Il Sublime come categoria estetica attraversa la Storia dell’Arte sin dall’età Classica per poi giungere ad avere il suo più ampio respiro nel periodo del Rinascimento.
Artisti, poeti, scrittori si avvicinano a questo sentimento attraverso una visione più intimistica del paesaggio. Alla ragione e all’equilibrio classico il paesaggio romantico oppone la passione e la soggettività che viene spesso rivendicata dagli artisti all’arte del passato. Cime che si elevano al di sopra delle nuvole, cieli, orizzonti e la natura tutta intera, diventano il riflesso dell’anima dell’artista. ” […] monter au jour ce que tu as vu dans la nuit, afin que ta vision agisse sur d’autres, de l’extérieur vers l’interieur” (portare alla luce del giorno quello che hai visto nella notte, al fine che la tua visione possa agire sull’altro, dall’esterno verso l’interno) saranno le parole di Caspar David Friedrich a proposito delle sue opere, che, affiancate al discorso di Baudelaire al Salon del 1846: “intimité, spiritualité, couleur, aspiration vers l’infini” (intimità, spiritualità, colore, aspirazione verso l’infinito) aprono le porte alla nostra riflessione sulla poetica del cielo, da sempre elemento di sublimazione per gli artisti.
Ed è così che i cieli di Jacqueline Salmon appaiono, spesso in dittico, sublimi, infiniti, tendenti verso colui che li osserva, timidi e violenti, rassicuranti e minacciosi allo stesso tempo. Avvolti da nuvole misteriose, sembrano voler determinare uno “spazio possibile” per non “soffocare” (Gilles Deleuze).
Distese di campiture di rosa, argento, blu, si riorganizzano in spazi visivi suggerendoci ampiamente la personalità tutta misteriosa e silenziosa di chi sa sentire per immagini. Di chi attraverso una citazione dal sapore tutto antico “Du vent, du ciel et de la mer” (Del vento, del cielo e del mare) ci conduce alla lettura visiva di un libro, il suo, degno dei migliori almanacchi di meteorologia.
Se è vero che l’immaginazione aumenta i valori della realtà (Gaston Bachelard) l’autrice si spinge ben oltre l’immaginario visivo comune e ci rivela porzioni di spazi segnati da profili, cancellazioni, scritture immaginarie, segni di venti, direzioni, relazioni, forme e incontri con altre discipline e autori del passato. È il caso del suo dittico fotografico diptyque avec Stieglitz – 2016 in cui la stessa autrice si confronta con una delle personalità più emblematiche della storia della fotografia, affermando di “essere estremamente interessata alla forma pittorica dei cieli dell’ autore”.
Ma Stiegliz non è il solo con cui la Salmon segna la sua relazione analitica e di ricerca formale, interessanti sono anche le unioni duali con i fotografi Muybridge, Londe, o ancor più con la pittura, come per esempio Constable, Monet e Boudin. Minuziosamente Jacqueline Salmon sposa i suoi cieli con i cieli degli autori che incontra e afferma che in tale operazione “la forma induce al pensiero, domina spesso anche il senso delle cose, e le trasforma”.
Esperta di fotografia documentaria e di paesaggio l’autrice dedica la sua ricerca ad una reinterpretazione costante e “meditativa” dei luoghi. Il suo studio, situato in uno dei quartieri più multietnici della ville Lumière, appare come un museo privato pieno di riferimenti e citazioni alla storia dell’arte italiana. Infatti l’autrice dice di sentirsi molto “legata” alle immagini storiche e contemporanee della nostra penisola. Continui i riferimenti alla figura di Italo Calvino che la stessa relaziona costantemente all’emblematica figura francese del filosofo Gaston Bachelard. Ed è così che la poetica dello spazio (G. Bachelard) diventa un modo per riflettere sulla superficie delle cose e sull’inesauribilità della stessa (Italo Calvino). Questi aspetti tanto cari all’artista determinano una non interpretazione definitiva e soprattutto soggettiva della visione delle cose, il tutto appare continuamente come uno specchio che si riflette sulla vita.
La ricerca di un equilibrio diventa la possibilità di uno spazio possibile da vivere solo attraverso la poesia dello sguardo che definisce, in questo caso, una geometria passionale, la quale nasconde dietro l’architettura dei cieli una biografia, forse inconscia, quasi psicoanalitica del guardare, come sostiene la Salmon “sempre la stessa cosa”.
Se è vero che la fotografia rivela qualcosa della nostra coscienza, la nostra ricerca verso la poetica dell’artista, ci ha portato a riflettere su delle questioni di carattere più personale. Quando, in una sede tutta diversa, ci fu chiesto “ora che hai fotografato il cielo come farai a fotografare altro?” (La libertà di guardare. Conversazione sulla fotografia tra Francesca Loprieno e Giovanna Gammarota. 3ª parte). E nell’impossibilità (ancora oggi) di rispondere a quella domanda l’unica soluzione possibile, è stata quella di cominciare a cercarla nello sguardo, di chi, come noi, alza gli occhi verso l’alto per rifletterli sul mondo.
In merito alle nostre riflessioni, abbiamo rivolto tre domande a Jacqueline Salmon.
È possibile tendere lo sguardo al silenzio degli spazi infiniti?.
J.S. Se tutte le finestre della nostra percezione fossero pulite, ogni cosa apparirebbe all’uomo così com’è: infinita.
Perché lei fotografa il cielo?
J.S. Perché è lo stesso cielo che Socrate ha guardato. Perché lo condividiamo con l’umanità intera, è un incredibile spettacolo quotidiano che continua a meravigliarci in modo misterioso. Il cielo non ha una fine e questo supera la nostra comprensione.
I suoi cieli incontrano i cieli di altri autori, cosa la spinge verso questa relazione?
J.S. È un po’ come osservare il positivo/negativo di una fotografia. Ci si ritrova a viaggiare in un senso nascosto, forse magico del significato delle cose, un po’ come Alice nel Paese delle Meraviglie… Creando una relazione tra immagini si inventa un nuovo spazio, dove si può passare all’interno. È proprio quel “entre” che crea lo spazio fisico. Un interstizio, delle piccole storie […]. Il cielo non è mai vuoto, ha un senso di mistero e se messo in relazione il suo spazio aumenta. Basti pensare al fotografo Gustave Le Gray che già alla fine del 1800 incollava i suoi cieli su diversi mari per creare, o forse ricreare, nuovi paesaggi possibili.
© CultFrame – Punto di Svista 07/2017
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