atmosfere jazzistiche la chiave per amplificare all’ennesima potenza la dimensione comunicativa di sequenze e inquadrature. Ma non solo. Ecco, per quel che riguarda Cold War, riemergere dal pozzo senza fondo della cultura europea addirittura melodie dimenticate, polacche e rutene, musiche che possiedono una statura archetipica e che ricordano la sostanza mitica delle popolazioni slave.
In questo contesto, la storia del personaggio denominato Zula (Johanna Kulig), vero cardine espressivo del film, acquisisce un valore assoluto non in chiave narrativa però, e meno che mai in chiave psicologica. Zula è il mito del femminile slavo, un miscuglio di fisicità barbarica e di interiorità oscura, di bellezza primordiale e di emozioni trattenute ed enigmatiche. Si tratta di un personaggio che ha, dunque, un enorme spessore poetico e che rappresenta il concetto del femminile inteso come luogo dell’assoluto, dell’imprevedibile e dell’impossibile. Per tale motivo, il suo innamorato (un musicista inquieto fuggito in Francia interpretato da un discreto ma convenzionale Tomasz Kot) è una sorta di personaggio-comprimario, di puro sostegno collocato nell’opera per sorreggere l’intera architettura emotiva del film incarnata nel corpo-volto dell’inafferrabile Zula.
Così, i primi piani che Pawel Pawlikowski dedica alla destabilizzante e straordinaria Johanna Kulig divengono delle vere e proprie icone, dei paesaggi (alla maniera del “visage-paysage” di Gilles Deleuze), degli spazi figurativi e metaforici prima che delle immagini di un volto colto nella ovvietà dell’azione recitativa.
I temi della guerra fredda, dell’ideologia comunista, del sistema occidentale-capitalistico, così come quelli melodrammatici dell’amore contrastato e quasi impossibile e della disperazione dell’autoannientamento, si manifestano solo come fattori di contorno, come pre-testi utili a rendere Cold War un film appetibile anche per il mercato del cinema e per il pubblico.
Nonostante ciò, questo lungometraggio di Pawlikowski rimane un lavoro fortemente figurativo, disperatamente fotografico, e dunque pienamente estetico, nel senso più nobile del termine. Non è, infatti, lo struggimento amoroso il cuore creativo di Cold War, e neanche la bellezza superficialmente evidente delle immagini, quanto piuttosto il sentimento percettivo che ogni inquadratura fa nascere nell’osservatore. E nel cinema contemporaneo ciò avviene sempre più di rado.
© CultFrame 12/2018
TRAMA
Zula e Viktor si incontrano in Polonia nel dopoguerra. Fanno parte di una compagnia di canto popolare e danza folcloristica. La prima è una cantante, il secondo pianista e direttore d’orchestra. I due si innamorano, ma quando Viktor proporrà a Zula di fuggire in Francia, lei non lo seguirà. In seguito Zula e Viktor si incontreranno di nuovo e riprenderanno ad amarsi in mezzo a mille problematiche fino a quando non prenderanno una decisione.
CREDITI
Titolo: Cold War / Regia: Pawel Pawlikowski / Sceneggiatura: Pawel Pawlikowski, Janus Glowacki, Piotr Borkowski / Fotografia: Lukasz Zal /Montaggio: Jaroslaw Kaminski / Scenografia: Anna Woloszczuk, Marcel Slawinski, Katarzyna Sobanska-Strzalkowska / Interpreti: Johanna Kulig, Tomasz Kot, Borys Szyc, Jeanne Balibar / Produzione: Apocalypso Pictures, BFI Film Fund, Film4 / Distribuzione: Lucky Red / Paese: Polonia, Francia, Regno Unito / Anno: 2018 / Durata: 84 minuti