Quando se ne va un’artista come Chantal Akerman, in genere si assiste (magari ormai solo sui social network) a un profluvio di retorica totalmente autoreferenziale (all’interno del mondo dell’arte stessa). Tutti si mostrano improvvisamente costernati e profondi conoscitori dell’opera di un’autrice che aveva sempre scelto di vivere in modo appartato e di comunicare i propri sentimenti familiari e la propria appartenenza/identità grazie a un linguaggio personale, e interiore. Quanta gente (e parliamo di addetti ai lavori) abbiamo potuto vedere super-annoiata, se non addirittura irritata, alla proiezione di alcuni film straordinari della Akerman (film in alcuni casi stroncati, specie in epoca recente)! E quanti critici cinematografici conoscono il lavoro che la stessa Akerman ha svolto nell’ambito dell’arte contemporanea e della videoarte?
L’artista belga è stata una delle figure più complesse dell’arte europea (e sottolineiamo la parola arte) e il suo cinema non può essere semplicemente incasellato nel settore strettamente filmico. È stata un’artista refrattaria alle catalogazioni e il suo sperimentalismo non è stato solo uno strumento di tipo elitario (usato per accedere ai piani alti della cultura, come spesso capita di vedere) ma un percorso di ricerca di estremo rigore, un sistema di comunicazione basato su elementi personali ed esistenziali.
Potremmo ovviamente fare una lista di opere (o di videoinstallazioni) che l’hanno lanciata nel panorama delle arti visive del novecento, come Jeanne Dielman del 1974 e Je, tu, il, elle del 1975, ma sarebbe assurdo ridurre la scomparsa di questa autrice a uno sterile elenco. Così, vogliamo ricordarla ripescando dagli anni settanta, quello che noi di CultFrame, riteniamo il suo vero capolavoro e che appare incredibilmente collegato al suo ultimo film presentato all’ultimo Festival di Locarno.
Il primo si intitola News from Home (1977), il secondo No Home Movie (2015). Le due opere sono legate tra loro, poiché fanno entrare in gioco il profondo legame che l’artista aveva con la propria madre. Ma mentre nel secondo il dialogo tra le due donne sembra essere più diretto, seppur altamente riflessivo, in News from Home la dimensione poetica dell’opera assume delle connotazioni fortemente liriche grazie al collegamento tra testo/voce off e immagini.
Il film, girato integralmente a New York (nel periodo, agli inizi degli anni settanta, in cui Chantal risiedeva nella metropoli americana), connette in maniera ardita quanto sorprendentemente armoniosa, inquadrature di una New York vacua, abbandonata, quasi fantascientifica, alle parole scritte sulle lunghe lettere che la madre della giovane Chantal le inviava dall’Europa. Lettere semplici, con parole di affetto e preoccupazione, come possono essere quelle di una madre nei riguardi di una figlia lontana, che comunica un delicato sentimento di vicinanza. Tali espressioni, tali morbide inquietudini materne, finiscono per determinate una sorta di cortocircuito espressivo che però non produce mai uno shock emotivo nello spettatore.
Le strade silenziose di New York, gli ambienti spogli, raccolgono la voce fuori campo in maniera quasi naturale, così la nostalgia che emerge dalle lettere della madre di Chantal Akerman va a fondersi con la malinconia estrema dello sguardo “americano” dell’artista. Lunghissime inquadrature fisse, il rumore della vita che scorre, la metropolitana, la “squallida” (eppure pulsante) notte newyorkese. Un senso di straniamento, quasi di astrazione, caratterizza l’intero film. La sfera visiva, grazie al senso delle parole, allude alla dimensione di un pensiero che di fatto veleggia, fuori, oltre, la città.
Non possiamo che definire sublime, la sequenza finale di News from Home. La macchina da presa posta su una barca inquadra la città, i suoi grattacieli. A un certo punto tutto diviene solo un’immagine lontana, avvolta nella nebbia. New York si trasforma in un sogno. È come se si trattasse, già nel 1977, del saluto definitivo di Chantal Akerman.
© CultFrame 10/2015