“Sono il regista più inopportuno che esista: faccio sempre il film che in quel momento non si dovrebbe fare. Sono quello che tira in ballo gli argomenti su cui si era d’accordo di non parlare”, ha dichiarato in un’intervista (Controcampo, nn.25-26-nov./dic.1981, a cura di Paco Llinàs e Josè Luis Tellez), il regista spagnolo Eloy de la Iglesia nel 1981. Ed è proprio cosi.
Già dagli anni ’60, in pieno franchismo, temi come l’omosessualità (anche quella di de la Iglesia, il quale è stato il primo cineasta che si è dichiarato gay in Spagna pubblicamente), il voyeurismo, la corruzione politica e quella dell’animo umano, il disfacimento della società iberica e quello della coppia tradizionale, finanche l’incesto, erano temi scomodi e assolutamente proibiti. Eloy de la Iglesia li ha affrontati tutti con grande riscontro di pubblico (i suoi film sono stati dei successi in patria) anche se ciò non gli ha impedito di avere grossi problemi con la censura.
De la Iglesia raggiunse il suo primo successo commerciale con il suo terzo film: El techo de cristal, una pellicola del 1971.
Una donna sposata solitaria, perché suo marito viaggia molto, con il passare del tempo inizia a sospettare che la vicina del piano di sopra abbia ucciso il suo consorte. C’è, inoltre, un terzo incomodo: un giovane scultore che abita nello stesso palazzo.
El techo de cristal contiene elementi che vanno da Gaslight di Cukor a Il sospetto di Hitchcock e I diabolici di Clouzot ma con uno stile che lo distacca nettamente da questi film archetipici.
Il regista iberico, da buon anarchico, capovolge il genere come un calzino raffreddandolo e riempiendolo di erotismo morboso (come farà anche nel suo film più famoso L’appartamento al 13mo piano interpretato dall’almodovariano Eusebio Poncela) utilizzando la presenza di una attrice famosa, Carmen Sevilla, per evitare le maglie della censura.
Abbiamo citato Almodovar non a caso. Ci sono molti elementi comuni tra il nostro autore e il cinema (soprattutto in riferimento a quello degli inizi) del regista madrileno. Ma lì dove Pedro è colorato e surreale, de la Iglesia è invece cupo e violento; lì dove Almodovar è solare, Eloy predilige ambienti claustrofobici e angusti, come quelli che si ritrovano nel palazzo fatiscente, fatto di scale, cortili interni e corridoi che portano da nessuna parte e dove si trovano le abitazioni dei tre.
Il regista de La legge del desidero segue (quasi) sempre una narrazione lineare ma il suo (sì, possiamo dirlo) predecessore, almeno per molte tematiche, usa un modo di raccontare “sporco” e profondamente ellittico, prediligendo una narrazione “rozza” contenente molte scene oniriche che spezzano la linearità del racconto ma aumentano la sua ambiguità. E di ambiguità ne vediamo tanta in El techo de cristal nei rapporti umani e, soprattutto, in quelli sessuali: insomma “un inferno sartriano creato dall’immaginazione morbosa dei personaggi” (Nocturno Dossier Cinema Fantastico Spagnolo “Sangre Y Deseo”, José Luis Marqués).
Infine, molte osservazioni sulla Spagna nera di Caudillo, oppressa e piena di complessi con un gap sociale insanabile tra le classi sociali. Un racconto questo di El techo de cristal che Eloy de la Iglesia frantuma in mille pezzi grazie a un finale aperto.
Il film non è stato distribuito in Italia, come molto del suo cinema, e in giro si trova solo un dvd-r tratto dal VHS inglese o americano dal titolo The Glass Ceiling. Perciò un’assoluta rarità.
© CultFrame 10/2023
TRAMA
Una casalinga annoiata inizia a sospettare che la sua vicina al piano di sopra abbia ucciso il marito invalido. Le cose si complicano quando nel loro rapporto si insinua un giovane scultore.
CREDITI
Titolo originale: El techo de cristal / Regia: Eloy de la Iglesia / Sceneggiatura: Antonio Fos, Eloy de la Iglesia / Fotografia: Francisco Fraile / Montaggio: Pablo G. Del Amo / Musica: Angel Arteaga / Interpreti: Carmen Sevilla, Patty Shepard, Fernando Cebrian, Dean Selmier /Produzione: Rafael del Valle Iturriaga / Anno produzione: 1971 / Paese: Spagna / Durata: 92 minuti