Claude Chabrol è stato un regista molto attivo. In più di quarant’anni di carriera ha firmato circa sessanta titoli tra lungometraggi, segmenti di film corali e persino serie tv, quando le serie tv non erano quello che sono oggi. In Italia sono usciti quasi tutti i suoi film anche se di molti subito dopo la distribuzione nelle sale se ne sono perse le tracce.
Qualche tempo fa, all’interno di questa rubrica, abbiamo parlato de La Rupture; adesso presentiamo Violette Nozière, film per cui la protagonista Isabelle Huppert ha vinto il premio come Migliore Attrice al Festival di Cannes. E questo non è l’unico pregio di questa pellicola tratta da un caso di cronaca nera degli anni ’30 del secolo scorso in Francia.
Siamo nel 1933 e la giovane Violette viene accusata di aver tentato di uccidere la madre e di aver eliminato il patrigno. Al processo i pareri sull’accaduto furono discordi, tuttavia la ragazza venne condannata a morte.
In seguito, tre presidenti francesi si interessarono del suo caso: Lebrun commutò la pena in ergastolo, Petain in dodici anni di carcere e De Gaulle le diede la libertà. Insomma, un fatto di cronaca nera in odor di santificazione e sappiamo che Chabrol non è immune al fascino ambiguo di questo tipo di storie. Ma Violette Nozière è qualcosa di più: un j’accuse rivolto alla piccola borghesia (francese?) che crea dei mostri e al facile giustizialismo di quegli anni in Francia, nonostante tutte le ambiguità del caso. E per narrare tutto ciò bisogna essere dei veri maestri.
Il regista segue l’esempio hitchcockiano: si ferma sugli sguardi e sui piccoli gesti, crea una ragnatela di bugie nate dal perbenismo e ritrae la sua protagonista, figura all’epoca celebrata persino dai surrealisti, come risposta anche violenta all’ordine borghese e cattolico, alla moralità dei benpensanti.
Lo stesso Chabrol dice: “(Violette) vive in due universi di apparenza, la ragazza saggia e la puttana che batte di notte, entrambi ugualmente falsi, da cui ne nascerà un terzo, una volta soppresso l’elemento che risultava superfluo, che non aveva alcun rapporto con i primi due.”
E il personaggio trova la sua più alta rappresentazione nell’interprete Isabelle Huppert. Attraverso la sua recitazione, glaciale al limite di una voluta e ricercata inespressività, la Huppert (spesso inquadrata da Chabrol attraverso gli specchi) ha offerto un’interpretazione che, a rivederla oggi, non può che risultare estremamente moderna. D’altronde anche la stessa storia di Violette a rivederla oggi, attraverso il prisma del #metoo, non può che essere considerata una vicenda (purtroppo) come tante. Ma Violette ha subito abusi dal parte del padre? In tal senso, la sua visione del mondo “amorale” non può che diventare la voglia di emancipazione. Tutto quadra alla perfezione. Persino il suo ritorno alla normalità dopo che De Gaulle l’ha riabilitata.
Claude Chabrol porta all’interno del suo film tre delle sue interpreti predilette: oltre alla Huppert, abbiamo Stephane Audran e Bernadette Lafont. Ma il cast è molto più ricco, con la presenza di Lisa Langlois, Jean Carmet e un giovane Fabrice Luchini.
All’epoca il film, nonostante il premio ad Isabelle Huppert a Cannes (ex equo con Jill Clayburg per Una donna tutta sola), è stato accusato di superficialità e di calligrafismo ed anche in Italia non tutti hanno apprezzato (Tullio Kezich ha parlato di “semplificazioni grossolane”) ma oggi si sarebbe gridato al miracolo.
© CultFrame 07/2023
Trama
La storia vera di Violette Nozière, diciottenne parigina che negli anni Trenta, divisa tra la vita casta nella modesta casa familiare e la mondanità libertina, infatti si prostituiva, che avvelenò i genitori.
Crediti
Titolo originale: Violette Nozière/ Regia: Claude Chabrol/ Sceneggiatura: Odile Barski, Hervé Bromberger/ Fotografia: Jean Rabier/ Montaggio: Yves Langlois/ Musica: Pierre Jansen/ Interpreti: Isabelle Huppert, Stephane Audran, Jean Carmet, Jean Dalmain, Bernard Alan, Bernadette Lafont, Fabrice Luchini/Produzione: Dennis Héroux, Eugène Lepicier/ Anno produzione: 1978/ Paese: Francia / Durata: 118 minuti