È stata la mano di Dio ⋅ Un film di Paolo Sorrentino ⋅ 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ⋅ Concorso

SCRITTO DA
Claudio Panella

Ritorno a Napoli, ritorno a sé. Non c’è altro sottotitolo possibile per il film con cui Sorrentino è tornato a girare nella sua città a vent’anni esatti dall’esordio de L’uomo in più (2001), tanto più che si tratta di un’opera d’ispirazione autobiografica. È stata la mano di Dio, destinato alle sale ma anche a Netflix dopo il bagno nella serialità di The Young Pope (2016) e The New Pope (2020), affonda le sue radici nella giovinezza stessa dell’autore (orfano come il personaggio del ‘suo’ papa) ed è stato da lui medesimo definito un “piccolo film”, scritto inizialmente come un racconto destinato ai propri figli.

Se nella carriera del regista ci saranno un prima e un dopo È stata la mano di Dio ce lo potranno dire soltanto i suoi lavori successivi, ma non è difficile avvertire il distacco – specialmente, ma non solo, formale – tra le barocche performance registiche cui Sorrentino ci ha abituato e i movimenti molto più posati della macchina da presa che seguono le vicende dell’alter-ego Fabietto Schisa e della sua famiglia dall’anno in cui Maradona viene ingaggiato dal Napoli (1984) a quello in cui la città impazzisce per lo scudetto (1987), compresse in poco più di due ore e in un arco temporale che appare ben più compatto.

Pur fondamentale, come dimostrano la dedica a Maradona pronunciata ritirando l’Oscar per La grande bellezza (2013) e l’omaggio al calciatore già presente in Youth (2015), l’epopea in terra campana del “pibe de oro” fa qui soltanto da sfondo a un film suddiviso sostanzialmente in due parti: la prima è una commedia corale in cui la famiglia Schisa mette in scena un continuo teatro in puro stile partenopeo; la seconda vira invece sul dramma dove l’elaborazione del lutto si fa presto racconto di formazione di un aspirante cineasta, capace solo di guardare il mondo e dunque determinato a trasfigurarlo sul grande schermo per emanciparsene creativamente.

Nella prima metà del film, il gusto per le maschere napoletane che compongono la famiglia del protagonista non sfugge al macchiettistico. Nella compagnia di attori e attrici collaudati e gag ripetitive senza pretese (l’invisibile sorella sempre chiusa in bagno; il livore della signora Gentile, l’acrimonia verso il fidanzato della zia sovrappeso…), si segnalano comunque le meno scontate interpretazioni di Teresa Saponangelo (madre) e Luisa Ranieri (zia procace ma tormentata). Alle apparizioni di San Gennaro (Enzo De Caro) e del “munaciello”, che marcano – con segno diverso – l’inizio e la fine del film, si aggiungono quella di Fellini (che appare in voce) e l’affettuosa citazione – anche qui ripetuta – riservata al Sergio Leone di C’era una volta in America (1984).

Nella seconda, dopo la tragedia che ha segnato la vera vita del regista, ha un ruolo decisivo il personaggio di Antonio Capuano, l’autore con cui effettivamente Sorrentino esordì quale co-sceneggiatore di Polvere di Napoli (1998). Il cinema appare l’unica via per superare il trauma, ma anche le contraddizioni di una famiglia larger than life con un padre comunista ma dirigente di banca con amante che sogna la baita a Roccaraso. Nel contrasto tra Roma e Napoli esplicitato da Capuano, che invita il giovane Fabio a trovare la sua strada e seguirla (“Non ti disunire!”) senza lasciarsi abbindolare dal mondo del cinema romano, emerge anche la motivazione profonda del cambio di passo stilistico tra la rappresentazione della capitale e quella dell’adolescenza di Fabietto.

Tuttavia, È stata la mano di Dio è un film della crisi, topico nella carriera di ogni autore quale Sorrentino è e aspira ancora a essere, che ritorna sui suoi passi con una certa sincerità ma (proprio per questo?) senza riuscire a mettersi davvero in discussione, ribadendo più che sviscerando. Nel finale di un film praticamente senza musica, altra peculiarità nell’opus sorrentiniano, il tributo a Pino Daniele riassume tutto il dolceamaro di questa operazione cinematografica.

© CultFrme 09/2021

TRAMA
Fabio, detto Fabietto, è un ragazzo taciturno che ancora non sa cosa farà da grande ma la cui vita è movimentata dagli scherzi e dagli screzi che animano la relazione dei genitori, lui funzionario al Banco di Napoli e lei casalinga, e la sua variopinta famiglia allargata. L’arrivo di Maradona a Napoli e il sogno di un futuro diverso conducono lui e ognuno degli altri personaggi verso il suo destino…

CREDITI
Regia: Paolo Sorrentino / Sceneggiatura: Paolo Sorrentino / Montaggio: Cristiano Travaglioli / Fotografia: Daria D’Antonio / Costumi: Mariano Tufano / Scenografie: Carmine Guarino / Interpreti: Betti Pedrazzi, Biagio Manna, Ciro Capano, Enzo Decaro, Filippo Scotti, Lino Musella, Luisa Ranieri, Marlon Joubert, Massimiliano Gallo, Renato Carpentieri, Sofya Gershevich, Teresa Saponangelo, Toni Servillo/ Paese, anno: Italia, 2021 / Produzione:  Netflix, The Apartment / Distribuzione: / Durata:  130 minuti

SUL WEB
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito

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Claudio Panella

Claudio Panella, Dottore di ricerca in Letterature e Culture Comparate, si interessa in modo particolare alle interazioni tra la letteratura e le arti, alle trasfigurazioni letterarie del paesaggio e della città, alle rappresentazioni del lavoro industriale e post-industriale nella letteratura italiana ed europea. Attualmente è redattore di Punto di Svista - Arti Visive in Italia e CultFrame - Arti Visive.

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