Green Border. Un film di Agnieszka Holland⋅80° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia⋅Premio Speciale della Giuria

SCRITTO DA
Silvia Nugara

“Alla mia età ho sempre meno da perdere e sempre più responsabilità nei confronti del mio lascito” ha dichiarato la regista Agnieszka Holland accompagnando all’80° Mostra del Cinema di Venezia l’opera che poi si è aggiudicata il Premio Speciale della Giuria. Parole a cui ha aggiunto la minaccia di una querela nei confronti del Ministro della giustizia polacco reo di averla diffamata sui social accusando Green Border di infangare l’immagine del suo paese con un ritratto a suo dire “non veritiero” delle politiche migratorie del governo Morawiecki. Il “confine verde” del titolo internazionale è infatti la vasta foresta che separa la Bielorussia dalla Polonia demarcando anche territorio UE ed extra-EU. È lì che negli ultimi due anni si sono verificate violenze inaudite da parte delle forze di polizia di frontiera ai danni di tutti i disperati che il regime di Lukashenko, d’intesa con quello putiniano, ha attratto da Siria, Afghanistan, Iraq, Nord Africa e Africa Subsahariana con la promessa di un facile accesso all’Europa. Peccato che l’apertura di una rotta migratoria orientale non fosse altro che un modo per strumentalizzare i migranti creando una crisi umanitaria alle porte dell’UE tanto grave quanto relativamente poco presente sui media.

Holland sceglie dunque di mettere il suo cinema al servizio di una denuncia in tempo reale che intreccia le storie e il punto di vista di quattro soggetti: una famiglia siriana in fuga verso la Svezia a cui si unisce una profuga afghana, una guardia di frontiera polacca, un gruppo di attivisti e una psicoterapeuta residente nei pressi della foresta che le circostanze spingono a impegnarsi nel soccorso umanitario. Attraverso le loro storie emerge l’agghiacciante rimpallo di corpi vivi e morti da un lato all’altro della frontiera tra forze di polizia bielorusse e polacche, i rischi di chi migra e gli stretti margini di azione di chi offre il proprio soccorso con un coraggio raro in un paese antidemocratico che agisce a colpi di intimidazioni e restrizioni delle libertà. Agli agenti polacchi, la propaganda di stato inculca che i migranti sono esseri bestiali e pericolosi, “proiettili viventi, armi di Putin e Lukashenko” e storicamente sappiamo che quando si innesca la disumanizzazione di un popolo, ogni orrore è possibile. 

Dopo aver diretto a teatro la pièce di Sławomir Mrożek’s Emigrants, Holland torna a confrontarsi con una tragedia contemporanea che pone il continente europeo anche di fronte a responsabilità di ordine storico. Infatti, nonostante il film si svolga nell’arco di alcuni mesi a partire dall’ottobre 2021, alcune scelte formali sembrano domandare a chi guarda che cosa resta del monito “mai più” su cui si è costruita l’UE, del suo ripudio della Shoah e della promessa di tutelare i diritti umani. Nel bianco e nero, introdotto da una singola sequenza aerea sulle fronde verdi della foresta, nella messa in scena dell’arbitrarietà con cui il potere semina morte e disperazione ma anche dei laboriosi tentativi di resistenza degli attivisti, la regista di Europa Europa (1990) fa affiorare il rischio di dissipare l’eredità morale della seconda guerra mondiale. Ne conseguono però i noti interrogativi sui limiti della rappresentazione e sulle forme sceniche o drammaturgiche più etiche per rapportarsi al male. Può questo tipo di cinema sollecitare una rivolta contro l’ingiustizia? Probabilmente no ma Holland ha quanto meno l’intelligenza di non trasformare la sofferenza in “spettacolo”.

Il suo è un cinema che prende posizione e dà voce a chi non ce l’ha nel modo più cinematograficamente “ovvio”, ovvero attraverso la narrazione e l’azione sostenuta da un cast coinvolto in prima persona. Tra gli attori principali, infatti, figurano Jalal Altawil e Mohamad Al Rashi che hanno realmente vissuto la fuga dalla Siria per ragioni politiche. La crisi umanitaria diventa film d’azione che regge la durata destreggiandosi tra cambi di passo e d’ambientazione con un mestiere consolidato dalla collaborazione con serie di qualità (Holland ha diretto alcune puntate di House of Cards). Anche la messa in scena e la sceneggiatura, frutto di un lavoro a più mani, hanno una serietà e una credibilità assenti in altre opere piene di buone intenzioni della stessa regista, come il maldestro giallo ambientalista Pokot (2018). La foresta è un labirinto, lo spazio immaginario del nostro stesso smarrimento di fronte alla complessità. Il martirio dei migranti è una Storia infinita di prove dolorose, epifanie e paludi in cui si annega. Chiunque viva presso la foresta deve scegliere da che parte della storia stare e anche il non agire – collocandosi secondo la tripartizione ormai classica in vittime-carnefici-astanti– ha pesanti conseguenze. L’invettiva di Holland si compie con un epilogo ambientato nel febbraio del 2022 quando l’accoglienza di migliaia di profughi dall’Ucraina ha dimostrato il doppio standard applicato a favore dei bianchi e ai danni dei non bianchi. Perché come ha dichiarato la regista ricevendo il premio a Venezia: “I migranti muoiono sul suolo europeo non perché non possiamo ma perché non vogliamo accoglierli”.

© CultFrame 09/2023

TRAMA

Ottobre 2021: sul confine tra Polonia e Bielorussia si consuma una crisi umanitaria senza pari. Migliaia di persone in fuga dal Medio Oriente e dall’Africa percorrono la rotta orientale nella speranza di poter entrare nell’Unione Europea ma si ritrovano intrappolate in una foresta che rischia di diventare un luogo di torture e morte. Questo è quanto accade a una famiglia siriana atterrata a Minsk credendo di poter attraversare facilmente il confine con la Polonia e giungere in Svezia dai parenti. 

CREDITI

Regia: Agnieszka Holland / Sceneggiatura: Maciej Pisuk, Gabriela Łazarkiewicz-Sieczko, Agnieszka Holland/ Montaggio: Pavel Hrdlička / Fotografia: Tomek Naumiuk / Scenografia: Katarzyna Jędrzejczyk / Costumi: Katarzyna Lewińska / Musica: Frédéric Vercheval/ Interpreti: Jalal Altawil, Maja Ostaszewska, Behi Djanati Atai, Mohamad Al Rashi, Dalia Naous, Tomasz Włosok /Polonia, Repubblica Ceca, Francia, Belgio, 2023 / Produzione: Marcin Wierzchosłąwski, Fred Bernstein, Agnieszka Holland / Distribuzione: Movies Inspired / Durata: 147 minuti.

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Silvia Nugara

Silvia Nugara ha un dottorato di Linguistica Francese e i suoi interessi ruotano attorno alle relazioni tra il linguaggio e la costruzione della realtà sociale, con particolare riferimento agli immaginari e ai discorsi relativi alle soggettività di genere. Attualmente è redattrice di Punto di Svista e Cultframe - Arti visive.

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