Il Sicilia Queer Festival compie dieci anni e, dopo essere stato rinviato a causa del COVID al 15-20 settembre 2020, propone una programmazione in parte in presenza presso il Cinema De Seta di Palermo e in parte online con una selezione di corti e lunghi disponibile gratuitamente sulla piattaforma mymovies.it. Su quest’ultima sarà visibile anche l’ultima opera di Franck Beauvais, il notevolissimo Ne croyez surtout pas que je hurle, autopsia di una relazione condotta dal fondo dell’ossessivo tunnel cinematografico in cui si è rifugiato l’autore per elaborare un doppio lutto.
In questo programma sono da segnalare, in particolare, le ultime due opere di Gustavo Vinagre che saranno disponibili online il 17-18 e il 19-20 settembre. Regista brasiliano nato a fine anni ’80, si è fatto notare ultimamente nei maggiori festival europei del cinema documentario e sperimentale, dal TFFDoc al Forum della Berlinale passando per il parigino Cinéma du Réel dove vinse un premio nel 2018 per Lembro mais dos corvos. Sin dal suo primo lungometraggio Nova Dubai (2014), destabilizzante critica alla speculazione edilizia in un quartiere di São José dos Campos condotta attraverso gli accoppiamenti all’aperto di un gruppo di amici nei cantieri dove nascono svettanti grattacieli, Vinagre realizza opere vitali e sfrontate che trattano in maniera diretta e coraggiosa tabù, paure e abiezioni del nostro tempo con un occhio al Brasile e uno al resto del mondo.
Quello di Gustavo Vinagre è un cinema queer non solo perché attraverso il ritratto/autoritratto di personaggi inconsueti esplora pratiche sessuali e identità di genere eccentriche rispetto alle norme eterosessuali e alla concezione binaria del genere e delle sessualità ma anche perché sorge dai margini e dagli interstizi del canone ripensando ogni frontiera tra narrazione e riflessione sullo statuto delle rappresentazioni, tra vissuto, immaginazione, sogno e incubo. Inoltre, il cinema di Vinagre, così scomodamente intriso di kitsch e di pornografia gay, così elegantemente cinefilo, così sussurratamente teorico, è estraneo alle logiche di promozione della diversity e di accaparramento opportunistico di soggetti e immaginari GLBTQ da parte del mainstream globalizzato.
Basti pensare all’incipit e alla chiusura circolare e a specchio di A rosa azul de Novalis (2019), diretto con Rodrigo Carneiro, una delle due opere in programma al Sicilia Queer, un dialogo occhio/ano che non ha nulla della provocazione gratuita né di un velleitario terrorismo visivo ma interpella i parametri estetici ed etici con cui distinguiamo il visibile dall’invisibile, il sopportabile dall’insopportabile. Siamo davvero disponibili a un viaggio profondo per conoscere la verità su noi stessi? Quanta verità possiamo sopportare e di quanta finzione abbiamo bisogno per resistere alla vita?
Il soggetto del film è Marcelo, un giovane dandy sieropositivo con una bella casa piena di libri e nelle orecchie il canto di Maria Callas, che non ha mai ritenuto di dover impiegare i suoi talenti o interessi nella ricerca di un lavoro. Non sappiamo di cosa viva Marcelo – “se fossi stato costretto a scegliere, forse avrei fatto l’attore”, dichiara – ma è proprio questo suo essere alieno alle cure della quotidianità e impigliato in una dimensione in cui si intrecciano diversi piani temporali a farne una pura creazione cinematografica sul limitare tra verità e trasfigurazione, tra sogno e dramma.
Marcelo è un uomo del suo tempo, che frequenta le app di incontri gay, ma allo stesso tempo si crede una reincarnazione del poeta romantico Novalis – “in una vita precedente sono stato etero” scherza – con cui coltiva la tensione verso la bellezza ideale espressa dalla rosa blu, un fiore bellissimo ma inesistente se non nell’immaginazione o nei tentativi fallimentari dei fiorai da centro commerciale. Gustavo Vinagre trasforma il vissuto e il corpo del suo personaggio in letteratura, in cinema, in qualcosa dunque che va oltre la realtà e si spinge verso il reale ovvero verso il riemergere di un rimosso. Seduto davanti a uno specchio, Marcelo si cosparge il volto di una lozione verde e quel verde diventa la materia di un green screen quando il regista proietta sul suo viso a occhi chiusi immagini di un’infanzia remota, di una poesia lontana.
Vinagre ingaggia con il suo protagonista un gioco di potere ambivalente, manipola e si lascia manipolare, mette in scena e lascia che l’altro si metta in scena convinto non ci sia verità sul soggetto se non quella che emerge dal rapporto tra il desiderio di chi filma e quello di chi è filmato. In un passaggio, Marcelo definisce il cinema-verità “un modo di torturare gli oggetti dei propri film” ma in realtà qui la tortura è un ambiguo gioco di piacere come quando nel bel mezzo di quella che appare come un’intervista documentaria casalinga in cui il giovane rievoca la morte del fratello, la macchina da presa si gira e rivela un feretro, scenografia da film a soggetto in cui il protagonista entra mettendo in scena un episodio che si suppone gli sia accaduto davvero, ma chi può esserne certo? E davvero stiamo avendo accesso alla sua routine quotidiana quando l’uomo immerge il deretano in una bacinella di latte di mandorla e chiede: “Ti piace il modo in cui interpreto La storia dell’occhio di Bataille?”.
Nel più recente Vil, má (2020) ci troviamo ancora una volta di fronte al ritratto autobiografico di un personaggio in un interno che sembra domestico ma non lo è o quanto meno è allestito appositamente per la scena: una tappezzeria kitsch, foto e mobili d’epoca e due manichini in tenuta sadomaso. L’immagine ha i colori saturi delle vecchie riviste per adulti, dei filmacci di serie B, di quella che in Brasile chiamavano la pornochanchada, commedie sexy a tinte forti, piene di violenza e volgarità (a questo proposito si veda il documentario Histórias Que Nosso Cinema (Não) Contava di Fernanda Pessoa, un nome che è tutto un programma per una documentarista). La protagonista, seduta in poltrona, è Edivina Ribeiro, una donna anziana che negli anni Settanta, con il nome di Vilma Azevedo ebbe una carriera di scrittrice di romanzi porno pulp e lavorò come sex worker specializzandosi nel ruolo di dominatrix. Vilma è il rovescio di Edivina, una è il “male”, l’altra il divino, una è determinata sin da bambina a esplorare ogni meandro della sessualità umana, l’altra dice di essere una devotissima cristiana al limite della superstizione. Ma in paese in cui la Chiesa, soprattutto quella evangelica, è una delle più importanti forze reazionarie e repressive qual è la parte maligna e quale la parte benigna?
Alla parola della donna che rievoca la propria vita si alterna la lettura da parte dell’attrice tedesca ma brasiliana d’adozione Juliane Elting. Le due donne si trovano nella stessa stanza come se stessero provando un film che si farà e in cui Juliane interpreterà Vilma. L’atmosfera è incerta: Edivina crede realmente che il regista stia filmando delle prove oppure è consapevole che quello a cui sta partecipando è il vero film? Nei suoi racconti attinge da un archivio di sogni e fantasie proprie e altrui, ricorda episodi del passato, la memoria inciampa e a volte l’invenzione sembra intervenire per colmare le falle.
Nel corso del film, la donna cambia continuamente discorso e identità, un po’ è Vilma, un po’ è Edivina perché in fin dei conti l’una esiste per legittimare desideri e curiosità dell’altra. Vinagre accoglie questa contaminazione e ispirazione reciproca tra i due personaggi e si lascia trasportare in un mondo interiore denso di conflitti e contraddizioni che finisce per farsi specchio del Brasile stesso. Sempre dal Brasile, il 16-17 è programmato nella selezione online del Sicilia Queer Festival anche il bel documentario Indianara di Aude Chevalier-Beaumel e Marcelo Barbosa su Indianara Siqueira, militante per la sopravvivenza delle persone transgender nel Brasile di Temer e Bolsonaro, girato nei giorni che precedono e seguono l’assassinio dell’attivista politica Marielle Franco.
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