Due anni e mezzo dopo l’Orso d’oro conferitogli a Berlino per Sesso sfortunato o follie porno (2021), mentre l’altro suo capolavoro I Do Not Care If We Go Down in History as Barbarians (2018) aveva vinto Karlovy Vary, il regista rumeno ha scelto di portare nel Concorso del Festival di Locarno un lungometraggio che non avrebbe sfigurato in vetrine festivaliere tradizionalmente considerate ancora più prestigiose. Distante da tappeti rossi, lustrini e vincoli eventuali di programmazione, il cinema di Jude va senz’altro considerato il più vivo e indocile della vecchia Europa di oggi ed è bene accostarsi a questo suo film con l’attenzione che merita un’opera complessa, dal ritmo indemoniato, solo superficialmente selvaggia e invero assai meditata.
A guidarci tanto nell’immaginario quanto nella forma stessa del film è in primis il suo titolo: “Non aspettatevi troppo dalla fine del mondo!” è difatti un aforisma raccolto dallo scrittore polacco Stanislaw Jerzy Lec in Pensieri spettinati, e non è l’unico riportato da Jude in un’opera costruita secondo quell’estetica del collage – o del database per dirla con Lev Manovich – di citazioni e immagini in cui buona parte delle nostre esistenze sono immerse, volenti o nolenti. Il regista ce la ripropone con una coerenza di stampo post-moderno eppure pregna di consapevolezza critica ricordandoci che le immagini non sono in definitiva mai innocenti così come non lo è chi le confeziona e diffonde, che si tratti di produzioni ‘professionali’ o di ‘amatoriali’ video postati su Instagram o TikTok, e rinnovando eterne diatribe sul ‘mezzo’ e il ‘messaggio’.
Do Not Expect Too Much from the End of the World è strutturalmente un pastiche stratificato che appare innanzi tutto diviso in due parti di lunghezza diseguale intitolate ai suoi due personaggi principali, Angela e Ovidiu. Nella prima, la più estesa e presentata come “in dialogo con un film del 1981”, la giornata infinita della protagonista Angela che guida dentro e fuori Bucarest per conto di una società che produce audiovisivi è ritmata dal contrappunto di alcune sequenze originali di un film con al centro una sua omonima, Angela merge mai departe (1981) di Lucian Bratu, pellicola girata a colori e probabile ragione alla base della decisione di Jude di filmare per lo più in bianco e nero: quarant’anni fa Angela (Dorina Lazar) era una tassista che cercava di districarsi nel traffico della capitale rumena e di trovare un marito malgrado i preconcetti che il suo lavoro determinava; oggi l’Angela di Jude (una fenomenale Ilinca Manolache) è costretta a lavorare sedici e più ore al giorno e non riesce praticamente mai a incontrare l’uomo con cui ha una relazione ma prova a tenersi sveglia ascoltando al massimo volume rap o trap rumena e sfogandosi sui social dove interpreta, grazie a un filtro che le giustappone un volto maschile, la parte di uno sboccato e sessista rich kid di nome Bobiţă (iniziativa autentica dell’attrice, che ha ispirato la sua parte e il poster del film).
Per la seconda parte, Jude ha chiamato i due protagonisti di Angela merge mai departe a recitare i ruoli dei familiari di Ovidiu (Ovidiu Pîrșan), giovane operaio rimasto in sedia a rotelle in seguito a un incidente occorsogli mentre usciva dalla sua fabbrica. Insieme ad altre vittime di infortuni, il ragazzo è tra i partecipanti a una selezione – ma si potrebbe dire al casting – per diventare il volto di una campagna di sensibilizzazione alla sicurezza sul lavoro. Come già nel suo primo lungo, The Happiest Girl in the World (2009), anche qui è in un set televisivo che precipitano tutte le traiettorie dei vari personaggi e vengono a galla le storture di un sistema mediatico al soldo del capitale. Così, a partire da una vicenda in apparenza marginale quale la produzione di uno spot – promosso da una multinazionale tutt’altro che incolpevole in una serie di incidenti avvenuti in fabbriche rumene di sua proprietà rappresentata da un’algida Ms. Goethe (Nina Hoss) – il regista impernia in modo esplicito ma non didascalico la sua narrazione su di un caso di falsificazione e manipolazione delle coscienze assai sintomatico del neoliberismo contemporaneo. Inoltre, con la profondità storica peculiare di molti suoi film, arricchisce il quadro grazie agli archivi che convoca a sostenere visivamente e concettualmente il suo affresco.
In particolare, alla ricerca di crepe nella rappresentazione edulcorata della Bucarest d’inizio anni Ottanta con Ceaușescu ancora saldo al potere, Jude opera alcuni ralenti e ingrandimenti di scene del film di Bratu svelando scorci cittadini con lunghe file per procacciarsi cibo, volti di passanti rom altrimenti considerati indegni di figurare sul grande schermo, etc. A questa pratica, per cui ha dichiarato d’essersi ispirato ai lavori di scandaglio delle pellicole del passato operati dalla coppia Gianikian e Ricci Lucchi, si aggiunge la correzione dei titoli di Angela merge mai departe nei quali il protagonista maschile era indicato come Vasile Miske e non con il nome vero dell’attore László Miske: la sua origine magiara doveva essere nascosta al pubblico, così come in vari momenti delle parti girate oggi da Jude razzismo, antiziganismo e sessismo si manifestano come irrimediabilmente introiettati da tutti i personaggi, compresa Angela e l’anziana interpretata da Lazar.
Un film da non perdere, alla prima occasione, con l’avvertenza che allacciarsi le cinture non servirà a evitare i sussulti provocati dalle invettive e dalle barzellette oscene della coprolalica protagonista, dal sovraccarico di segni e piste sonore e visuali di molte scene, nelle quali contribuiscono al discorso complessivo del film ogni cartellone pubblicitario o comparsa (lo stesso regista si concede un cameo da rider) che si intravedano in profondità di campo, al pari di ogni digressione (dalla querelle cimiteriale che coinvolge le tombe di famiglia Angela, alla partecipazione del controverso regista tedesco Uwe Boll, agli aneddoti sulle morti di David Hemmings e Godard, ai quasi cinque minuti di riprese fisse e mute di croci in memoria di vittime della strada). Un accumulo che compone un ritratto grottesco ma iperrealista e impietoso di un mondo degradato che ancora non sta finendo di finire.
© CultFrame 08/2023
TRAMA
Angela lavora per una società di produzioni video che le affida ogni genere di servizio e arrotonda le sue entrate facendo anche l’autista di Uber. Trascorre così intere giornate guidando nella caotica Bucarest, su strade in cui si conta la media d’incidenti mortali più alta d’Europa. Per allentare la tensione, la ragazza ha inventato un alter-ego con un suo profilo social, caustica parodia di vizi e trivialità delle nuove generazioni rumene e non solo (si pensi all’influencer Andrew Tate, cintura nera di hate speech, residente proprio in Romania). Ma intanto, l’urgenza di realizzare uno spot per la sicurezza sul lavoro, la obbliga a straordinari non pagati e pericolose maratone.
CREDITI
Titolo originale: Nu aștepta prea mult de la sfârșitul lumii / Regia: Radu Jude / Sceneggiatura: Radu Jude / Interpreti: Ilinca Manolache, Ovidiu Pîrșan, Nina Hoss, Dorina Lazăr, László Miske, Katia Pascariu, Uwe Boll / Fotografia: Marius Panduru / Montaggio: Cătălin Cristuțiu / Produzione: 4 Proof Film, Kinorama, Les Films d’Ici, microFilm, Paul Thiltges Distributions / Croazia, Francia, Lussemburgo, Romania 2023 / Durata: 163 minuti.