La douleur ⋅ Un film di Emmanuel Finkiel

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

Il film di Emmanuel Finkiel, tratto dal testo autobiografico di Marguerite Duras, La douleur merita senza ombra di dubbio una riflessione più ampia rispetto a quella più limitata di una recensione.

Quando ogni anno si avvicina il Giorno della Memoria iniziano a palesarsi iniziative di ogni tipo: manifestazioni pubbliche, spettacoli, conferenze, pubblicazione di libri, presentazione di film. Tutto ciò rientra ormai da diversi anni in una sorta di routine che se da una parte rappresenta una significativa conquista culturale e civile da un’altra sta producendo un fenomeno di (quasi) assuefazione. Tale assuefazione, sia chiaro, non è determinata dall’importanza di questo “appuntamento”, fondamentale per la società contemporanea, quanto piuttosto dallo scarso livello dei contributi artistici e culturali che vengono proposti in questo periodo.

Ebbene, La douleur è l’eccezione che conferma la regola. Si tratta, infatti, di un lungometraggio di chiarissimo spessore contenutistico e linguistico, di un’opera d’arte visuale che realmente, e non meccanicamente, lavora sul concetto di memoria.

Il regista Emmanuel Finkiel ha saputo, con estrema abilità, entrare nello spirito del testo di Marguerite Duras, mettendo in atto il processo della memoria intesa come attualizzazione nel presente del passato e non come rievocazione di un ricordo storicistico (quindi distante dalla realtà contemporanea). Finkiel è riuscito a fare ciò, elaborando il testo della Duras come flusso di coscienza interiore, flusso in grado di provocare risonanze mentali ed emotive strettamente collegate alla dimensione orrorifica e ripugnante della Shoah e del nazismo.

Tra attività clandestina di resistenza, tentativi disperati di salvare il marito (il poeta e scrittore Robert Antelme), una “relazione” ambigua con un agente francese della Gestapo, il personaggio di Marguerite (proprio la Duras, interpretata da una strepitosa Mélanie Thierry) mette in pratica  un percorso soggettivo nel delirio della sopraffazione dell’uomo sull’uomo, nello strato più oscuro della società europea del XX secolo, nella realtà malata di una società francese (e parigina) che tristemente collaborava con gli occupanti nazisti.

L’ossessione per la liberazione dai campi di sterminio del marito, nell’esperienza di Marguerite Duras, correva di pari passo a una costante e lucida elaborazione intellettuale del dolore, dell’assenza, del vuoto, dell’abisso del senso. Il buco nero del nazismo, la lucida follia di coloro i quali perseguivano l’applicazione della “soluzione finale”, veniva metabolizzata dalla scrittrice grazie a un duplice comportamento: la lotta clandestina e senza tentennamenti contro il nazismo e l’analisi terribilmente dolorosa della sua condizione umana di fronte all’impossibilità di salvare il marito (che comunque, seppure in condizioni di salute disperate, riuscirà con l’aiuto dei compagni della Resistenza, a tornare a Parigi).

Emmanuel Finkiel

Finkiel, alludendo in modo non così nascosto, alla cifra stilistica di Alain Resnais (vedi soprattutto Hiroshima non amour), costruisce un testo audio-visivo in cui i temi del lavoro della Duras sono abilmente miscelati in una struttura del racconto che diviene labirinto mentale dal quale lo spettatore non può mai liberarsi (fortunatamente). Il regista francese gioca in maniera sublime con la lingua cinematografica, segue i suoi personaggi molto da vicino, usa la voce fuori campo come un tormento, utilizza potenti sfocature per narrare il senso di stordimento interiore che i protagonisti vivono di fronte all’orrore.

Ma Emmanuel Finkiel compie un’altra operazione molto significativa: seguendo in maniera chiara la straordinaria lezione di Claude Lanzmann non mostra mai l’orrore, lo relega nel fuori campo e nelle sfocature, non cedendo mai il passo alla facile e sterile spettacolarizzazione del dolore. Lanzman sosteneva che con i suoi film comunicava il “gelo della morte” e che la Shoah era non rappresentabile e, ancor di più, che non si doveva cadere nell’errore della sua rappresentazione spettacolarizzata, che bisognava evitare la sua visualizzazione estetizzante.

Finkiel, con estrema eleganza intellettuale, segue la stessa rigorosa strada, pone l’orrore fuori scena evocandolo continuamente grazie al flusso di pensiero della protagonista. E proprio grazie a questo meccanismo lo rende tragicamente tangibile e presente. In tal senso, La douleur è un film che produce realmente memoria, che si colloca implacabilmente nella mente e nel cuore dello spettatore costringendolo a vivere  in modo scioccante il supplizio dell’assenza e, come avrebbe detto il grande storico Johan Huizinga, “lo scempio del mondo”.

© CultFrame 01/2019

TRAMA
Marguerite è una giovane donna attiva nella Resistnza francese contro il nazismo. Lavora in una casa editrice e scrive. Suo marito, Robert, viene arrestato dalla Gestapo e successivamente verrà deportato in un campo di sterminio in Germania. Marguerite farà di tutto per far liberare il marito, aiutata dai suoi compagni.

CREDITI
Titolo: La douleur / Regia: Emmanuel Finkiel / Sceneggiatura: Emmanuel Finkiel (basato sul libro La douleur di Marguerite Duras) / Fotografia: Alexis Kavyrchine / Montaggio: Sylvie Lager / Scenografia: Pascal le Guellec / Interpreti: Mélanie Thierry, Benoît Magimel, Benjamin Byolai, Shulamit Adar / Produzione: Le film du poisson, Cinéfrance, Versus Production, Need Productions, France 3 / Disttribuzione: Walmyn, Wanted / Paese: Francia / Anno: 2018 / Durata: 127 min.

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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