Dopo aver realizzato diversi corti e documentari, Giacomo Abruzzese è giunto al lungo d’esordio con Disco Boy, film costato quasi dieci anni di preparazione e traversie produttive compensate dalla selezione nel Concorso principale del Festival di Berlino 2023. Presentando il suo lavoro al pubblico internazionale della Berlinale come un “war movie atipico”, il regista di origini pugliesi ma da tempo attivo all’estero ha dichiarato: “L’idea originale viene da una conversazione che ebbi con un ballerino in una discoteca: mi disse che prima era stato un soldato”. Una qualche matrice documentaria è in effetti ben presente in questo film, che pure mette in scena una parabola di metamorfosi e di possessione.
Da un lato, la prima parte e linea narrativa del film sono esito di ricerche cui ha contribuito Nicolai Lilin, l’autore di Educazione siberiana (Einaudi, 2009) che Gabriele Salvatores ha portato al cinema nel 2013, su di un tipo particolare di emigrazione clandestina dall’est Europa verso il cuore del vecchio continente: quella di chi mira a raggiungere la Francia per iscriversi alla legione straniera poiché, come recita uno dei suoi motti, dopo alcuni anni di servizio in questo corpo para-militare si può divenire “figlio della Francia non per il sangue ricevuto, ma per quello versato”; ovvero si può avere subito un permesso di soggiorno e dopo cinque anni ottenere un passaporto in cui far stampare anche un nome diverso da quello con cui si è venuti al mondo.
Dall’altro, l’autore nativo di Taranto ci mostra come le raffinerie impiantante sul Niger rendono invivibile quell’ecosistema incoraggiando la guerriglia anti-occidentale delle popolazioni locali che hanno creato il MEND (Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger) e in molti casi un’emigrazione forzata in cerca di un futuro migliore altrove. E se le immagini di questa parte del film riecheggiano tanto il Cuore di tenebra di Conrad quanto la sua quasi-trasposizione in Apocalypse Now, viene in mente anche Taranto, città e litorale funestati dal “minerale” venefico prodotto da uno dei maggiori stabilimenti siderurgici d’Europa.
Se dunque il protagonista bielorusso Aleksei (la giovane vedette del cinema europeo Franz Rogowski) fugge dal suo paese per raggiungere la Francia, e si ritrova poi con la legione straniera a tentare di liberare alcuni ostaggi catturati dal MEND, qui dovrà vedersela con l’attivista in lotta con le corporation petrolifere Jomo (il giovane immigrato dal Gambia all’Italia Morr Ndiaye, notato dal regista in un documentario e alla prima esperienza da attore). Jomo e la sorella Udoka (Laetitia Ky, artista della Costa d’Avorio già interprete de La nuit des Rois di Philippe Lacôte, visto lo scorso anno a Venezia) traghettano così il film in una dimensione ulteriore rispetto al realismo in cui le credenze sciamaniche possono trovare una perturbante concretezza. Ciò avviene anche grazie alle coreografie del nigeriano Qudus Onikeku, performer di fama mondiale, e alle musiche elettroniche del dj francese Vitalic: sincretismi e coraggio non da poco per il primo lungometraggio di un esordiente.
A sostenere Abruzzese ci sono poi le immagini di Hélène Louvart, direttrice della fotografia capace di dare forma alle visioni di personalità quali Varda, Alain Guiraudie e Karim Aïnouz ma anche di Alice Rohrwacher e Leonardo Di Costanzo. Per volontà del regista, non c’è da dubitarne, la scena dell’incontro/scontro tra Aleksi e Jomo è virata come fosse ripresa da una delle camere termiche in uso ai militari, anche se non parrebbe trattarsi di una soggettiva verosimile. Ma, facendosi perdonare qualche passaggio narrativo un po’ frettoloso, il film offre diverse sequenze anche più suggestive quali la precedente apparizione di Jomo nella giungla o il risorgere di questa, in piena Parigi, nella forma di una tappezzeria da hotel, non a caso chiamato Eden.
Con queste e altre scelte stilistiche che si fanno via via più astratte e pittoriche, Abruzzese accosta i rituali di danza africani al ballo in una discoteca parigina ospitata nel corpo di una chiesa dove Udoka si esibisce in una prestazione a metà tra cubista e venere ottentotta. A tenere insieme il mondo dei legionari costretti a correre cantando Non, je ne regrette rien e il loro cameratismo (accanto al protagonista si segnala Matteo Olivetti, che nel 2017 affiancava Carpenzano ne La terra dell’abbastanza dei fratelli D’Innocenzo) con il mal d’Africa che riesplode nelle notti parigine è il corpo d’attore di Franz Rogowski: con qualche rimando a Undine di Petzold, tutte le scene chiave del film avvengono in acqua, elemento liminare tra vita e morte, così come all’arrivo a Parigi lo vediamo percorrere trasognato il ponte Alessandro III con tutta la sua statuaria di mostri marini. Tale compito sarebbe stato improbo per la maggior parte degli interpreti della sua generazione.
© CultFrame 02/2023
TRAMA
Cresciuto in un orfanatrofio bielorusso il giovane Aleksei tenta con un amico di raggiungere clandestinamente la Francia. Ha conosciuto Parigi attraverso il cinema ma, soprattutto, sa che arruolarsi nella Legione Straniera consente in pochi anni di ottenere un passaporto francese. Jomo è invece un militante del Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger. I due personaggi finiscono per incrociare i loro destini.
CREDITI
Titolo: Disco Boy / Regia: Giacomo Abruzzese / Sceneggiatura: Giacomo Abruzzese / Montaggio: Fabrizio Federico, Ariane Boukerche, Giacomo Abruzzese / Fotografia: Hélène Louvart / Scenografia: Esther Mysius / Musica: Vitalic / Interpreti: Franz Rogowski, Morr Ndiaye, Laëtitia Ky, Leon Lučev, Matteo Olivetti / Paese: Francia-Italia-Belgio-Polonia, 2023 / Produzione: Films Grand Huit, Dugong Films, Panache Productions, Donten & Lacroix, DIVISION / Stromboli Films Distribuzione: Lucky Red / Durata: 91 minuti.