Dopo le traversie del 2020, i principali festival internazionali sperimentano quest’anno formule inedite. Così, il Cinéma du Réel di Parigi ha aperto la piattaforma Canalréel e si è inaugurato venerdì 12 marzo scegliendo come film d’apertura Nous di Alice Diop, fresco vincitore della sezione Encounters alla Berlinale e di cui già lo scorso anno il Réel aveva programmato un’anticipazione con un incontro pubblico tra la regista a lo scrittore Pierre Bergounioux, il quale è stato invitato a tenerne un altro lunedì 15 marzo.
Nel 2021 la manifestazione parigina propone dunque proiezioni in streaming sul suo nuovo canale, riservate però a un massimo di 400 persone collegate dalla sola Francia, mentre stampa e addetti ai lavori da tutto il mondo possono vedere i film dei concorsi (internazionale e francese) su Festivalscope. Altra peculiarità dell’offerta del festival diretto da Catherine Bizern è che le proiezioni principali hanno sì una replica ma i film sono resi disponibili a una cert’ora e devono essere visti con soltanto quindici minuti di margine da quel determinato orario, creando così un palinsesto più simile a quello della sala e non lasciando a chi guarda decidere come e quando farlo: si riaffermano in tal modo le scelte di curatela e programmazione tradizionali, tenendo in qualche modo a bada la ‘voracità’ dei cinefili che nell’ultimo anno si sono trovati di fronte a una sovrabbondanza di film disponibili direttamente da casa.
Uno dei primi lavori presentati nella competizione francese, il mediometraggio Un souvenir d’archives di Christophe Bisson, racconta bene la condizione del ‘mal d’archivio’ tramite le parole della ricercatrice Isabelle Ullern, che consulta e mostra alla camera le carte appartenute alla scrittrice e filosofa Sarah Kofman conservate al glorioso IMEC dell’Abbaye D’Ardenne: l’avere a portata materiale tanti documenti inediti e privati genera una curiosità insaziabile che precipita in una sorta di coazione ipnotica e di addiction (parola di Ullern), in cui si viene assorbiti dai dettagli oltre che dal sovrannumero di stimoli. Sulle piattaforme di cinema, con le dovute differenze quanto a limiti di tempo e a distrazioni, accade qualcosa di simile: chi segue i festival sul web – che siano di documentari o di film a soggetto – si ritrova immerso in un flusso di immagini, di sguardi e di storie da cui si può uscire a fatica e psico-fisicamente molto provati.
Tutto scorre, com’è noto, e ce lo ricorda la regista Shengze Zhu con il suo A River Runs, Turns, Erases, Replaces, presentato anch’esso a Berlino 2021, nella sezione Forum, e poi al Réel. Originaria di Wuhan ma oggi residente a Chicago, l’autrice ci mostra la sua città a partire da una lunga sequenza filmata da camere di sicurezza che registrano l’immobilità del lockdown dello scorso anno. Poi, la città d’acque che sorge nei pressi della confluenza tra Fiume Azzurro e Fiume Giallo si rianima (benché le scene che seguono siano in buona parte girate prima della pandemia), rivelando le varie facce di una metropoli moderna dove si inaugurano nuovi ponti futuribili ma in cui l’alta marea estiva si riprende i suoi spazi senza che nulla la possa contenere. Scorrono sullo schermo, mute, le parole di diari e lettere indirizzate dai loro cari a chi non ce l’ha fatta a vedere la fine dell’epidemia. Scorre lo Yangtze e i coraggiosi che vi nuotano dentro restano pressoché immobili, ma non appena cedono allo sforzo vengono portati fuori dell’inquadratura dalla corrente impetuosa che tutti ci trascina.
Dalla selezione del Forum berlinese arrivano anche opere quali The inheritance di Ephraim Asili, Taming the garden di Salomé Jashi e Rock Bottom Riser di Fern Silva. Da Rotterdam, Feast di Tim Leyendekker, Landscapes of Resistance di Mara Popivoda, l’indonesiano Tellurian Drama di Riar Rizaldi, Earthearthearth di Daïchi Saïto e il corto di produzione italiana Flowers blooming in our throats di Eva Giolo. Un altro film breve di ambientazione italiana è Palermo Sole Nero di Joséphine Jouannais. Più anteprime nella competizione francese che annovera nomi noti e film attesi quali Garage, des moteurs et des hommes di Claire Simon (che esplora il mondo maschile dei meccanici), Saxifrages, quatre nuits blanches di Nicolas Klotz ed Elisabeth Perceval (che riprende un loro lavoro del 2009, Zombies, aggiornandolo all’immaginario epidemico-pandemico) o il corto Kindertotenlieder di Virgil Vernier (realizzato per intero con footage di TF1 dell’autunno 2005, quando le banlieues parigine vengono messe a ferro e fuoco dalle rivolte dei giovani che vi abitano presi di mira dal Ministro dell’Interno Sarkozy).
Su di una linea simile si situano gli appuntamenti della sezione “Front(s) Populaire(s)”, caratterizzata dall’interrogativo À quoi servent les citoyens? con riferimento particolare all’attuale temperie emergenziale, che prevedono dibattiti sulle leggi securitarie e proiezioni di opere quali Her Socialist Smile di John Gianvito (ritratto della militante socialista Helen Keller) o un film collettivo realizzato da documentaristi attivi nella Hong Kong di oggi. Tra le altre proiezioni speciali, Das Neue Evangelium di Milo Rau, visto a Venezia 2020 , Ziyara di Simone Bitton, premiato al Filmmaker 2020, e Golda Maria di Patrick e Hugo Sobelman, video-ritratto di una sopravvissuta alla Shoah intervistata nel 1994 e firmato da nipote e bis-nipote.
Va infine segnalata la retrospettiva completa dei film di Pierre Creton, che permette di ripercorrerne giorno dopo giorno l’itinerario peculiare, tanto più che ogni programma è accompagnato da conversazioni con il regista stesso. Creton è un cineasta per cui la scelta di vivere e lavorare in campagna e la volontà di filmarla sono andate di pari passo, dagli anni Novanta a oggi. Il suo penultimo lungo Va, Toto! (2017) è stato visto anche in Italia, al Torino Film Festival, ma non i suoi primi, testimonianze degli incontri che ne hanno determinato la vita (a partire da quello con l’apicultore Marcel Pilate, che appare nel suo corto del 1994 Le vicinal). In dialogo con quest’omaggio, la sezione “Cinéaste en son jardin” con titoli di Joaquim Pinto, Jonas Mekas, Hilal Baydarov, Sophie Roger e altri per dimostrare come i lavori creativi e quelli con la terra possono essere ben più vicini che non antitetici. Nell’abbondanza di proposte cinematografiche digitali, a ciascuno/a di trovare il suo giardino.
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