The Painted Bird di Václav Marhoul ⋅ 76. Biennale Cinema di Venezia ⋅ Concorso

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

Su una cosa siamo totalmente d’accordo con Václav Marhoul: durante la Seconda Guerra Mondiale la vita non fu per niente bella per gli ebrei europei e per tutti i perseguitati dal nazismo. Marhoul, in tal senso, è distante anni luce da Benigni, per fortuna. Nel suo The Painted Bird non fa alcuno sconto, non nasconde, non addolcisce, non trasforma l’orrore del terribile conflitto mondiale in qualcosa di sopportabile attraverso una discutibile dilatazione favolistica.

A onor del vero, il regista ceco nelle note di regia sostiene: “The Painted Bird non è un film di guerra e nemmeno sull’Olocausto…è una storia senza tempo. La lotta tra le tenebre e la luce, tra il bene e il male…”. Ci dovremmo ritrovare, così, in una sorta di racconto dall’impostazione filosofica sulla questione dell’eterno confronto tra il dolore e la natura umana, tra la sofferenza e l’empatia, tra la persecuzione e la tolleranza, in definitiva tra l’odio e l’amore.

Václav Marhoul

Ma allora, ci domandiamo noi, perché scegliere proprio la vicenda di un bambino ebreo allo sbando nelle campagne dell’Europa dell’Est in mano ai nazisti? Perché un riferimento finale inequivocabile ai campi di sterminio? La contestualizzazione storico-geografica è chiarissima, conclamata. Come mai, invece, Marhoul sembra voler fare un passo indietro rispetto all’argomento Shoah? Non abbiamo una risposta certa, anche se un’idea personale  ce la siamo fatta: il regista di Praga  ha voluto, per narrare la sua “grande” storia di odio e violenza, utilizzare un tema molto significativo, importante, sconvolgente e tragico, e soprattutto molto noto a tutti, nel tentativo di facilitare il compito dello spettatore. La questione della Shoah, però, meriterebbe ben altra utilizzazione cinematografica e/o artistica, più legata al tema della Memoria, al desiderio di affrontare con profondità l’enorme buco nero che ha inghiottito l’Europa alcuni decenni fa e, cosa non di poco conto, con una minore tendenza alla spettacolarizzazione. Mahroul l’ha invece usata semplicemente come chiave (cioè come un banale strumento) per aprire una porta che conduce il pubblico in una storia “senza tempo” e dal forte (fortissimo) impatto emotivo, appunto.

A parte questo aspetto, The Painted Bird è un film che ha evidenziato in modo nitido il tentativo del suo autore di strafare, a volte in modo veramente imbarazzante. La durata elefantiaca di 169 minuti è assolutamente ingiustificata e rappresenta un gravissimo difetto. Non è certo un critico che possa dire a un regista come debba fare il suo film, ma questa volta ci sentiamo di fare un’eccezione: almeno sessanta minuti in meno, forse, avrebbero potuto salvare questa operazione.

Václav Marhoul

Ma andiamo ancor più nel dettaglio. Le penose e sconvolgenti avventure del personaggio centrale, un bambino ebreo allo sbando nel cuore dell’Europa dell’Est in cui imperversano i nazisti, sono incentrate su innumerevoli “quadri” separati in cui è possibile assistere a un’escalation di violenza e depravazione senza freni. Abbandono, povertà, sporcizia, violenza, odio, stregoneria, abusi fisici, sessuali e psicologici, pedofilia, accoppiamenti con animali, stragi ignobili, vendette senza senso, mutilazioni. Insomma, chi più ha più ne metta. Per rendere l’idea della situazione riguardo l’argomento centrale (“la lotta tra il bene e il male”) sarebbe bastata la metà di ciò che il regista ceco ha rappresentato. Aggiungere in modo sconsiderato violenza a violenza, dopo aver già mostrato tanto orrore, è davvero imperdonabile, un’ingenuità espressiva che non conduce questa pellicola (è stata girata in 35 mm) da nessuna parte. Inoltre, i “fantasmi” di Andreij Tarkovskij e Béla Tarr aleggiano per tutto il film, anche con citazioni decisamente evidenti e ingombranti.

Insomma, The Painted Bird proprio per i motivi appena esposti risulta un’opera irrisolta, ridondante e scomposta. È un vero peccato, perché uno dei discorsi di fondo, ovvero quella della natura selvaggia, primitiva e indifferente rispetto alla follia umana, si intravede appena, travolta da una massa informe di sangue e sopraffazione verso cui, alla fine, si prova per fino assuefazione.

Quindi se da una parte, come sempre facciamo, stigmatizziamo l’annacquamento contenutistico de La vita è bella, dall’altra non possiamo fare altro  che stigmatizzare il parossismo fuori controllo di The Painted Bird. In medio stat virtus: vale nella vita, e spesso anche nel cinema.

© CultFrame 09/2019

TRAMA
Un bambino ebreo viene affidato dai genitori a una donna anziana perché lo custodisca durante le razzie dei nazisti nel cuore dell’Europa Orientale. La donna però muore all’improvviso, così il bambino inizia a vagare da solo tra campagne, boschi e villaggi sperduti. Ne vedrà di tutti i colori e sarà costretto a subire violenze inenarrabili. Poi, arriveranno i russi…


CREDITI

Titolo: The Painted Bird / Regia: Václav Marhoul / Scneggiatura: Václav Marhoul / Fotografia: Vladimir Smutny / Montaggio: Ludek Hudec / Scenografia: Jan Vlasak / Interpreti: Petr Kotlar, Udo Kier, Lech Dyblik / Produzione: Silver Screen / Paese: Repubblica Ceca, Ukraina, Repubblica Slovaka, 2019 / Durata: 169 minuti

SUL WEB
Filmografia di Václav Marhoul
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito

 

Condividi
Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

Articoli correlati

Previous
Next

1

About

New CULTFRAME – Arti Visive rappresenta la naturale evoluzione della precedente rivista fondata nel 2000. Vuole proporre ai lettori un quadro approfondito della realtà creativa italiana e internazionale. L’intenzione è quella di cogliere ogni nuovo fattore che possa fornire sia agli appassionati che agli addetti ai lavori un affresco puntuale e moderno riguardo gli sviluppi odierni delle Arti Visive.

3

COPYRIGHT © 2024 CULTFRAME – ARTI VISIVE.
TUTTI I DIRITTI RISERVATI. AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI ROMA N. 152 DEL 4 MAGGIO 2009