Tutto su Douglas Sirk al 75° Locarno Film Festival e in libreria

SCRITTO DA
Silvia Nugara
Frame tratto dal film "Come le foglie al vento" di Douglas Sirk _(1956)

La rassegna curata da Roberto Turigliatto e Bernard Eisenschitz per il 75° Festival di Locarno ha rappresentato un momento di aggregazione e di confronto per una serie di iniziative editoriali e cinematografiche consacrate a riportare l’attenzione di un’ampia comunità di esperti e appassionati sull’opera di Douglas Sirk, all’anagrafe Detlef Sierck (Amburgo, 1897-Lugano, 1987).

Mentre nella cittadina svizzera si è potuta rivedere su grande schermo la sua vasta produzione pressoché completa con numerose pellicole restaurate (assente solo l’indisponibile Weekend with Father/Vedovo cerca moglie del 1951), accompagnata dall’anteprima del documentario Douglas Sirk. Hope as in despair del giovane Roman Hüben, sono infatti usciti due diversi volumi. Il primo è disponibile dall’inizio dell’estate nelle nostre librerie con il titolo Lo specchio della vita (Il Saggiatore, 2022): si tratta del leggendario libro-intervista di Jon Halliday Sirk on Sirk, edito per la prima volta nel 1971 e poi nel 1997 con le integrazioni che il regista aveva chiesto di tenere riservate fino alla sua morte, e infine tradotto in italiano a cura di Andrea Inzerillo. A questa pubblicazione si aggiunge quella progettata da Eisenschitz in occasione della retrospettiva locarnese, Douglas Sirk, né Detlef Sierck (Les Éditions de l’Œil, 2022) che presenta anche un ricco apparato iconografico come parte integrante del percorso critico proposto dal suo autore e dall’editore/produttore Gaël Teicher.

Come ricapitola Inzerillo nella sua prefazione al libro di Halliday, un primo risveglio d’interesse critico per il cineasta dei due mondi amato allora soprattutto dal pubblico americano si deve a un seminale articolo di Godard apparso nell’anno, il 1959, in cui Sirk avrebbe abbandonato definitivamente Hollywood all’apice del successo per stabilirsi in Svizzera. Anche Truffaut ne aveva apprezzato la capacità di fare cinema “senza complessi”, a partire da soggetti romanzeschi e inverosimili. Ma sarà poi Fassbinder a rimanere folgorato dai suoi melodrammi e a dedicargli Angst essen Seele auf/La paura mangia l’anima (1974) oltre che un saggio nel 1971 (riedito anche in Lo specchio della vita) in cui si legge tra l’altro: “nessuno di noi, né Godard né Fuller né io né nessun altro, siamo alla sua altezza. Sirk ha detto che il cinema è sangue, lacrime, violenza, odio, amore e morte e ha realizzato film di sangue e di lacrime, di violenza e di odio; film di morte e d’amore. Non è possibile – ha detto Sirk – fare un film su una cosa, bensì solo con qualcosa, con la gente, con la luce, con i fiori, con gli specchi, con il sangue, con tutte queste cose straordinarie che rendono la vita degna di essere vissuta”.

Frame tratto dal film “Bourbon Street Blues” di Douglas Sirk (1979)

Amato oltreoceano da colleghi imprevedibili quali Kathryn Bigelow (che nel 1981 lo ha omaggiato nel suo primo lungo The Loveless per poi incontrarlo a Locarno nel 1982) o Tarantino (ricordate quando in Pulp Fiction Vincent/Travolta ordina una bistecca alla Douglas Sirk “grondante sangue”?) e da cultori dei generi che più praticò quali Todd Haynes, presente a Locarno 75, nelle ultime decadi trascorse in Europa il regista tedesco è stato oggetto di svariati omaggi: dalla grande retrospettiva di Edimburgo del 1972 (con catalogo a cura di Halliday e Laura Mulvey) alle serie di proiezioni e trasmissioni televisive dedicategli in Germania, Spagna e anche in Italia (lo ricorda Goffredo Fofi nella postfazione al libro curato da Inzerillo). Per non dire dei vari romanzi di cui Sirk è diventato personaggio, per la tragica vicenda del figlio avuto da una donna convintamente nazista e che gli fu impedito di veder crescere se non nei film di propaganda che il ragazzino era costretto a interpretare, al centro di Un père sans enfant (Allary, 2019) di Denis Rossano, o per il suo rapporto con Rock Hudson trattato nel romanzo finlandese Rock Hudson skal ikke dø i Ukraine/Rock Hudson non morirà in Ucraina (Rosinante & Company, 2011) di Thorstein Thomsen, scovato da Inzerillo.

Nel volume di Eisenschitz, già autore di studi su Nicholas Ray e Fritz Lang, si esamina ulteriormente la figura di Sirk ripercorrendone il lavoro prima teatrale e poi cinematografico e attingendo a documenti, testi e fondi archivistici del cineasta depositati presso la Cineteca Svizzera, dove si trovano fonti importantissime per una ricostruzione della biografia e delle opere di Sirk quali i diari della seconda moglie Hilde Jary, citati anche nel documentario di Roman Hüben, che gli fu accanto tutta la vita e a causa delle cui origini ebraiche la coppia dovette fuggire dalla Germania. Lo studio lascia emergere l’immagine sfaccettata di un Sirk irriducibile all’etichetta di “maestro del melodramma” e dà forma a due ipotesi critiche: la prima è che tutto il lavoro teatrale compiuto tra il 1924 e il 1934 prima a Brema, poi a Lipsia e a Berlino, sia fondamentale per comprenderne il cinema: “Come Ophuls, Cukor, Visconti, Bergman è a partire da – e con – il suo bagaglio teatrale che Sierck sarà cineasta” (Douglas Sirk, né Detlef Sierck, p. 37, nostra traduzione). Il teatro è per Sirk un amore costante che riaffiora in film come All I Desire/Desiderio di donna (1953) e Imitation of Life/Lo specchio della vita (1959) e a cui tornerà in tarda età rileggendo, traducendo e rimettendo in scena testi classici. La seconda ipotesi è che, per quanto entrambe le fasi – tedesca e hollywoodiana – della sua produzione cinematografica culminino con una serie di capolavori del genere melodrammatico, da Magnificent Obsession/Magnifica ossessione (1953) e All That Heaven Allows/Secondo amore (1954) a Written on the Wind/Come le foglie al vento (1956), il percorso che ha condotto a quei risultati ha implicato la pratica di tutti i generi cinematografici, dalla commedia al noir, dal western al film di guerra.

Sirk, spiega Eisenschitz, aveva già accarezzato l’idea di confrontarsi con il cinema ma è la Storia a precipitare gli eventi. Mentre il mondo teatrale era ormai completamente sotto controllo nazista, gli studi Ufa godevano ancora di qualche margine di libertà che gli consente di lavorare dal 1934 al 1937, malgrado le pressioni del regime hitleriano perché divorziasse da Hilde, prima di un’accidentata fuga verso gli Stati Uniti. Sia durante l’esperienza alla Ufa sia nelle prime fasi della carriera statunitense, Sierck destinato a diventare Sirk mette a punto una sintassi cinematografica che porterà a maturazione alla fine degli anni Cinquanta. Come confiderà a Halliday: “Le angolazioni di ripresa sono importantissime: me ne resi conto per la prima volta con Stützen des Gesellschaft/I pilastri della società (1935). Le angolazioni sono i pensieri del regista, l’illuminazione la sua filosofia. E questo vuol dire anche un’altra cosa: ben prima di Wittgenstein, io e alcuni dei miei contemporanei avevamo imparato a non fidarci completamente del linguaggio come mezzo di comunicazione e come interprete fedele della realtà. Così imparai ad affidarmi ai miei occhi piuttosto che alla vacuità delle parole” (Lo specchio della vita, p. 97).

Presentando al pubblico della retrospettiva locarnese Hitler’s Madman/Il pazzo di Hitler (1942), il regista Lionel Baier ha sottolineato quanto il film, che segna il ritorno di Sirk dietro alla macchina da presa dopo un periodo di difficoltà nel trovare lavoro negli USA, anticipi il modo di gestire il rapporto tra i movimenti della camera e quelli degli attori: “A volte sono gli attori ad avviare il movimento della macchina e altre volte la macchina li anticipa leggermente come a sospingerli, tutto il contrario di quel che si insegna oggi nelle scuole di cinema sull’invisibilità del mezzo. In Sirk assistiamo a una sorta di danza, la camera si muove e gli attori seguono; poi la camera si ferma e li aspetta, crea uno spazio che permetterà loro di muoversi evitando nelle scene di dialogo lo scontato campo/contro-campo. Questo film è anche fondamentale per come mette in scena la forza e il potere dello sguardo che sono componenti importanti in tutta la sua produzione. Basti pensare alla sequenza dell’arresto che con campo e controcampo mostra sia l’azione sia chi vi assiste. Vediamo la moglie dell’arrestato che accorre in una scena quasi espressionista, e i nazisti che portano via l’uomo picchiandolo; poi lo sguardo dei figli piccoli mentre sentiamo i colpi inferti al padre. Quel che accade ci viene mostrato attraverso i loro occhi e per questo risulta ancora più violento. Il fatto che i bambini ci guardano è importante nel cinema di Sirk che per tutti gli anni Cinquanta ci proietterà poi negli occhi dei più deboli: non solo i bambini ma anche le minoranze, le persone emarginate” (nostra traduzione). La capacità di porre al centro l’esperienza del margine sociale è peraltro uno degli elementi che rendono questo regista così pertinente e amato oggi. Il suo cinema non esprime mai una deliberata critica sociale bensì una forma di consapevolezza nei riguardi delle forze sociali che condizionano inesorabilmente i rapporti umani: conformismo, razzismo, classismo, sessismo.

Frame tratto dal film “Hopeas in Despair” di Roman Huben (2022)

In Sirk si assiste così progressivamente alla messa a punto di uno stile, ovvero di una sintesi tra forme e concetti che esprime una visione del mondo. Nel capitolo dedicato agli anni 1950-53 con la Universal, Eisenschitz afferma: “ciascun film è una sorta di allenamento – come se non fosse stato già un grande cineasta di studio alla Ufa, come se i suoi esordi statunitensi non fossero già stati quelli di un cineasta di grande respiro. Dopo i primi tentativi americani, più foschi, più personali, accetta soggetti di un’inconsistenza disperante che non farà esplodere dall’interno come faceva per esempio Frank Tashlin, ma userà piuttosto, sequenza dopo sequenza, per comporsi una specie di inventario, di grammatica che gli servirà più tardi. Le possibilità offerte dal passaggio tra il comico e il serio, l’ambiguità dei personaggi; i momenti di spettacolo, di musica, di colori; la presenza dei bambini e dei bambini senza genitori; il peso dei corpi, all’epoca ancora abbastanza disincarnati nel cinema di studio retto dal Production Code ma in cui una nuova generazione e una nuova concezione della recitazione si stavano sviluppando. Sirk si interessa a questa generazione e cerca di restituire energia a interpreti allora immobilizzati in ruoli fissi. Riesce a trasformare un personaggio da film di azione come Rock Hudson in un attore e a creare un personaggio” (p. 209, nostra traduzione).

Creatore di un linguaggio scenico e drammatico affettuoso nei confronti di personaggi e interpreti, Sirk è stato infatti anche creatore di almeno due star: Zarah Leander negli anni tedeschi e Rock Hudson negli anni hollywoodiani; ma vanno ricordati anche i tre film diretti tra il 1945 e il 1947 con George Sanders (Summer Storm/Temporale d’estate, A Scandal in Paris/Uno scandalo a Parigi e Lured/Lo sparviero di Londra) e le occasioni date a dive non più giovani come Jane Wyman e Lana Turner e a semi-esordienti quali John Gavin, protagonista di alcune delle sue realizzazioni per la Universal come il kolossal A Time to Love and a Time to Die/Tempo di vivere (1957). Ma la caratteristica precipua del cinema di Sirk, quasi mai autore delle sceneggiature, sembra essere l’ostinazione di portare sullo schermo personalità complesse (lui stesso parlava di split characters) con cui non è mai facile identificarsi fino in fondo (l’assassino Sanders, Hudson sempre maldestro malgrado le sue buone intenzioni, Lara Turner che in Imitation of Life trascura la figlia per la carriera, etc.).

Tra i collaboratori che gli permettono di portare a compimento le sue possibilità espressive va inoltre segnalato in particolare il direttore della fotografia Russell Metty, complice determinante per la resa delle grandi pellicole, a colori e non, prodotte negli U.S.A. in cui Sirk declina in modi nuovi la sensibilità sviluppata a partire dagli studi d’arte fatti all’Università di Amburgo con Erwin Panofsky e la sua pratica della pittura risalente a quel tempo. Mentre dopo Locarno si moltiplicano gli approfondimenti critici, per l’Italia si vedano almeno i dossier apparsi sulle riviste Fata Morgana (https://www.fatamorganaweb.it/tag/douglas-sirk/) e Lo Specchio Scuro (https://specchioscuro.it/tag/douglas-sirk/), non resta dunque che augurarsi che le pellicole recuperate in occasione della retrospettiva ticinese (dai primi corti degli anni ’30 ai tre corti realizzati per la Hochschule für Fernsehen und Film di Monaco, negli anni ’70 con interpreti quali Fassbinder e Hanna Schygulla) possano arrivare anche su qualche grande schermo del nostro paese. Per il momento, è previsto che la retrospettiva venga riproposta in alcune altre città svizzere e poi a Parigi e presso la Cineteca di Madrid all’inizio del 2023.

© Cultframe 08/2022

Bibliografia essenziale su Sirk

Jean-Luc Godard, A Time to Love and a Time to Die, in “Cahiers du Cinèma”, n. 94, Avril 1959.

Serge Daney, Jean-Louis Noames, Entretien avec Douglas Sirk, in “Cahiers du Cinèma”, n. 189, Avril 1967.

Rainer Werner Fassbinder, Imitation of Life. Sul cinema di Douglas Sirk (1971), in I film liberano la testa, a cura di G. Spagnoletti e N. Savarese, Ubulibri, Milano 1988.

Jon Halliday, Sirk on Sirk: Interviews with Jon Halliday, Faber & Faber, London 1971 e 1997 trad. it. a cura di A. Inzerillo, Lo specchio della vita, Il Saggiatore, Milano 2022.

Jon Halliday, Laura Mulvay, Douglas Sirk, Edinburgh Film Festival, Edinburgh 1972.

Michael Stern, Douglas Sirk, Twayne, Boston 1979.

Alberto Castellano, Douglas Sirk, La nuova Italia, Firenze 1987 [1988].

Antonio Drove, Víctor Erice; Miguel Marías, Tiempo de vivir, tiempo de revivir. Conversaciones con Douglas Sirk, Filmoteca de Murcia, Murcia 1995

Klinger, Barbara, Melodrama and Meaning: History, Culture and the Films of Douglas Sirk, Indiana University Press, Bloomington 1994.

Dossier Sirk, in “Trafic”, n. 61, Mars 2007.

Robert B. Pippin, Douglas Sirk. Filmmaker and Philosopher, Bloomsbury Academic, 2021.

Bernard Eisenschitz, Douglas Sirk, né Detlef Sierck, Les Éditions de l’Œil, Montreuil 2022.

 

Documentari e interviste con Douglas Sirk:

Cinéma cinémas. Douglas Sirk Lugano-Genève avril 1982 (1982) di Pascal Thomas e Dominique Rabourdin

Mirage de la vie. A portrait of Douglas Sirk (1983) di Daniel Schmid

Nach Hollywood: Douglas Sirk erzählt/From UFA to Hollywood: Douglas Sirk Remembers (1991) di Eckhart Schmidt

The Vanity Tables of Douglas Sirk (2014) di Mark Rappaport

 

SUL WEB
La filmografia completa di Douglas Sirk

La tavola rotonda dedicata a Sirk durante il 75° Locarno Film Festival, l’8 agosto 2022

Silvia Nugara

Silvia Nugara ha un dottorato di Linguistica Francese e i suoi interessi ruotano attorno alle relazioni tra il linguaggio e la costruzione della realtà sociale, con particolare riferimento agli immaginari e ai discorsi relativi alle soggettività di genere. Attualmente è redattrice di Punto di Svista e Cultframe - Arti visive.

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