The Caine Mutiny Court-Martial. Un film di William Friedkin⋅80° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia⋅ Fuori Concorso

SCRITTO DA
Claudio Panella

Già colpito dalla morte improvvisa dell’interprete Lance Reddick, tra i protagonisti della serie The Wire e della saga di John Wick, The Caine Mutiny Court-Martial è destinato a essere ricordato come l’ultimo lungometraggio di un regista che ha segnato in modo profondo la storia del cinema statunitense quale William Friedkin (1935-2023). Nell’anteprima avvenuta alla Mostra di Venezia poche settimane dopo la scomparsa del suo autore, la visione del film, dedicato a Reddick, è stata preceduta da un cartello con una sua dichiarazione su quanto il “sottile confine tra il bene e il male” sia stato il perno centrale di tutta la sua ricerca cinematografica, parole che ne riassumono perfettamente l’opera.

In effetti tale linea di separazione ideale, che permane altresì in molti casi ambigua, è proprio al cuore della storia narrata in The Caine Mutiny (1951), l’opera più nota, e Premio Pulitzer, del longevo Herman Wouk (1915-2019). Ma quest’adattamento è stato lungamente meditato e preparato prima che Friedkin si decidesse infine a realizzarlo, già malato e con l’aiuto di Guillermo Del Toro, anche perché quella firmata da lui è solo l’ultima di una lunga serie di versioni del testo, a teatro, sul piccolo e sul grande schermo. Tra le più celebri, si ricordano il film omonimo diretto da Edward Dmytryk nel 1954 con Fred MacMurray, Humphrey Bogart e Van Johnson, una fortunata serie di allestimenti teatrali a partire dal primo storico successo ottenuto a Broadway nel 1953 dalla pièce in due atti concepita da Wouk stesso per la regia di Charles Laughton (e Henry Fonda nella parte dell’avvocato Greenwald) per arrivare poi alle varie riprese che tra gli anni Ottanta e Duemila volle farne Charlton Heston, senza dimenticare la precoce trasposizione televisiva della Rai datata 1961 con Arnoldo Foà, Gastone Moschin e Vittorio Sanipoli, seguita da quella di Robert Altman del 1988 con Eric Bogosian, Jeff Daniels, Brad Davis.

Il The Caine Mutiny Court-Martial, memore dei precedenti teatrali, punta alla massima essenzialità della messa in scena che, eccezion fatta per la sequenza d’apertura e il finale, mostra per intero il dibattimento processuale senza le ricostruzioni dei fatti avvenuti sulla nave presenti nel film di Dmytryk. Portando così ancor più in primo piano la dialettica interna alle procedure previste dalla corte marziale e le argomentazioni che accusa e difesa espongono per presentare le varie testimonianze, il film s’inscrive a pieno titolo in una tradizione di legal drama che da Hollywood al cinema autoriale europeo sta vivendo una seconda giovinezza. A tal genere appartengono difatti, tra gli altri, sia uno dei titoli più notevoli del Concorso al Lido nella Mostra 2022, Saint Omer di Alice Diop, Gran Premio della Giuria e Premio Venezia Opera Prima, sia la Palma d’oro di Cannes 2023, Anatomie d’une chute di Justine Triet per non dire della variante presente nell’ultimo blockbuster di Nolan, Oppenheimer  (2023), costruito in buona parte su due diverse udienze, dove il medesimo Jason Clarke che qui figura nella parte del difensore è tra gli accusatori dello scienziato determinati a espellerlo dall’Atomic Energy Commission.

Lo “strano e tragico” caso di come l’ufficiale Steve Maryk tolse al capitano Philip Queeg il comando del Caine – nome che porta con sé l’eco del tradimento primordiale di Caino ad Abele – nel testo originale e nei suoi primi adattamenti era ambientato nel Pacifico in piena seconda guerra mondiale, conflitto che aveva logorato i nervi degli ufficiali e dell’equipaggio, circostanze che lo stesso Wouk aveva potuto conoscere essendo all’epoca imbarcato proprio su una nave sminatrice. Friedkin data invece l’episodio dell’ammutinamento al 18 dicembre 2022 e l’azione si sposta nel Golfo Persico: collocandosi esplicitamente nel post-11 settembre, l’aggiornamento serve a istituire un parallelo tra generazioni nuove e distanti rispetto agli anni Quaranta/Cinquanta, tanto più che il film esce in un contesto in cui la guerra guerreggiata e l’ambiguità delle situazioni che essa comporta, tra fake news e propaganda multipolare, è tornata decisamente d’attualità.

Il problema della veridicità di una testimonianza e della ricostruzione di una successione di fatti il più possibile insindacabile, oltre che di una verità processuale, resta comunque nevralgicao: poiché il codice militare prevede anche la disobbedienza agli ordini illegittimi, dovuti a più o meno temporanea incapacità di intendere e volere di chi li emana, l’avvocato Barney Greenwald, anch’egli ufficiale della Marina e nominato controvoglia difensore di Maryk, è costretto a mettere in questioni la lucidità e la salute mentale stessa del capitano, qui interpretato da un convincente Kiefer Sutherland, con le sue biglie antistress già manipolate a suo tempo da Bogart. Come da copione, nel finale la lettura della storia viene ribaltata e si aprono interrogativi ulteriori. L’abilità con cui Friedkin ci conduce fino all’epilogo è tutta in una sua dichiarazione d’intenti che non ammette parafrasi: “volevo creare un crescendo di tensione, comprimendo la sceneggiatura per dipanarla poi con la rapidità di un pipistrello in fuga dall’inferno”.

© CultFrame 08/2023

TRAMA

Nella storia della marina americana ci sono solo due casi di ammutinamento: per questo, il processo contro il primo ufficiale Maryk che prese il comando della nave affidata al capitano Queeg, ritenendolo incapace di svolgere il suo ruolo durante una tempesta, ha una portata ancora maggiore di quella già non esigua di dover determinare i destini di accusato e accusatore.

CREDITI

Regia: William Friedkin / Sceneggiatura: William Friedkin a partire dalla commedia di Herman Wouk / Montaggio: Darrin Navarro / Fotografia: Michael Grady / Scenografia: Kirk M. Petruccelli / Costumi: Louise Frogley / Interpreti: Kiefer Sutherland, Jason Clarke, Jake Lacy, Monica Raymund, Lewis Pullman, Jay Duplass, Tom Riley, Lance Reddick / USA, 2023 / Produzione: Showtime,    Paramount Global / Distribuzione internazionale: Republic Pictures, Paramount Global Content Distribution /  Durata: 103 minuti.

SUL WEB
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito

Condividi
Claudio Panella

Claudio Panella, Dottore di ricerca in Letterature e Culture Comparate, si interessa in modo particolare alle interazioni tra la letteratura e le arti, alle trasfigurazioni letterarie del paesaggio e della città, alle rappresentazioni del lavoro industriale e post-industriale nella letteratura italiana ed europea. Attualmente è redattore di Punto di Svista - Arti Visive in Italia e CultFrame - Arti Visive.

Articoli correlati

Previous
Next

1

About

New CULTFRAME – Arti Visive rappresenta la naturale evoluzione della precedente rivista fondata nel 2000. Vuole proporre ai lettori un quadro approfondito della realtà creativa italiana e internazionale. L’intenzione è quella di cogliere ogni nuovo fattore che possa fornire sia agli appassionati che agli addetti ai lavori un affresco puntuale e moderno riguardo gli sviluppi odierni delle Arti Visive.

3

COPYRIGHT © 2024 CULTFRAME – ARTI VISIVE.
TUTTI I DIRITTI RISERVATI. AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI ROMA N. 152 DEL 4 MAGGIO 2009