Ha senso, oggi, nel 2019 fare un film sul caso Dreyfus, scandalo che sconvolse la Francia tra il 1894 e il 1906? La risposta non può che essere inequivocabile: assolutamente si. Mai come oggi è infatti diffuso nella società contemporanea (anche quella europea) il virus nefasto e pernicioso dell’antisemitismo. Mai come oggi il pericolo è quello di sottovalutare gli innumerevoli segnali che vengono da paesi democratici e moderni che di fatto non sono stati in grado di debellare definitivamente l’odio razzistico nei riguardi del popolo ebraico, quell’odio che circa ottant’anni fa fu il micidiale propellente che fece avviare da parte dei nazisti la sciagurata macchina della Shoah, ovvero il tentativo di cancellazione totale dell’ebraismo europeo. E cosa è stato l’Affaire Dreyfus, se non la prova evidente che ciò che si sarebbe verificato pochi decenni dopo allungava le sue radici nella storia del vecchio (colto) Continente?
Alfred Dreyfus era stato uno dei pochissimi ebrei transalpini in grado di ottenere un ruolo di prestigio nell’Esercito Francese e forse proprio per questo motivo pagò duramente il suo desiderio di servire il suo Paese. L’accusa di alto tradimento, cioè di aver passato informazioni militari al nemico tedesco, erano ridicole e in parte anche vergognosamente opera di una abominevole falsificazione. Il vero traditore era un altro, ma aveva la fortuna di non essere ebreo.
Non fu “bella” la vita per l’ebreo Dreyfus nella Francia di fine Ottocento attraversata da sentimenti antisemiti di enorme portata, non fu “bella” la vita per la sua famiglia, per la moglie e i figli, e non fu “bella” anche per il Colonnello che si fece carico di rivelare, pagandone le conseguenze, la vile persecuzione razzistica che era stata messa in piedi per distruggere il capitano ebreo Alfred Dreyfus. Era dunque nella logica evolutiva del cinema di Roman Polanski, il fatto che il grande autore de L’inquilino del terzo piano e de Il Pianista, realizzasse un lungometraggio dedicato a questo caso che ancora oggi rimane una macchia indelebile per la società europea, francese in particolare.
Come abbiamo sostenuto da sempre, Roman Polanski fin da uno dei suoi primi cortometraggi (Omicidio, 1957), e a parte rare eccezioni, ha girato film incentrati sulla stessa struttura tematico-contenutistica. I temi trattati sono sempre solidi e compatti: il concetto di persecuzione, la sopraffazione dell’essere umano sull’essere umano, l’odio discriminatorio e razzistico, il terrificante processo di colpevolizzazione di colui il quale è vittima. Questi argomenti sono sempre posti all’interno di strutture concentrazionarie, veri e propri luoghi di tortura psicologica (e non solo), spesso case o ville apparentemente accoglienti. Tutti questi elementi sono ovviamente ravvisabili in L’ufficiale e la spia (Titolo originale: J’accuse), un film che ha delle fondamenta poderose che si innestano nella poetica polanskiana in maniera netta.
Dreyfus è l’emblema della persecuzione antiebraica, è la vittima trasformata in colpevole, è il bersaglio dell’odio antisemita per eccellenza. Polanski in maniera intelligente, però, lo pone dentro la storia come una sorta di “fantasma” pieno di dignità che fa risuonare dentro l’esercito francese e la società tutta, con la sua assenza e la sua feroce emarginazione, l’orrore dell’antisemitismo. Suo contraltare (molto più in scena) è un colonnello pieno di coscienza e onore, che immediatamente si rese conto della persecuzione messa in atto contro Dreyfus cercando con tutte le sue forze di rendere giustizia a questo ufficiale condannato ingiustamente. Pochi lo sostennero, e certamente l’appoggio più sostanzioso, deflagrante, fu quello orchestrato dallo scrittore Émile Zola che con il suo testo J’accuse, pubblicato sul quotidiano “L’aurore”, ebbe il coraggio di denunciare con immensa forza comunicativa l’ingiustizia che aveva colpito il capitano Dreyfus.
Roman Polanski ha costruito un film perfetto, maturo, equilibrato, preciso, affilato come il bisturi di un chirurgo. La sua regia è totalmente funzionale alla storia e al contenuto. Eppure, non è povera o sterile. Tutt’altro. Ogni inquadratura possiede una sua potenza interna, una struttura forte e impressionante, una valenza espressiva mai sottotono. Per far ciò si è affidato anche alla direzione della fotografia di Pawel Edelman, il quale ha edificato un impianto visuale cupo, oscuro, inquietante, tragico. Non splende mai il sole sulla Francia, non c’è mai luce negli appartamenti parigini e nelle stanze dei servizi segreti. Le immagini sono dolorosamente tenebrose anche se nulla nell’impostazione delle inquadrature guida didascalicamente la sensazione dello spettatore. Si percepisce solo un sottile, mostruoso, orrore che serpeggia, che si insinua in ogni ambiente e che rende i volti degli interpreti sempre quasi privi di espressione.
Polanski ha realizzato, dunque, un’altra prova fondamentale nella sua cinematografia. Si ha come l’impressione che più va avanti con gli anni, più abbia la voglia di abbandonare la metafora artistica a favore di un racconto leggibile per chiunque, di un cinema che narri in modo evidente anche parte della sua vita, la sua essenza, le sue sensazioni interiori, senza più filtri. E questo, a nostro avviso, è proprio il caso di J’accuse.
© CultFrame 08/2019 – 11/2019
Film presentato alla 76. Biennale Cinema Venezia
TRAMA
Tra il 1894 e il 1906 la Francia fu sconvolta da una caso terribile di antisemitismo. Il capitano d’artiglieria Dreyfuss, di famiglia ebraica, fu accusato di aver ceduto al nemico tedesco preziose informazioni militari strategiche. Dreyfus era totalmente innocente, ma nonostante ciò risultava il bersaglio più facile da colpire: era ebreo. Solo un colonnello dei servizi segreti combatte la battaglia per affermare l’estraneità di Dreyfus a questo caso di spionaggio e proprio l’azione meritoria di questa persona non solo rivelò l’ingiustizia messa in atto nei riguardi dell’ufficiale ebreo, ma consenti di far emergere con chiarezza l’odio antisemita che albergava, neanche tanto nascostamente, nella società francese dell’epoca.
CREDITI
Titolo: L’ufficiale e la spia / Titolo originale: J’accuse / Regia: Roman Polanski / Sceneggiatura: Robert Harris & Roman Polanski (basato sul libro di Robert Harris / Montaggio: Hervé de Luze / Fotografia: Pawel Edelman / Musica: Alexandre Desplat / Interpreti: Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Grégory Gadebois / Produzione: Légende & R.P Productions, Eliseo Cinema, Rai Cinema / Distribuzione: 01 Distribution / Paese: Francia, Italia / Durata: 126 mins.
SUL WEB
Filmografia di Roman Polanski
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito
01 Distribution