Viaggio al termine della notte iraniana. Critical zone, un film di Ali Ahmadzadeh⋅ 76° Locarno Film Festival⋅ Pardo d’oro

SCRITTO DA
Claudio Panella

Viaggio al termine della notte, iraniana.  Girato senza autorizzazione governativa nelle strade di Teheran, Critical zone è risultato il film vincitore del Pardo d’oro 2023 dando visibilità alla causa del suo regista Ali Ahmadzadeh, il cui lavoro viene contrastato al punto da ingiungergli di non presentarlo al festival svizzero e negargli il visto d’uscita dall’Iran. Nel 2015 Ahmadzadeh si era fatto notare portando nella sezione Forum della Berlinale Madar-e ghalb atomi (Atom hearth mother), opera seconda con al centro un incidente automobilistico e che annoverava già alcune scene notturne girate in un tunnel stradale simile a quello in cui inizia questo nuovo film. Ancora giovane, classe 1986, l’autore formatosi come architetto e musicista avrebbe potuto essere più prolifico vivendo in un paese diverso ma, malgrado la censura ricevuta ai suoi primi film, per l’ultimo si è potuto giovare della complicità del produttore stabilitosi a Berlino Sina Ataeian Dena. È stato lui, anche regista di un’opera dal titolo internazionale di Paradise e selezionata in concorso proprio a Locarno nel 2015, che ha fatto le sue veci nel ritirare il primo premio ricevuto da Critical zone.

Le condizioni di produzione traspaiono a tratti nel film, come nella sequenza semi-documentaria realizzata clandestinamente nell’aeroporto della capitale iraniana. L’intero lungometraggio si intuisce costruito in brevi segmenti, forse realizzati in momenti diversi, ma che nel complesso raccontano una notte di ‘lavoro’ del personaggio di Amir. Come la protagonista di un altro film premiato nella stessa edizione di Locarno – Do Not Expect Too Much from the End of the World di Radu Jude – pure l’antieroe di Ali Ahmadzadeh guida per ore nella capitale del suo paese facendo da autista ma anche da pusher delle più disparate sostanze stupefacenti.

A partire dall’incipit spaesante, che non sfigurerebbe in una puntata di Gomorra, dove una finta ambulanza rifornisce di droga un esercito di spacciatori riunitisi in una galleria cui si accede dalla deviazione di un tunnel, si susseguono piani sequenza in camera car, riprese vorticanti in cui la macchina da presa è posizionata sul volante stesso che il protagonista guida nervosamente e un sonoro tutt’affatto particolare ritmato dalle indicazioni del navigatore GPS di Amir, che segnala anche eventuali controlli di polizia sulla strada donandogli un’apparente impunità: focalizzandosi su di lui, l’intero sonoro appare ovattato e distorto in diversi modi, con anticipazioni e sovrapposizioni di piste rispetto alle immagini, culminando nel parossistico montaggio accelerato del sottofinale, prima del rientro a casa del protagonista, che è accompagnato da un vero e proprio coro lamentoso di anime disperate della notte. Per costoro, Amir è colui che lenisce le pene del vivere un’esistenza dimezzata, garantendo almeno un’illusione lisergica di fuga oltre quelle frontiere che nella realtà viene vietato loro di attraversare. Adempiendo a un ruolo che lo stato iraniano non assolve, il protagonista sa infatti farsi psicologo, rifornisce un reparto di anziani degenti di sostanze che riescono a farli dormire e all’occorrenza diventa persino guaritore di un ragazzo che non riesce a uscire da un brutto trip. Come gli dice la madre: “ho più fiducia in te che in Dio”.

Può venire il dubbio che l’organizzazione di spaccio reticolare che vediamo all’opera nel film sia in qualche modo tollerata da settori del regime. Tuttavia, lo spazio filmico costruito da Ahmadzadeh è davvero una “zona critica” perché vi è messo in scena tutto ciò di cui il governo iraniano non vorrebbe neppure ammettere l’esistenza in quel paese: tossicodipendenti, belle di notte non binarie che battono i marciapiedi, anziani abbandonati in cliniche che li sedano, giovani che non osservano alcun precetto islamico (dal vivere con un cane al consumo di alcool e droghe) per dissenso e disperazione. Il confine tra questi due ultimi stati d’animo è quanto mai sottile, ma di certo convivono entrambi in molti personaggi del film, a partire da Amir e dalla amica hostess che traffica droga dall’Europa e dopo una sfrenata fuga in auto ne apre il tettuccio per gridare a tutta Teheran un liberatorio “Fuck you!”. È dunque evidente la determinazione di Ahmadzadeh di andare oltre la soglia del già rappresentato da più generazioni di artisti invisi al regime che hanno firmato film trasgredendo il divieto imposto loro tra un arresto e l’altro, si pensi al Jafar Panahi di Taxi  (2015) similmente realizzato su un’auto in perenne movimento nella capitale. E bisogna ammettere che ci è riuscito.

© CultFrame 08/2023

TRAMA

Amir è stato lasciato dalla ragazza con cui viveva e a casa lo attende solo il cane Fred quando rientra, all’alba, dopo aver fornito droga e traghettato per tutta la notte anime in pena su e giù per le strade di Teheran.

CREDITI

Titolo originale: Mantagheye bohrani / Regia: Ali Ahmadzadeh / Sceneggiatura: Ali Ahmadzadeh / Interpreti: Amir Pousti, Shirin Abediniradm, Alireza Keymanesh, Maryam Sadeghiyan, Saghar Saharkhiz, Mina Hasanlou, Saba Bagheri, Alireza Rastjou, Maman Pari / Fotografia: Abbas Rahimi / Montaggio: Ali Ahmadzadeh, Ashkan Mehri/ Musica: Milad Movahedi / Produzione: Counter Intuitive Film / Distribuzione internazionale: Luxbox / Iran, Germania 2023 / Durata: 99 minuti.

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Il programma del 76° Locarno Film Festival

Claudio Panella

Claudio Panella, Dottore di ricerca in Letterature e Culture Comparate, si interessa in modo particolare alle interazioni tra la letteratura e le arti, alle trasfigurazioni letterarie del paesaggio e della città, alle rappresentazioni del lavoro industriale e post-industriale nella letteratura italiana ed europea. Attualmente è redattore di Punto di Svista - Arti Visive in Italia e CultFrame - Arti Visive.

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