Gli americani secondo Joel Meyerowitz in mostra alla Helmut Newton Foundation di Berlino

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis
Joel Meyerowitz. Chuckie, Provincetown, 1980. Joel Meyerowitz, courtesy Howard Greenberg Gallery

Helmut Newton. Sigourney Weaver, Los Angeles, 1983. © Helmut Newton Estate

Negli ampi spazi della Helmut Newton Foundation è in corso, fino al 10 ottobre 2021, una mostra, estremamente articolata, intitolata America 1970s/80s.

Si tratta di un’interessante “retrospettiva” incentrata sulla presenza di quattro diversi autori messi a confronto tra loro: ovviamente Helmut Newton, poi Sheila Metzner ed Evelyn Hofer, e infine Joel Meyerowitz.

In sostanza, percorrendo gli eleganti saloni dell’Istituzione berlinese il visitatore ha l’opportunità di effettuare un’incursione in una realtà espressiva complessa basata su quattro punti di vista diversi diretti verso una società, come quella statunitense, per sua natura cosmopolita e densa di sfumature etniche e sociali.

Sheila Metzner. Bega. Peppers, 1982 © Sheila Metzner

Non c’è alcun dubbio, a mio avviso, che la porzione di esposizione che più di ogni altra si manifesta in una forma compiuta e intellettualmente molto coerente è quella dedicata a Joel Meyerowitz.

Quest’ultimo è considerato il grande maestro della fotografia cosiddetta di strada (nonché del colore), anche se per quel che mi riguarda si tratta di una catalogazione fin troppo restrittiva, persino sterile culturalmente. Lo spirito estetico che guida Meyerowitz, infatti, non può essere ingabbiato in una definizione univoca. Il suo sguardo indaga, riflette, rappresenta il mondo grazie a un intenso sforzo di oggettività che, però, non fornisce giudizi definitivi e assoluti.

Il fotografo americano è un prezioso umanista, che si relaziona con la realtà senza tentare di estrarre dal caos delle forme del mondo la bizzarria insensata del caso, la presunta bellezza del momento, l’effetto visuale fine a se stesso. In tal senso, il suo approccio è finemente filosofico-poetico: Meyerowitz guarda il mondo al fine di studiarne con partecipazione empatica ogni elemento, ogni fattore di interesse. Ed ogni elemento viene poi proposto al fruitore grazie a una sorta di dialogo che percorre due sentieri paralleli: la relazione tra fotografo e soggetto ripreso e tra quest’ultimo e il fruitore finale dell’immagine.

Joel Meyerowitz. Darrell, Provincetown, 1983. © Joel Meyerowitz. Courtesy of the Howard Greenberg Gallery

Le numerose immagini messe in mostra nella capitale tedesca sono di fatto gli esiti di un lungo lavoro messo in atto dall’artista americano già finemente organizzato in un libro intitolato Provincetown (Aperture – 2019). Per questo progetto Meyereowitz si è recato in un villaggio di pescatori cercando di raffigurare in modo più libero possibile il panorama umano che si stagliava davanti al suo sguardo e al suo dispositivo ottico.

Ne è venuta fuori una lunga teoria di volti, corpi, atteggiamenti, espressioni,  posture, abiti, relazioni interpersonali che “illumina” un’umanità anonima che, a sua volta, appare in totale sintonia con i luoghi. Non si tratta banalmente di ritratti ambientati; le immagini non hanno niente a che fare con il solito birignao parascolastico relativo al “genere” ritratto.

Meyereowitz sembra voler attribuire ai corpi e ai volti ripresi ciò che lo psicanalista/filosofo James Hillmann avrebbe definito l’anima dei luoghi. Il risultato di questa operazione è che non sembra palesarsi alcuna separazione tra figura umana e ambiente in una sorta di rappresentazione dal tono iper oggettivo per quel che riguarda la parte visuale/contenutistica. Se invece si valuta il piano puro dell’espressione, il significante, si avverte una sorta di comunicazione spontanea del mondo che semplicemente viene percepito esteticamente dal fotografo, il quale “si limita” a svolgere la funzione di antenna sensibile, di “macchina fotografica organica” al di là dell’uso del dispositivo ottico inorganico.

Joel Meyerowitz. Lynette, Provincetown, 1981. © Joel Meyerowitz. Courtesy of the Howard Greenberg Gallery

Giovani donne, uomini adulti, madri e figlie, famiglie, bagnanti, individui che si pongono allo sguardo del fotografo nella loro essenza, senza cercare di interpretare se stessi. Meyereowitz accoglie tutti con estrema disponibilità umana e scrive fotograficamente un racconto esistenziale che ai più potrebbe apparire ovvio ma che invece pone a tutti delle domande dal valore universale.

Chi siamo noi? E chi siamo noi quando gli altri ci guardano? E chi sono coloro i quali ci guardano e ci definiscono senza conoscerci? Perché guardiamo tutti e tutti ci guardano? Joel Meyerowitz non sembra fornire risposte precise a queste domande, semmai pone ulteriori domande e cerca di comprendere quale sia la reale funzione del fotografo nel mondo moderno, e la sua utilità per la società.

La cosa certa, comunque, è che seguendo le raffigurazioni di Provincetown tutti noi possiamo avere la netta percezione del nostro tragicomico anonimato ma anche della nostra straordinaria e inimitabile unicità.

© CultFrame 07/2021

INFORMAZIONI
Mostra: America 1970s/80s / Autori: Helmut Newton, Sheila Metzner, Evelyn Hofer – Joel Meyereowitz: Provincetown / Dove: Helmut Newton Foundation / Città: Berlino / Quando: fino al 10 ottobre 2021 / Libro: Provincetown / Autore: Joel Meywrowitz / Editore: Aperture / anno: 2019

Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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