Ci risiamo: nel tira e molla di false ripartenze, chiusure e richiusure episodiche che investono a turno i festival cinematografici di tutto il mondo come in una terribile roulette russa, al festival di Rotterdam, punto di riferimento a livello internazionale per il cinema di ricerca, tocca saltare anche questo giro dopo che già l’edizione 2021, la 50a, si era tenuta interamente online. Annullata dunque Sunshine State, l’installazione del premio Oscar Steve McQueen che era stata commissionata dal festival per una fruizione unicamente in presenza nel Kunsthal e si attenderà che tempi migliori vengano presto per recuperarla.
Prima di Natale l’Olanda ha adottato misure rigide di contenimento della pandemia e dunque la formula, annunciata durante una conferenza stampa in streaming dalla direttrice artistica Vanja Kaludjercic, sarà la seguente: dal 26 gennaio al 6 febbraio, il pubblico internazionale accreditato potrà vedere sulla piattaforma Festival Scope Pro le 14 opere della Tiger Competition e le 10 della Big Screen Competition più un certo numero di altre presentate nelle varie sezioni collaterali. Saranno inoltre accessibili anche a persone non accreditate le Big Talk, vale a dire le masterclass dei super ospiti che quest’anno sono l’attore e regista Mathieu Amalric, il direttore della fotografia thailandese Sayombhu Mukdeeprom e la regista statunitense Amanda Kramer.
Mukdeeprom, che riceve anche il Robby Müller Award, con la sua perizia estetica ha dato un contributo determinante a film di Apichatpong Weerasethakul quali Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti e il recente Memoria, oltre ad aver collaborato con Miguel Gomes per As mil e uma noites e con Luca Guadagnino per Call me by your name e Suspiria .
Amanda Kramer, invece, aprirà il festival il 26 gennaio con l’anteprima mondiale del suo Please Baby Please, una fantasmagoria erotica in salsa underground ambientata nella New York degli anni Cinquanta tra personaggi bohémien e gang in pelle nera, con un cast di prim’ordine in cui spicca Demi Moore. Alla regista sarà anche dedicata la prima retrospettiva completa mai realizzata: un percorso di quattro lungometraggi e altrettanti corti capaci di elaborare un’estetica del tutto personale attingendo a sessant’anni di cultura alternativa statunitense, dal New American Cinema ai videoclip degli anni ’80, dal fetish al punk.
Nel concorso principale, la Tiger Competition, si spazia tra formati, linguaggi e generi con il desiderio di proporre voci e sguardi nuovi del panorama mondiale. Achrome di Maria Ignatenko racconta, con i cromatismi freddi di un mondo alla deriva, l’occupazione nazista delle repubbliche baltiche ispirandosi a un romanzo della lituana Rūta Vanagaitė; The Cloud Messenger dell’esordiente indiano Rahat Mahajan colloca in un collegio dell’Himalaya un racconto di formazione sentimentale e spirituale; A criança di Marguerite de Hillerin e Félix Dutilloy-Liégeois è una trasposizione de Il trovatello di von Kleist nella Lisbona del XVI secolo; EAMI – La memoria del monte della paraguaiana Paz Encina evoca le malafatte del capitalismo attraverso un’esplorazione della mitologia indigena; Excess Will Save Us di Morgane Dziurla-Petit riparte dal suo corto omonimo di qualche anno fa per una narrazione corale sui destini di una famiglia nel Sud della Francia; da Israele, Kafka for Kids di Roee Rosen è una rivisitazione delirante della Metamorfosi di Kafka per ragazzi calata nella cornice surreale di una parodia televisiva; in Malintzin 17, Mara Polgovsky riparte dalle sequenze lasciate dal fratello Eugenio scomparso prematuramente nel 2017 per riflettere sul rapporto tra cinema e vita quotidiana; in Met mes, l’olandese Sam de Jong filma una storia di pregiudizi razziali e ipocrisia con un destabilizzante filtro digitale confetto; The Plains dell’australiano David Easteal è un insolito road movie intimista ripreso dal sedile posteriore di un’auto il cui guidatore è un uomo di mezza età che ogni giorno riaccompagna a casa un collega più giovane; Proyecto Fantasma del cileno Roberto Doveris è una storia di precarietà e misteriose apparizioni ambientata in un appartamento nei sobborghi di Santiago; Le rêve et la radio di Renaud Després-Larose e Ana Tapia Rousiouk traduce in rapsodia urbana la narrazione autofinzionale delle vite dei due registi e dell’autrice della colonna sonora; Silver Bird and Rainbow Fish di Lei Lei ricostruisce le traversie di una famiglia cinese tra Storia, memoria e collage multicolore; To Love Again di Gao Linyang segue invece la vita di una coppia anziana alle prese con i traumi del passato e la difficoltà di tenere vivi gli affetti famigliari; Yamabuki di Yamasaki Juichiro filma in 16mm i conflitti sociali in una cittadina mineraria giapponese.
L’altra sezione competitiva, la Big screen competition, propone film forse più pop rispetto alle edizioni che nel passato hanno delineato il carattere rigoroso dell’IFFR ma l’obiettivo resta quello di spingersi alla ricerca di opere che possano mettere in dialogo cinema di ricerca e cinema popolare, tra riflessione e spaesamento. Dal Kazakhstan arriva Assault di Adilkhan Yerzhanov, un thriller dai risvolti tragicomici su una scuola presa in ostaggio da un gruppo terroristico; Broadway del greco Christos Massalas intreccia più destini in un sottobosco sociale che vive di espedienti; l’infanzia è protagonista di CE2 di Jacques Doillon; Daryn’s Gym di Brett Michael Innes è una commedia sudafricana in forma di mockumentary sulle disavventure del gestore di una palestra in crisi finanziaria; Drifting Petals è il nuovo film dagli echi autobiografici di Clara Law che ha lasciato Hong Kong per l’Australia; The Harbour di Rajeev Ravi è un affresco storico sull’India degli anni Quaranta e Cinquanta; il film di animazione The Island dell’artista rumena Anca Damian affronta la crisi dei migranti nel Mediterraneo incrociando Robinson Crusoe e i Monty Python; In Kung Fu Zohra di Mabrouk El Mechri l’arte marziale aiuta una donna ad affrontare un difficile divorzio; nello spagnolo Mi vacío y yo, Adrián Silvestre traccia il ritratto intimo di una persona in transito e infine Splendid Isolation di Urszula Antoniak fa eco alla classica storia d’amore sull’isola deserta in un apologo minimalista sul rapporto tra eros e thanatos ambientato in pieno isolamento pandemico.
Si segnalano, inoltre, Cahiers noirs di Shlomi Elkabetz, oltre duecento minuti di omaggio alla sorella, la nota attrice israeliana Roni, mancata prematuramente nel 2016, con cui il regista ha realizzato diversi film e con cui avrebbe voluto dedicare un documentario alla storia della loro famiglia dall’identità complessa e dispersa per tutto il Medioriente. Nella sezione Bright Future, dedicata alle opere prime, si vedrà The African Desperate dell’artista Martine Syms che attualmente espone alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino l’installazione Neural Swamp. Numerose sono, poi, le più recenti opere di autori importanti del cinema contemporaneo disseminate in diverse sezioni, tra cui il destabilizzante megadocumentario televisivo Life of Crime 1984-2020 di Jon Alpert passato a Venezia 2021; Benediction di Terence Davies sul poeta Siegfried Sassoon; il documentario Blomberg y Maciel che Mariano Llinás (autore del fluviale La flor) dedica al cantante Ignacio Corsini; The Mole Song: Final di Takashi Miike; I morti rimangono con la bocca aperta di Fabrizio Ferraro e la discettazione sul futuro del cinema Kinorama – Beyond the Walls of the Real del portoghese Edgar Pêra. Infine, chi si diverte a seguire gli intrecci tra cinema e musica, potrebbe trovare curioso il documentario Italo Disco. The Sparkling Sound of the 80s che Alessandro Melazzini dedica a una stagione d’oro della musica elettronica da ballo italiana.
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