Padre Pio ⋅ Un film di Abel Ferarra ⋅ 79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ⋅ Giornate degli Autori

SCRITTO DA
Silvia Nugara

Che Abel Ferrara abbia voluto realizzare un film su uno dei santi più popolari e discussi del panorama italiano è curioso ma in fondo coerente con il percorso del regista italo-americano in cammino da tempo verso la sobrietà dopo anni di dipendenze e con un immaginario dominato sin dagli esordi dalle forze contrastanti di fede e demonio, vizio e ascesi, amore e morte, patimenti e piaceri del corpo. Per di più, erano diversi anni che l’autore di Mary (2005) meditava di tornare ad occuparsi di luci ed ombre della santità cristiana. Trasferitosi a Roma ormai da vent’anni per essere “adottato” dal suo stesso paese di origine, Ferrara firma un nuovo film “italiano” dopo Pasolini (2014), Piazza Vittorio (2017), Tommaso (2019) e Zeros and Ones (2021). Padre Pio è il risultato di un processo di ricerca e di scrittura condotto con lo sceneggiatore Maurizio Braucci con il quale aveva già realizzato Searching for Padre Pio (2015). Il documentario mostrava i sopralluoghi e le interviste condotte per dare forma al progetto di un film sul santo di Pietrelcina delineando già la strada che poi effettivamente Ferrara ha intrapreso. Lì, il regista raccontava di aver ritrovato nel frate pugliese la forza spirituale e il contesto di origine del nonno, quasi coetaneo di Pio e come lui meridionale (di Sarno). 

In effetti, il Pio interpretato da Shia Labeouf, attore dal passato alcolico e turbolento come quello di Ferrara, non è il santo delle stimmate (significativamente assenti dalle mani del protagonista) e dei miracoli veri o presunti, non è quello della devozione popolare, che farà costruire un ospedale per il Mezzogiorno derelitto e più tardi si ritroverà con un canale televisivo a lui intitolato. È un uomo di inizio Novecento che prega e che soffre, che celebra messa ma dubita della propria fede. La figura di Pio è soprattutto un’occasione per Ferrara e Braucci di tracciare uno spaccato storico della vita in un paesino garganico durante il biennio rosso: l’impatto tragico della guerra e della spagnola, la violenza della mezzadria, le lotte bracciantili e la speranza socialista soffocata dall’avvento del fascismo. Il film segue sin dall’incipit due strade parallele: da una parte assistiamo all’arrivo del frate cappuccino nel monastero di San Giovanni Rotondo (il film è in realtà girato in vari conventi della provincia di Foggia), dall’altra c’è il ritorno dei soldati dalla Prima Guerra Mondiale con tutto lo strazio di chi sul Carso ha perso i figli, delle vedove, di chi rincasa sfiancato e sfigurato dalle trincee, e di chi non ha più notizie dei propri cari. 

 

Alla moglie Cristina Chiriac, il regista affida il ruolo di Giovanna, una contadina che spera – forse invano – nel ritorno del marito ma anche in una società più giusta partecipando alle mobilitazioni, alle occupazioni delle terre e alle riunioni del partito socialista. Le elezioni sono imminenti e nella sinistra già si manifestano le divisioni che di lì a poco porteranno alla scissione di Livorno. Il film delinea un panorama storico di lotte di classe, di esclusione delle donne dal suffragio, di connivenza della Chiesa con le destre e con il fascismo. È in questo quadro che si consuma l’eccidio di San Giovanni Rotondo del 14 ottobre 1920 allorché, vinte le elezioni, il partito socialista organizzò un grande corteo pacifico. Giunto in Municipio per esporre la bandiera rossa, il corteo fu represso a suon di baionette con un bilancio di tredici manifestanti uccisi più un carabiniere. Il film, più accurato nella scrittura che nella resa estetica, non traccia una linea di demarcazione binaria tra ricchi e poveri, tra oppressori e oppressi mostrando bene, per esempio, come tra gli sgherri del possidente locale che ambisce a diventare sindaco nella coalizione del Fascio d’ordine, ci siano pure uomini umili che avevano perso un occhio o le gambe al fronte senza per questo mutare visione del mondo. Un po’ come quel reduce focomelico della guerra in Irak che si fece fotografare mentre passeggiava con le protesi accanto a Bush jr.

Tutta questa storia procede senza mai incrociare la quotidianità di padre Pio, tutto preso dai suoi incubi, dai suoi convegni con il demonio, dalle sue meditazioni, dall’ira verso un’umanità peccatrice simboleggiata da Asia Argento in un cameo. Pur consapevole dei mali del mondo – nella sua prima visione è infatti tormentato anche dalla “colpa” di essersi sottratto alla Grande Guerra – il frate raffigurato dal film vive accanto alla Storia senza intervenire e d’altronde già in Searching for Padre Pio Abel Ferrara dichiarava: “Padre Pio arriva in questo paese e crede di avere visioni del diavolo nella sua stanza. Ma apri quella cazzo di porta! Fuori, tutti si stanno sparando e ammazzando a vicenda. Ha l’inferno davanti ai suoi occhi e non lo vede”. Il Pio di Ferrara e Braucci può quindi essere visto anche come un campione dello status quo e il film è tutt’altro che un’agiografia. 

Dopo Zero and Ones, film di guerra sui generis girato in una Roma apocalittica e desertificata dalla pandemia, che gli era valso il premio per la miglior regia al 74° Locarno Film Festival, Ferrara firma con Padre Pio un’altra opera sotto il segno della guerra e della fine della democrazia, dedicandola alle vittime del massacro di San Giovanni Rotondo ma anche al popolo ucraino. Inoltre, lo sguardo inquieto del regista lascia intravedere il ritratto di un’Italia sempre troppo affascinata dal potere carismatico tanto in politica quanto nella fede e tuttora incapace di fare i conti con la Storia ed emanciparsene.

TRAMA

È appena terminata la Prima Guerra mondiale quando Francesco Forgione di Pietrelcina, frate che ha preso il nome Pio, si trasferisce nel convento dei cappuccini di San Giovanni Rotondo. Mentre il religioso si trova ad affrontare i suoi tormenti spirituali tra le mura della struttura, il piccolo borgo contadino è attraversato dai conflitti del “biennio rosso” che culmineranno con una tragica repressione all’indomani delle elezioni dell’autunno 1920. 

CREDITI
Titolo originale: Padre Pio / Regia: Abel Ferrara / Sceneggiatura: Abel Ferrara, Maurizio Braucci / Fotografia: Alessandro Abate / Montaggio: Leonardo Daniel Bianchi / Musiche: Joe Delia / Interpreti: Shia Labeouf, Cristina Chiriac, Marco Leonardi, Asia Argento, Vincenzo Crea, Luca Lionello, Salvatore Ruocco, Brando Pacitto, Stella Mastrantonio, Martina Gatti, Roberta Mattei / Produzione: Carte Blanche, Interlinea Films, Maze Pictures / Distribuzione internazionale: Capstone / Italia, Germania, Regno Unito, 2022/ Durata: 104 minuti

SUL WEB
Filmografia di Abel Ferrara

Documentario Searching for Padre Pio di Abel Ferrara

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Silvia Nugara

Silvia Nugara ha un dottorato di Linguistica Francese e i suoi interessi ruotano attorno alle relazioni tra il linguaggio e la costruzione della realtà sociale, con particolare riferimento agli immaginari e ai discorsi relativi alle soggettività di genere. Attualmente è redattrice di Punto di Svista e Cultframe - Arti visive.

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