Lampi di luce, macchie nere che emergono da un bianco abbagliante quasi metafisico, paesaggi “lunari”, le campagne italiane, i villaggi, i volti segnati dal tempo e dalle malattie, gli occhi, la realtà.
Ciò che colpisce maggiormente dell’arte di Mario Gicaomelli è l’incredibile complessità della sua ricerca estetica e la straordinaria articolazione della sua cifra stilistica che, pur rimanendo rigorosamente ancorata a dei principi creativi molto precisi, sa trovare delle varianti improvvise, delle aperture sorprendenti.
Nelle immagini del grande fotografo marchigiano c’è sempre qualche elemento compositivo o contenutistico che spiazza il fruitore, che invita al pensiero, che emoziona e stravolge. Certo, il realismo sembra essere il fattore fondamentale della sua poesia visiva, ma Giacomelli supera la semplice rappresentazione della realtà per proporre risvolti di un mondo “altro”, profondissimo, a tratti surreale.
La mostra che ha preso il via a Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni, presenta un percorso molto ampio e dettagliato (circa 250 foto) che permette al visitatore di posare il proprio sguardo su diverse fasi del lavoro di Mario Giacomelli.
Ci si accorge subito, passando da immagine a immagine, del fortissimo legame che questo fotografo aveva con l’arte contemporanea. I suoi paesaggi, tendenzialmente astratti, possono essere considerati tra i momenti più alti della sua espressione ma la bellezza di alcune nature morte tocca veramente il cuore di chi guarda; così come le fotografie scattate ad anziani ormai al tramonto della vita, anziani dai corpi e dai tratti somatici deformati, non colpiscono in maniera pietistica ma impongono una riflessione sull’esistenza e sulla morte, una riflessione lacerante e piena di umanità.
Giacomelli era un fotografo dilettante nel senso più nobile del termine. Attraverso i suoi scatti esprimeva liberamente, come spesso i professionisti non possono fare, la propria sfera interiore. Ricercava il significato della vita nella luce, nelle linee grafiche della natura, nel racconto visivo del dolore e della malattia, nella descrizione della povertà e della sofferenza. Faceva parlare i muri, le case e gli oggetti
Il suo, sotto certi punti di vista, era un approccio alla fotografia rivoluzionario ed eversivo, per niente intellettuale, accademico e tecnicistico. Per questo motivo le sue opere sono così forti e vere, così autentiche e strazianti.
Nei suoi lavori si può percepire una sorta di “scarto del senso”, uno straniamento che sconvolge. Si assapora l’assenza, si sente il peso del non rappresentabile. Giacomelli diceva: “Le cose più importanti sono quelle che non sono riuscito a fotografare”.
E in questa frase è racchiusa tutta la grandezza di questo inimitabile artista.
©CultFrame 02/2001
IMMAGINE
Mario Giacomelli. La Grande Luna, 1980. ©Eredi Mario Giacomelli. Courtesy Photology Milano
INFORMAZIONI
Dal 7 febbraio al 2 aprile 2001
Palazzo delle Esposizioni / Via Nazionale 194, Roma / Telefono: 064745903
Orario: tutti i giorni 10.00 – 21.00 / chiuso martedì
Catalogo: Photology-Logos a cura di Germano Celant