Gli spettatori del Bergamo Film Meeting 2019 hanno potuto vedere, nell’ambito della retrospettiva che omaggiava la lunga carriera cinematografica di Jean-Pierre Léaud, un’opera interpretata dall’attore feticcio di Truffaut e all’epoca anche complice di Godard con un terzo regista francese allora ventenne ma ben più che esordiente quale Philippe Garrel: ci riferiamo a La concentration (1968), proiettato a Bergamo in una smagliante copia in 35mm fornita dalla Cinémathèque Française grazie all’intervento dell’autore stesso cui Léaud aveva chiesto personalmente aiuto per recuperare questo film altrimenti quasi invisibile.
La concentration appartiene a una fase del lavoro di Garrel in cui la sperimentazione cinematografica incrocia la performance art per una riflessione sulle costrizioni dei corpi nello spazio e delle menti nella società contemporanea. Come in The Brig di Mekas, dove il New American Cinema incontrava il Living Theatre per un atto d’accusa contro la violenza di Stato, anche qui gli esiti del connubio vanno ben al di là del teatro filmato.
I protagonisti del film, che pare sia stato girato in sole 72 ore di lavoro pressoché ininterrotto, sono un uomo e una donna interpretati da Léaud e da ZouZou (modella e cantante che reciterà poi anche con Rohmer e con Ferreri), vestiti solamente con completi intimi bianchi unisex e con al collo appeso un microfono da cui scendono cavi simili a lacci, costretti in uno spazio concentrazionario. Al suo centro, un grande letto in cui i due recitano sdraiati o accovacciati, che simboleggia e amplifica la relazione nevrotica che li lega. Al muro è appesa una siringa, dai rubinetti uscirà sangue, il crematorio è pronto ad accendersi.
Impigliati in un gioco di specchi, prigionieri di un ambiente in cui anche la parola si ripiega su se stessa e talvolta risuona con eco infernale, l’uomo e la donna si slegano da corde che diventano cappi, si sdoppiano cercando invano di analizzarsi, di risolversi. L’interrogazione esistenziale va in scena nella ripetizione esausta di copioni già scritti, di trinità prestabilite: lui, lei e il bambino come in Le révélateur (1968), film girato da Garrel nello stesso anno, complementare e antitetico a questo perché muto; ma in La concentration il bambino non esiste, è il simulacro di una mancanza, fantasma di un desiderio destinato a rimanere inappagato, illusione presto morta a cui però la donna non si rassegna finendo per accusare l’uomo di averlo ucciso. Il conflitto esplode, l’odio dilaga, lui ammazza lei e infine si suicida.
Garrel illumina lo spazio scenico suddiviso in una zona ‘calda’ e in una ‘fredda’ con dominanti cromatiche molto contrastate e lo filma con movimenti di camera meticolosamente costruiti e carrelli reiterati, che non lasciano scampo, per la durata esatta di novanta minuti. Nella sua denuncia dell’alienazione, La concentration rappresenta senz’altro un’eccezione ai trionfalismi e alla liberazione delle forme emergenti in molte altre opere coeve, figlie della rivolta sessantottina. Il suo film successivo, Le lit de la vierge (1969), declinerà in toni nuovamente amari e rabbiosi la repressione della contestazione.
© CultFrame 04/2019
Film presentato al Bergamo Film Meeting 2019
TRAMA
Un uomo e una donna incapaci di uscire dallo spazio della loro alienazione inscenano una allegoria tragica dell’esistenza umana.
CREDITI
Titolo: La concentration / Regia: Philippe Garrel / Sceneggiatura: Philippe Garrel / Fotografia: Michel Fournier / Montaggio: Philippe Garrel, Jackie Raynal / Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Zouzou / Produzione: Sylvina Boissonnas, Philippe Garrel / Francia, 1968 / Durata: 90 minuti.
SUL WEB
Filmografia di Philippe Garrel