L’atto del guardare nell’arte di Giulio Paolini

Giulio Paolini. Giovane che guarda Lorenzo Lotto. 1967. © Giulio Paolini. Fotografia anonima. Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino

Nella vasta produzione artistica di Giulio Paolini c’è un’opera di particolare interesse che  introduce ad un’ampia riflessione sull’atto del guardare nell’ambito delle arti visive, per le quali le facoltà proprie della vista sono da ritenersi elemento imprescindibile. 

Giovane che guarda Lorenzo Lotto è un’opera fotografica del 1967 realizzata su tela emulsionata che riproduce, nelle dimensioni originali, il dipinto Ritratto di giovane uomo di Lorenzo Lotto, risalente ai primi anni del Cinquecento ed attualmente conservato nella Galleria degli Uffizi. 

Nell’opera si rintracciano alcuni temi di ricerca distintivi della poetica dell’artista, che ritornano con frequenza nel suo lungo, ed ancora attivo, percorso artistico. In primo luogo emerge il costante riferimento alla storia dell’arte e ai capolavori classici del passato. Ad essi Paolini non si rivolge tanto con uno sguardo malinconico, come a richiamare un’entità di cui ormai rimane soltanto un lontano ricordo. La classicità diventa piuttosto una fonte viva e inesauribile di spunti, a cui l’artista guarda con occhio attento e pronto a cogliervi stimoli significativi per elaborare la sua personale cifra stilistica. Inoltre qui, come in molte altre sue opere, è centrale la riflessione sull’atto visuale  che ha da sempre contraddistinto la poetica paoliniana, nonché sulla relazione tra opera e spettatore.

Giovane che guarda Lorenzo Lotto ricostruisce una situazione non più esistente nel tempo e nello spazio, ovvero il punto occupato dal pittore nel momento in cui ritraeva il giovane soggetto e va quindi oltre ciò che è rappresentato nell’immagine,  coinvolgendo direttamente il fruitore e creando in lui uno straniamento temporale e spaziale. 

Giulio Paolini, con estrema raffinatezza intellettuale, attua un ribaltamento del punto di vista ponendo l’attenzione su ciò che sta fuori dalla riproduzione fotografica e la scelta del titolo rafforza il disorientamento: chi sta guardando l’uomo ritratto? Il rapporto dialettico tra l’opera e chi la guarda diventa il fulcro essenziale del lavoro sebbene, forse, si tratti di un dialogo a senso unico. In una recente intervista in cui si sottopone all’artista la problematica del ruolo del fruitore d’arte, egli esprime una posizione estremamente lucida a riguardo: “L’arte non si preoccupa dell’osservatore, l’arte non osserva, l’osservazione è a senso unico, è lo spettatore che la guarda. Nella mia idea l’arte non ha nessun obbligo, va per conto suo. L’arte è oltre quella porta, non ci ascolta né si interessa a noi” (in “Finestre dell’arte”, 17 settembre 2022, intervista di Jacopo Suggi).

Giulio Paolini. Controfigura (critica del punto di vista) 1981. © Giulio Paolini. Foto Adam Reich. Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino

A distanza di una quindicina d’anni l’artista riprende la riflessione avviata con Giovane che guarda Lorenzo Lotto e la porta ad un livello di complessità ancora maggiore con l’opera dal titolo Controfigura (critica del punto di vista), realizzata nel 1981. Anche in questo caso si tratta di una fotografia su tela emulsionata in cui ritorna la medesima fonte iconografica di Lorenzo Lotto, già utilizzata nell’opera del 1967, ma qui, attraverso il ricorso al fotomontaggio, Paolini sostituisce gli occhi del giovane con l’immagine dei suoi stessi occhi. Il ribaltamento delle parti è ancor più accentuato, entra in gioco anche il ruolo dell’artista che diventa, al tempo stesso, esecutore e fruitore dell’opera: guarda se stesso e insieme propone al pubblico il suo punto di vista. 

Riprendendo le parole dello stesso Paolini: “Attraverso l’uso del mezzo fotografico, mi inoltro ancor più in quella che era la mia vocazione, più che di autore o di pittore, di spettatore in attesa: con la fotografia, in Giovane che guarda Lorenzo Lotto e in altri quadri che seguiranno, cambio identità: da spettatore travestito da pittore mi ritrovo autore travestito da spettatore” (in “Il Secolo XIX”, 19 maggio 2020, intervista di Roberta Olcese).

L’impossibilità di trovare una soluzione definitiva a quanto l’artista propone ci disorienta e ci lascia sospesi, in attesa di un disvelamento che probabilmente non accadrà mai. Un sentimento che ritorna frequentemente davanti alle sue opere e le attraversa trasversalmente, anche se realizzate in tempi e tecniche differenti tra loro. 

Le due opere citate sopra vedono il ricorso al linguaggio fotografico, sebbene la fotografia sia solo una delle pratiche artistiche in cui Paolini si è cimentato. La scelta della tecnica per l’artista non è mai fine a se stessa, bensì funzionale alla realizzazione dell’opera. “La tecnica, dunque è quel mezzo che permette di sottrarre allo spazio in cui siamo, quell’altra parte di spazio che è l’opera d’arte, e che viene ad annullarsi proprio attraverso la tecnica. […] Appunto per questo la tecnica non deve risultare in quanto è, ma soltanto esserci utile come diaframma invisibile, innocuo, per andare dalla parte opposta. Quindi è della massima importanza e della minima importanza nello stesso tempo. Della massima importanza astrattamente, come problema, e della minima, possibilmente di nessuna importanza, come entità” (in Marcatrè, maggio 1968). Anche riguardo a questo argomento il suo pensiero diventa un ulteriore spunto di riflessione sul modo di fare arte.

Giulio Paolini è una delle figure più rilevanti ed influenti nel panorama artistico contemporaneo nazionale ed internazionale. Fin dai suoi primi lavori si è confrontato con una costante riflessione sull’arte, sulle sue trasformazioni nel tempo e sulla complessità degli elementi che la costituiscono, penetrando nella natura stessa della pratica artistica e restituendo gli esiti della sua indagine nelle opere, attraverso una poetica ricercata che non giunge mai a risposte definitive, ma piuttosto è in grado di generare, in chi guarda, innumerevoli domande.

© CultFrame 01/2023

Il sito della Fondazione Paolini

Simona Lunatici

Simona Lunatici. Storica dell’arte di formazione, si laurea in storia dell’architettura e si interessa allo studio del territorio, con particolare attenzione agli aspetti vernacolari. Negli ultimi anni si è maggiormente dedicata alla fotografia di paesaggio unendo la passione fotografica alla ricerca sia personale che professionale.

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